romeo27
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mercoledì 18 ottobre 2017
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capolavoro
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Merita davvero, assolutamente da guardare.
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mattiagualeni
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martedì 17 ottobre 2017
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blade runner 2049, un film visivamente potente che ci conduce in una nuova saga
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Che cos’è Blade Runner 2049? Un sequel al capolavoro del 1982? Un upgrade? O un replicante? Ossia una di quelle creature, copie artificiali, del tutto identiche ad un essere umano, incapaci tuttavia di provare empatia e dalla vita programmata e breve? Blade Runner 2049 non passerebbe il test di Voight-Kampff: questo film è un replicante del capolavoro di Ridley Scott. L’ottimo regista, il canadese Denis Villeneuve, che si era già distinto con Arrival nel genere fantascientifico, mette mano sopra una delle pietre miliari del genere e la riadatta non limitandosi a dirigere un semplice secondo capitolo. Fin dall’inizio, in quei cinque minuti di assoluto silenzio, di maestosa fotografia che ci espande il mondo di Blade Runner oltre il confine dello skyline nebbioso della città e delle sue ciminiere, ci viene mostrato un pianeta consumato dall’uomo, cupo, freddo e decadente.
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Che cos’è Blade Runner 2049? Un sequel al capolavoro del 1982? Un upgrade? O un replicante? Ossia una di quelle creature, copie artificiali, del tutto identiche ad un essere umano, incapaci tuttavia di provare empatia e dalla vita programmata e breve? Blade Runner 2049 non passerebbe il test di Voight-Kampff: questo film è un replicante del capolavoro di Ridley Scott. L’ottimo regista, il canadese Denis Villeneuve, che si era già distinto con Arrival nel genere fantascientifico, mette mano sopra una delle pietre miliari del genere e la riadatta non limitandosi a dirigere un semplice secondo capitolo. Fin dall’inizio, in quei cinque minuti di assoluto silenzio, di maestosa fotografia che ci espande il mondo di Blade Runner oltre il confine dello skyline nebbioso della città e delle sue ciminiere, ci viene mostrato un pianeta consumato dall’uomo, cupo, freddo e decadente. Qui prende avvio la vicenda, da un’indagine, come nel primo film, ma il protagonista è l’agente K (Ryan Gosling), un Blade Runner. La vicenda si svolge trenta anni dopo il primo film e in questo arco temporale la Tyrell corporation viene acquisita dalla Wallace, il mondo subisce un blackout che cancella gran parte dei dati tenuti su internet ed i replicanti sono nuovamente in commercio, grazie alla Wallace, per svolgere quei lavori che gli uomini non vogliono più fare. L’agente K ha il compito di “ritirare” i vecchi modelli della Tyrell che sono sfuggiti. L’agente K è un replicante però. Fin dall’inizio muta quindi l’impostazione rispetto all’ambiguità del film del 1982 che ci aveva lasciato con il dubbio se il protagonista Deckard (Harrison Ford) fosse o meno un replicante. Villeneuve mantiene l’impostazione noir e retrofuturista e dirige lo spettatore in una serrata indagine che porterà l’agente K a dissotterrare un segreto che, come afferma il Tenente Joshi (Robin Wright), “potrebbe spaccare il mondo”. Parallelamente al disvelamento degli indizi lo spettatore viene posto davanti a quelle domande etiche che già erano proprie del primo film ma queste vengono affiancate da nuove, più per un procedimento di somma algebrica che di analisi. Se nella pellicola del 1982 lo slogan della Tyrell era: “Più umano dell'umano” e ci si interrogava sul concetto di che cosa sia umano e sul significato della morte, qui ci si chiede se servono ancora gli uomini quando le macchine provano sentimenti e sul significato della vita e delle correlate conseguenze. Tuttavia queste domande trovano una minore profondità rispetto al Blade Runner del 1982 e sembrano stratificarsi più per un procedimento di sedimentazione col procedere dell’intreccio