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Minamata, un classico biopic che perde l'occasione di farsi riflessione sul ruolo della fotografia

La storia del grande fotografo W. Eugene Smith e di uno dei servizi fotografici più famosi del '900. Presentato alla Berlinale 2020 e prossimamente al cinema.
di Roberto Manassero

venerdì 21 febbraio 2020 - Berlinale

Nel 1971, il fotografo americano Eugene Smith, celebre per i suoi servizi sulla Seconda guerra mondiale pubblicati dalla rivista «Life», viene a conoscenza dalla traduttrice Aileen dei casi di avvelenamento nel villaggio giapponese Minamata. Inviato dal direttore di Life Bob Hayes, Eugene entra in contatto con la comunità locale di pescatori e, aiutato dalla stessa Aileen e altri attivisti, documenta con la sua macchina fotografica malformazioni e malattie genetiche causate dai rifiuti industriali del colosso della chimica Chisso. Il suo lavoro e le proteste degli abitanti di Minimata saranno osteggiati in tutti i modi, ma Smith riuscirà a far pubblicare le sue fotografie, spingendo così la Chisso a risarcire le vittime e i loro familiari.

Dopo Cattive acque, un altro film hollywoodiano che denuncia un celebre caso di inquinamento ambientale: il genere non è più il cinema d'inchiesta, ma il biopic di una celebre figura del foto-giornalismo americano.

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