piuttosto che venir poste e analizzate mediante la sceneggiatura che rimane criptica e aperta in attesa di un sequel. L’Easter egg (termine coniato da Steve Wright della Atari, società che compariva nelle insegne pubblicitarie nel film del 1982 e anche in quello attuale) rappresentato dagli innesti di memoria nell’agente K è il fil rouge della trama di Blade Runner 2049 ma la rende estremamente ermetica e non scorre come nell’originale. Anche nella Director’s cut del 1992 venne introdotto un Easter egg: ossia la scena in cui Deckard sogna un unicorno che, letta insieme alla sequenza finale in cui Rachael colpisce con la scarpa l'origami in foggia del fiabesco animale, insinuano il dubbio, che lo stesso Deckard possa essere un replicante. Tuttavia il risultato non ha lo stesso fascino ambiguo e gli ingranaggi del film sembrano mancare di un qualche giunto cardanico atto a trasmettere con fluidità il moto ai vari assi della trama. Il lavoro di Villeneuve, coprodotto da Ridley Scott, e sceneggiato da Hampton Fancher che fu tra gli autori del capolavoro del 1982, è stato rivolto all’estendere il mondo di Blade Runner come una sprawl in continua espansione. Durante la Blade Runner 2049 Experience del Comic-Con di San Diego 2017 è stato proiettato un video che narrava la cronistoria di cosa fosse successo tra il 2019 ed il 2049 ed il regista aveva affermato: “Abbiamo creato un mondo che è un’estensione del primo film, una proiezione del suo futuro, in cui alcune leggi e regole saranno in relazione con il precedente e non con l’attualità”. Difatti il film è stato anticipato da tre cortometraggi che ci spiegano cosa sia successo nel 2022, nel 2036 e nel 2048 (nel quale vengono anche presentati il villain Neander Wallace e Sapper Morton interpretati rispettivamente da Jared Leto e Dave Bautista). Nel film si è ampliato il mondo di Blade Runner, uscendo da Los Angeles, arricchendolo di atmosfere retrofuturistiche e apocalittiche a Las Vegas, di luci e colori nuovi e persino di nove extramondi. Alla fotografia Roger Deakins ritorna, dopo Prisoners e Sicario, a collaborare con Villeneuve e si fiuta odore di Oscar. L’intensità poetica dell’immagine è tale che ogni inquadratura è un’opera d’arte vedutista dipinta da un pittore del futuro. I colori sono la cifra aggiunta a questo film di fantascienza che ci regala perle come la silhouette di Ryan Gosling, in mezzo all’inquadratura dalle atmosfere quasi marziane, che richiama la fredda solitudine di “Viandante sul mare di nebbia” e “Donna al tramonto del sole” di Friedrich. Le inquadrature in volo degli “spinner”, le auto volanti, sono l’occasione per Deakins per ampliare il panorama di Blade Runner 2049 non più confinato ad una eterna Los Angeles notturna e piovosa. Il film inizia con una ripresa aerea dei campi freddi e distopici del 2049 che ci immerge fin dal principio in un mondo che rimpiange l’attuazione dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. La neve è il pretesto per regalare giochi di luci e atmosfere inattese ed il mare ha la stessa cupa e biblica forza di un’incisione del Dorè. Due scene probabilmente entreranno nell’immaginario collettivo: la prima una scena d’amore, la seconda un duello a Las vegas. La scena d’amore è un bellissimo uso del digitale per creare un inedito menage a trois tra il protagonista, una replicante e l’applicazione olografica Joi (Ana de Armas), dove non vi è bisogno alcuno di nudità per raccontare. La seconda è un duello a Las Vegas, nel salone di un club, il cui buio e silenzio sono rotti dagli ologrammi e dalle voci di Elvis Presley e di Marilyn Monroe. Il carattere retrofuturistico del film è reso ancor più evidente dalla scelta di non presentare un mondo tecnologicamente molto più avanzato rispetto alla pellicola del 1982. Questa scelta stilistica rende Blade Runner 2049 un innesto credibile al mondo di Deckard. L’espediente del blackout, che ha portato alla distruzione di tutti i dati informatici, causato da un impulso elettromagnetico è un espediente interessante. Non è una novità perché è stato già utilizzato nella serie Tv Dark Angel, creata da James Cameron, dove un ordigno nucleare esplodendo nella ionosfera aveva causato una potentissima onda elettromagnetica che aveva azzerato i sistemi informatici e di comunicazione di gran parte degli Stati Uniti. Questo azzeramento della memoria dei dati informatici è certamente un parallelismo con il fil rouge degli innesti di memoria del protagonista ed è un invito del regista a riflettere su internet come memoria collettiva e su quella individuale. L’espediente viene qui valorizzato, a differenza di Dark Angel, dal ritorno all’uso dell’analogico e questo approccio rende la pellicola molto particolare e interessante. Se nel primo film i replicanti erano ossessionati per le fotografie, in uno struggente tentativo di costruirsi una memoria affettiva per quanto artefatta, in Blade Runner 2049 compare l'espediente del giocattolo. Il protagonista si emoziona come un novello Ulisse alle parole di Demodoco quando ricorda questo frammento della propria memoria: un piccolo cavallo di legno intagliato a mano. Ryan Gosling, l’agente K, sostiene un film lento ed ermetico anche se è evidente la ricerca di rassomigliare al Deckard del 1982. Ana de Armas, l’applicazione Joi, offre un’ottima interpretazione e ci insinua il dubbio che anche un’app può amare. Harrison Ford, l’agente Deckard, si redime dopo la pessima reinterpretazione di Han Solo e ci presenta un personaggio sofferto, invecchiato e credibile che vive autoesiliatosi in compagnia di un cane (vero o replicante che sia è un omaggio a Philip K. Dick). Jared Leto intrepreta il magnate Neander Wallace, il “non cattivo” del film perché ha un ruolo ambiguo e marginale, confinato a poche scene nelle quali si esprime come un profeta biblico mentre gioca a fare il Demiurgo nella sua piramide dorata, ed è carente della funzione cardine per la trama che invece aveva Tyrell nel film del 1982. Wallace è presentato come un magnate cieco, con la barba, a tratti simile ad un profeta veterotestamentario, in altri ad un fantascientifico John Milton e in altri ancora al demiurgo di William Blake. Tuttavia si sente la mancanza di un Roy Batty (Rutger Hauer) che pareva un luciferino angelo caduto, sofferente nella sua ricerca di senso e di vita, e che ci ha donato uno dei monologhi più intensi e famosi della storia del cinema. Quindi Blade Runner 2049 è un ottimo film di fantascienza ma non è un capolavoro come la pellicola del 1982. Nonostante cerchi di creare una propria mitologia grazie ad un Roger Deakins strepitoso, ad allusioni e citazionismi vari, non ha la ruvida e carismatica forza del Blade Runner di Scott. La sceneggiatura non è al pari della fotografia: manca il pathos tragico della compagnia di replicanti di Roy Batty e molte scelte narrative fanno pensare all'inizio di una saga. L'opera di Villeneuve sicuramente rimarrà come modello estetico per i film di fantascienza a venire sia per la fotografia che per la scenografia e gli effetti speciali, ma non è andato oltre e purtroppo non ci ha fatto immaginare le navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione né i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.
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hollyver07
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martedì 17 ottobre 2017
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il piacere visivo non basta! poi un spot...
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Salve. Credo che nei commenti da forum sia ancora presente quello che scrissi qualche tempo fa. Sinceramente ero... "gasato" dall'idea di veder proposta un ambizioso sequel di Blade Runner. Allo stesso tempo, nonostante la scelta del regista (Villeneuve) fosse un ottimo incentivo, avevo il timore che girare un sequel fosse un semplice "esercizio commerciale"... e così, almeno parzialmente, è stato. Parlo poco della storia per evitare sgraditi spoiler (ad oggi è ancora in programmazione) mi limito ad indicare la difficoltà di Ridley Scott sceneggiatore a "patteggiare" con la necessità di rendere appetibile il prodotto, sia agli adoratori dei film sputafuoco (inteso alla grafica CG) sia a coloro che videro l'originale (di troppi anni fa.
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Salve. Credo che nei commenti da forum sia ancora presente quello che scrissi qualche tempo fa. Sinceramente ero... "gasato" dall'idea di veder proposta un ambizioso sequel di Blade Runner. Allo stesso tempo, nonostante la scelta del regista (Villeneuve) fosse un ottimo incentivo, avevo il timore che girare un sequel fosse un semplice "esercizio commerciale"... e così, almeno parzialmente, è stato. Parlo poco della storia per evitare sgraditi spoiler (ad oggi è ancora in programmazione) mi limito ad indicare la difficoltà di Ridley Scott sceneggiatore a "patteggiare" con la necessità di rendere appetibile il prodotto, sia agli adoratori dei film sputafuoco (inteso alla grafica CG) sia a coloro che videro l'originale (di troppi anni fa...) ed amarono l'ambientazione da futuristico noir che il regista allora riuscì a conferirgli. Le invenzioni narrative presenti non sarebbero malvage ma... son davvero troppo ingenue per destare una sincera sorpresa. Segnalo solo (per coloro che conoscano il libro di P.K. Dick) un dialogo tra "k" e Deckard, dove "K" chiede se il cane fosse vero. Nel libro c'è un dialogo molto simiile su un altro animale ma il significato è lo stesso (quindi un omaggio a P.K. Dick). Inoltre, non mi ha convinto per niente l'aver - chiaramente - lasciato intendere una ulteriore prosecuzione dello script. Qualcosa di più si può accennare sull'operato di Villeneuve. Ha optato per l'omaggio a Scott ed alla "sua" creatura, comprendendo il fatto che il produttore fosse proprio Scott, il regista ha proprio sbagliato a non dare un imprintig più deciso e personale al film. Si è limitato a "firmare" chiaramente alcune scene - vedasi le riprese nel "santuario con piscina" di Niander Wallace (con tanta acqua a dominare l'ambiente) - il vetro di separazione di una certa stanza e mani che si posano su esso (già in "Arrival" anche se per altri motivi) ed altre cosette che comunque non hanno chiaramente definito una propria "personalità" del film. Attori... Bene Ryan Gosling fino ad un certo punto... poi subisce la storia e pur essendo il protagonista il suo personaggio sfuma parecchio. Harrison Ford... viaggia a basso ritmo (se ci sarà un ulteriore sequel... alla Warner sono già a far riti pagani perchè non gli capiti nulla) comunque "sorprese" a parte non riesce a spaccare la storia. Qualche bel cammeo, una protagonista virtuale ed una superschizzata replicante non bastano a far decollare i ruoli "spalla" e l'intensa espressività di Robin Wright non sistema le cose. La caratterizzazione meno avvincente è quella di Jared Leto. Il mellifluo "personaggio" non lo aiutava molto ma la sua caratterizzazione non mi è parsa intonata. Ritmo narrativo e montaggio non mi sono apparsi realmente in sintonia. Vero che una struttura troppo lineare non avrebbe pemesso le necessarie pause di sospensione tra azione, dialoghi ed i momenti introspettivi inseriti nella sceneggiatura... L'insieme comunque non appare funzionale e con la giusta ritmica. Fotografia, Scenografia e C.G. ... onestamente nulla da eccepire, alta qualità a profusione. Musiche ed accompagnamento sonoro... non adeguati a conferire phatos alle immagini, bocciata senza appello. Ultima cosa... per la quale il mio gradimento del film, almeno per qualche istante, è sceso sotto la suola delle scarpe - Già in Blade Runner c'erano immagini commerciali più o meno evidenti e più o meno tollerabili. In questo B.R. 2049... l'aver "dedicato" quasi una scena intera per inquadrare un marchio automobilistico francese, tra l'altro scritto per esteso frontalmente, è stata una cosa a dir poco assurda. E' naturale che film come questo necessitino di parecchi sponsor ma esagerare... è sempre un difetto... e sembrava d'aver assistito ad un commercial d'autore. In definitiva... è un film tecnicamente ben realizzato, ottimo impatto visivo, inadeguata la colonna sonora, scene di lotta di buon impatto (nel finale) ed una consistente carenza di pathos narrativo. Riesce ad intrattenere adeguatamente per esclusivo piacere visivo ma... si perde e confonde nella sua stessa ambizione in termini di storia. Lo consiglio...? Si... soprattutto a coloro che non abbiano mai visto il "Blade Runner" di parecchi anni fa. Saluti e buona visione
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mattomarinaio
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lunedì 16 ottobre 2017
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apprezziamo l'impegno
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Le aspettative erano bassissime. Abituati a decine di seguiti e remake pensati esclusivamente per sfruttare la nostalgia dei fan e trasformare vecchi classici in nuovi franchise adatti ad un pubblico più vasto e affezionato possibile, non ci si può immaginare altro che mediocrità. Questa volta però, la scelta di ingaggiare Denis Villeneuve ci ha dato un segnale si speranza riguardo all’opera che la produzione cercava di ottenere. Il risultato? … sopra ogni aspettativa.
Fin dalle prime immagini ci accorgiamo che l’intenzione era veramente ambiziosa, e l’impegno ai massimi livelli.
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Le aspettative erano bassissime. Abituati a decine di seguiti e remake pensati esclusivamente per sfruttare la nostalgia dei fan e trasformare vecchi classici in nuovi franchise adatti ad un pubblico più vasto e affezionato possibile, non ci si può immaginare altro che mediocrità. Questa volta però, la scelta di ingaggiare Denis Villeneuve ci ha dato un segnale si speranza riguardo all’opera che la produzione cercava di ottenere. Il risultato? … sopra ogni aspettativa.
Fin dalle prime immagini ci accorgiamo che l’intenzione era veramente ambiziosa, e l’impegno ai massimi livelli. Villeneuve si è dimostrato un’ottima scelta confermando tutte le capacità già dimostrate nel bellissimo “Arrival”, confezionando un prodotto di qualità: moderno, visivamente superbo, rispettoso dello stile e dell’atmosfera del "Blade Runner" dell'82. Figlio di un cinema sofisticato, fatto di dettagli, di analisi, lontano dalla frenesia del cinema odierno, Villeneuve utilizza alla perfezione i potenti mezzi a sua disposizione per prendere spunto dall’universo di Blade Runner ampliarlo, portando i protagonisti oltre i confini dei pochi set dell’originale, inventando nuovi ambienti curati in ogni dettaglio, visivamente straordinari e realistici. Grazie ad un ritmo lento ma ben calcolato, immagine dopo immagine, sequenza dopo sequenza, lo spettatore si trasforma in investigatore accanto al protagonista. Chi è in sala ha infatti tutto il tempo di osservare con attenzione ogni dettaglio delle scenografie, dei costumi, delle espressioni dei protagonisti, come se fosse un compare di K il cacciatore di replicanti interpretato da Ryang Gosling.
Purtroppo, nonostante i buoni risultati, questo Blade Runner 2049 non è esente da difetti. L’eccessiva lentezza ostentata in alcune scene che non ne avevano bisogno è una delle critiche più diffuse. Nel film originale, l’alternanza di ritmo era uno strumento grazie al quale il regista poteva comandare a piacimento l’interesse dello spettatore, convogliare le attenzioni e stimolare emozioni. In questo film invece si adotta la solita soluzione per tutta la durata del film, conferendo la medesima importanza ad ogni singolo fotogramma con conseguente appiattimento delle dinamiche narrative.
Anche tra i protagonisti c’è qualche personaggio criticabile. Se nel film di Ridley Scott non si percepisce la presenza di buoni e cattivi ma solo di esseri appartenenti a diverse realtà che cercano di difendere e preservare la loro vita, in questo nuovo capitolo ci troviamo di fronte alle solite figure standard dell’action movie americano. Un grave calo di stile è ad esempio il personaggio di Wallace (malamente interpretato da Jared Leto), il classico scienziato pazzo e incompetente, invidioso del suo geniale predecessore. Altrettanto imbarazzante è la sua segretaria tuttofare; una replicante assassina, rabbiosa e sadica che elimina chiunque intralci i suoi piani. Non a caso Hanz Zimmer scrive per lei un tema musicale che ricorda quello di Terminator. Luv (così si chiama la terminatrice) è anche protagonista dei peggiori cliché da film di sere B, ovvero l’abitudine di ferire e lasciare in vita il suo nemico, permettendogli di tornare più agguerrito che mai (e questo per ben due volte!). Davvero ottimo invece il personaggio di Sapper, interpretato da Dave Bautista,
Altra nota dolente è la mancanza di originalità e di coraggio. Per paura di rivelare troppo e risolvere gli interrogativi con i quali il film dell’82 ci aveva lasciati, questo capitolo non racconta nulla di nuovo, non reinventa e non stupisce, ma si limita a farci rivedere con occhi più maturi, quello che già sappiamo, o ad inserire situazioni già viste in decine di sceneggiature di fantascienza. Dove nel primo film si viveva il dramma dei replicanti, così diversi, tanto meravigliosi quanto limitati, qui ci troviamo davanti a creature che non invidiano niente degli umani se non la loro libertà, e la sceneggiatura scivola ancora una volta sul solito scontro fra razze (si consiglia la visione de “Il secondo rinascimento” contenuto in “Animatrix”, o “I figli degli uomini” di Alfonso Cuaròn, se proprio non si vuole riprendere in mano la saga de “Il pianeta delle scimmie”).
Veniamo adesso alle scenografie, alla fotografia, alle luci, a tutto ciò che ha reso del buon vecchio “Blade Runner” un capolavoro visivo. Per il suo nuovo film, Villeneuve sceglie di aumentare la sensazione di claustrofobia attraverso una fitta nebbia e una pioggia inarrestabile riuscendo sì nell’intento, ma offuscando la bellezza delle inquadrature aeree cittadine, che in questo modo, nonostante le tecnologie odierne, non restituiscono l’impatto delle riprese di Ridley Scott. Le scene metropolitane inoltre faticano a replicare la sensazione originale di sporcizia e decadenza maleodorante dell’originale, avvicinandosi ad un’iconografia del futuro più classica, pulita e ordinata, ben lontana da quell’immaginario cyberpunk che “Blade Runner” aveva contribuito a creare.
Nonostante i numerosi difetti che non lo rendono il capolavoro acclamato da molti, il film resta comunque piacevole, maestoso, trascinante, e meritevole di visione.
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xerox
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lunedì 16 ottobre 2017
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noiosissimo...
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Troppo lungo, troppo lento, troppo noioso.
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samanta
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lunedì 16 ottobre 2017
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perché non credete nel miracolo
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Una prima precisazione: il film, sequel di Blad Runner è strettamente collegato a questo. Per cui resta difficile dopo 36 anni che lo spettatore che non ha visto recentemente il primo comprenda a pieno la nuova storia già di per sé complessa. Brevemente accenniamo alla trama: nel film precedente avevamo lasciato Rich (Harrison Ford) cacciatore dei replicanti che si erano ribellati e Rachael (una splendida Sean Young che purtroppo ha avuto una carriera infelice) che è una replicante e che innamorati abbandonano insieme Los Angeles del 2019.
Nel sequel (avvertimento SPOILER) siamo sempre a L.A. nel 2049 che dopo la catastrofe avvenuta 30 anni prima è stato riorganizzata economicamente da un finanziere filantropo Wallace (Jared Leto) che ha deciso la produzione di un nuovo tipo di replicanti obbedienti e la caccia ai superstiti del precedente tipo.
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Una prima precisazione: il film, sequel di Blad Runner è strettamente collegato a questo. Per cui resta difficile dopo 36 anni che lo spettatore che non ha visto recentemente il primo comprenda a pieno la nuova storia già di per sé complessa. Brevemente accenniamo alla trama: nel film precedente avevamo lasciato Rich (Harrison Ford) cacciatore dei replicanti che si erano ribellati e Rachael (una splendida Sean Young che purtroppo ha avuto una carriera infelice) che è una replicante e che innamorati abbandonano insieme Los Angeles del 2019.
Nel sequel (avvertimento SPOILER) siamo sempre a L.A. nel 2049 che dopo la catastrofe avvenuta 30 anni prima è stato riorganizzata economicamente da un finanziere filantropo Wallace (Jared Leto) che ha deciso la produzione di un nuovo tipo di replicanti obbedienti e la caccia ai superstiti del precedente tipo. K (Ryan Gosling) è un replicante agente della polizia, addetto alla caccia dei superstiti alle dipendente del tenente Joshi (Robin Wright). K uccidendo un replicante che morendo gli dice "perché non credete nel miracolo", scopre delle tracce che dimostrano che una donna replicante aveva partorito nel 2021, analizzando queste tracce lasciate dal morto e che corrispondono alle memorie inserite nel suo cervello, K ritiene che suo padre sia Rick che vive nella vecchia L.A. abbandonata e che ritrova (sempre impersonato da Harrison Ford). Mi fermo qui nella trama per non rovinare la visione del finale con i suoi inevitabili colpi di scena.
Per quanto riguarda il film un'osservazione critica riguarda la sua lunghezza (quasi tre ore) e la lentezza, se il primo film era stato criticato perché lento questo presenta lungaggini ben più estese. Non è cambiata l'atmosfera meteorologica piove sempre l'unica novità è l'alternarsi con la neve, il regista (Ridley Scott è il produttore) che è Denis Villeneuve ((Arrival il suo precedente film) ha preferito una fotografia più nitida, ha abbandonato l'ambientazione lugubre e disordinata del precedente film che peraltro colpiva l'immaginazione per la novità dei temi trattati e dell'ambiente. Temi che ritornano in questo film: l'uomo può essere creatore ovvero l'anima è un qualche cosa che sfugge al suo controllo? Joshi dice a K " devi comprendere che si può vivere senza anima" ma è possibile questo? Purtuttavia il film sostanzialmente delude proprio perché è ambiguo, d'altra parte non si vede l'utilità di un sequel dopo 36 anni, sarebbe stato meglio un film che riprendesse tali tematiche, ma del tutto nuovo come sceneggiatura. L'intepretazione è molto buona per alcuni interpreti specie Ryan Gosling che fa una parte molto difficile, ottimi Robin Wright e Harrison Ford che gigioneggia in modo contenuto, mediocri gli altri come ad esempio Ama de Armas che interpreta Joi l'amante virtuale di K e che ha al suo attivo alcuni film scollacciati. Per concludere domanda Ridley Scott perché hai voluto fare un sequel,? A mio avviso non se ne vede da un punto di vista artistico l'utilità.
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ziosam
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lunedì 16 ottobre 2017
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mah. anzi, anche no.
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Mah. Anzi, più che "mah", "anche no". Sarà perchè era stato pompato ad arte dalla macchina promozionale della Warner, con tanto di laute mance (immagino) ai critici americani che avevano sfoderato paragoni con Tarkovsky, ma già dai trailers sentivo puzza di bruciato. Intendiamoci, non è un film brutto, non è una serie B nè una serie C, diciamo che è un brutto film di serie A. Ma d'altronde, il progetto era ambizioso: produrre il sequel di una delle pietre miliari della cinematografia, che ha influenzato l'immaginario collettivo di milioni di persone, sarebbe stato un po' come vincere i mondiali due volte di seguito.
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Mah. Anzi, più che "mah", "anche no". Sarà perchè era stato pompato ad arte dalla macchina promozionale della Warner, con tanto di laute mance (immagino) ai critici americani che avevano sfoderato paragoni con Tarkovsky, ma già dai trailers sentivo puzza di bruciato. Intendiamoci, non è un film brutto, non è una serie B nè una serie C, diciamo che è un brutto film di serie A. Ma d'altronde, il progetto era ambizioso: produrre il sequel di una delle pietre miliari della cinematografia, che ha influenzato l'immaginario collettivo di milioni di persone, sarebbe stato un po' come vincere i mondiali due volte di seguito. Mi spiace, Dennis Villeneuve: eliminato alle qualificazioni. Fotograficamente la pellicola è anche buona, punto della bandiera, benchè il richiamo alle ambientazioni dark della pellicola originale sia stato snaturato. Per non parlare delle musiche, che scimmiottano vagamente Vangelis ma che di certo non entreranno nella storia come le sue.
Il film è inutilmente lento, lineare, prevedibile anche nel colpo di scena. Non si vede l'ora che finisca, ed in effetti non finisce mai. Il protagonista è accettabile, benchè da Ryan Gosling ci si possa aspettare solo Ryan Gosling - espressività pari a quella di un gatto di marmo, ma "dopotutto è un androide", si saranno detti. Però anche Rutger Hauer era un androide... E il cattivo di turno? Nulla più che una via di mezzo fra Carmelo Bene e Jodorowsky. Fortuna Harrison Ford: da quando entra in scena lui è tutta un'altra cosa, e non è nostalgia ma onore al merito. Peccato che ce lo abbiano fatto assaggiare solo nell'ultima ora. La parola che meglio lo riassume è "pretenzioso": a tratti confuso, con riferimenti raffazzonati all'originale. Ha lo stesso difetto di Interstellar di Nolan: è una gigantesca supercazzola prematurata. Voto 6 solo perchè è di serie A.
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xerox
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lunedì 16 ottobre 2017
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non ce la possono fare... non ce la possono fare..
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Lasciamo molto volentieri l'esegesi della storia ai cultori della saga (il terzo sarà la ribellione dei replicanti). Per quanto ci riguarda: troppo lungo, troppo lento, troppo noioso. A un certo punto i primi piani di Gosling risultano veramente fastidiosi. Perchè non ce la possono fare? Perchè gli americani, facciano un film sul nazismo o un musical, NON POSSONO FARE A MENO DI BERE!!! E soprattutto bere whisky. Oggi il cinema americano è fatto dai produttori di whisky!!!
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ilcirro
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lunedì 16 ottobre 2017
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sarebbe un capolavoro, ma...
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L'attesissimo sequel del leggendario film di Ridley Scott si rivela un'opera magmatica e complessa. L'apparato spettacolare è a dir poco eccezionale, soprattutto grazie a una colonna sonora potentissima e a un affascinante complesso di ricostruzioni distopiche mutuate non solo dal film originale. A far discutere sono senz'altro le scelte di sceneggiatura: incredibilmente, le rivelazioni fondamentali della trama sono piazzate tutte all'inizio e, a dire il vero, lo spettatore le capisce ancor prima che siano esplicitate. Da qui si dipanano molte linee tematiche narrate con tempi eccessivamente dilatati, fino ad arrivare ad un non-finale che rimanda tutto ad un altro possibile sequel.
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L'attesissimo sequel del leggendario film di Ridley Scott si rivela un'opera magmatica e complessa. L'apparato spettacolare è a dir poco eccezionale, soprattutto grazie a una colonna sonora potentissima e a un affascinante complesso di ricostruzioni distopiche mutuate non solo dal film originale. A far discutere sono senz'altro le scelte di sceneggiatura: incredibilmente, le rivelazioni fondamentali della trama sono piazzate tutte all'inizio e, a dire il vero, lo spettatore le capisce ancor prima che siano esplicitate. Da qui si dipanano molte linee tematiche narrate con tempi eccessivamente dilatati, fino ad arrivare ad un non-finale che rimanda tutto ad un altro possibile sequel. Peccato. Un maggior rispetto per lo spettatore non avrebbe guastato: che senso ha raccontare una storia di 2 ore e 35 minuti senza concludere quasi nulla? Eppure i temi aperti dal fim sono affascinanti e potenzialmente incendiari: la sostanziale incomunicabilità tra uomo e donna, con il sesso che diventa sempre più virtuale, lo sviluppo dell'intelligenza artificiale e del suo affrancamento dal creatore umano, la nascita di forme di vita pseudoumane che desiderano competere con l'uomo, il significato dell'essere padre/madre e figlio, tanto in chiave umana, quanto biblica, la memoria come elemento qualificante della vita materiale, ecc..
Tanta carne al fuoco: un paradiso per gli amanti della fantascienza. Ma è un po' come avere tutti gli ingredienti sul tavolo e rimandare il dolce ad un'altra occasione.
In sostanza si è scelto di abortire un capolavoro definitivo per apparecchiare un nuovo sequel, quanto mai azzardato. La sconfitta, o per lo meno, la sudditanza del cinema al cospetto della tv seriale. Speriamo che le intenzioni siano altre, ma Blade Runner non meriterebbe di finire come un triste simualcro di The Walking Dead.
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xerox
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domenica 15 ottobre 2017
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e' inutile, non ce la possono fare...
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Lasciamo molto volentieri ai cultori della saga l'esegesi del film... Per quel che ci riguarda: film troppo lento, troppo lungo, troppo noioso. E poi è inutile: gli americani non ce la fanno proprio a fare un film (che si tratti di un cartone o uno di fantasy) che non faccia pubblicità occulta ai produttori di whisky. Tranquilli, che anche nel 2049 si trincano superalcolici che è una bellezza!
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