lucaagnifili
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domenica 15 ottobre 2017
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ottimo sequel/remake....
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Il mio commento solo per dare il 4 stelle al film, più che meritate. Ormai hanno scritto tutto sul film; mi adeguo alla maggioranza, ponendo in evidenza solo il fatto che rispetto all'originale il film ha alcun che in meno di umano, visto che la maggioranza dei protagonisti sono dei lavori in per la. Ne esistessero di sequel così.
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cristian
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domenica 15 ottobre 2017
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villeneuve sfida se stesso e vince!
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Denis Villeneuve, regista di Prisoners e del recentissimo Arrival, sfida se stesso con Blade Runner 2049, ardito sequel del capolavoro assoluto del 1982 girato da Ridley Scott. Il confronto tra i due lavori è inevitabile quanto inutile: due epoche diverse e un paragone che a prescindere avrebbe visto perdere Villeneue, dimostratosi magistrale nel far viaggiare la sua opera su binari personali e autonomi, superando la prova brillantemente.
Anno 2049. Il blade runner, Agente K (Ryan Gosling) della polizia di Los Angeles agisce a trent’anni di distanza da Deckart (Harrison Ford).
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Denis Villeneuve, regista di Prisoners e del recentissimo Arrival, sfida se stesso con Blade Runner 2049, ardito sequel del capolavoro assoluto del 1982 girato da Ridley Scott. Il confronto tra i due lavori è inevitabile quanto inutile: due epoche diverse e un paragone che a prescindere avrebbe visto perdere Villeneue, dimostratosi magistrale nel far viaggiare la sua opera su binari personali e autonomi, superando la prova brillantemente.
Anno 2049. Il blade runner, Agente K (Ryan Gosling) della polizia di Los Angeles agisce a trent’anni di distanza da Deckart (Harrison Ford). La Tyrell è ormai fallita, i suoi replicanti dichiarati fuori legge, ma Niander Wallace (Jared Leto) riesce a riprendere il progetto dichiarando di essere capace di realizzare “lavori in pelle” perfetti e obbedienti. Durante una missione K ha a che fare con un vecchio Nexus da eliminare, ma scopre qualcosa che fa vacillare tutte le sue certezze. Deve, quindi, indagare più a fondo per scoprire la verità circa il proprio passato.
Blade Runner 2049 è innanzitutto un omaggio prima che un sequel, un ritorno ammirato e ammirevole a quelle atmosfere della Los Angeles del 1982, o meglio del 2019, dove pioggia battente e oscurità perenne camminavano a braccetto con una tecnologia super avanzata e un’umanità al collasso. Denis Villeneuve riprende, in parte, quella dimensione a cui ne unisce un’altra grazie alla quale si riescono a percepire gli anni trascorsi.
L’Agente K si muove in una città che pare più affollata di edifici altissimi e fatiscenti che di persone. Il personaggio di Ryan Gosling eredita lo scettro di Blade Runner dal Rick Deckard di Harrison Ford e si immerge in un’avventura per certi versi parallela a quella del suo predecessore.
L’umanità, intesa come modo di sentire proprio di un essere vivente, è sempre un tema di forte attrazione. La prospettiva assunta da Villeneuve mette in primo piano una domanda dal fascino millenario: cos’è che ci rende davvero umani? Le nostre origini, i ricordi di un tempo passato?
La Tyrell prima e la società di Niander Wallace poi, creano esseri il cui unico scopo è quello di obbedire, ma il fatto che questi esseri posseggano una propria intelligenza, pure tenuta periodicamente sotto controllo e sopita, li rende capaci di apprezzare il miracolo della vita.
Non sono, dunque, i replicanti più umani degli umani stessi? L’uomo rappresentato in Blade Runner 2049 vive passivamente in una società che è da tempo caduta in rovina, ha sperperato le risorse, compromesso l’ambiente, ridotto l’essere umano ad un inerme incassatore assuefatto dal decadimento che divora chi non fa della propria vita un’occasione irripetibile. I replicanti non sono altro quello che gli umani dovrebbero essere: coscienti di una spietata condizione, padroni del proprio destino e pronti a sovvertire l’ordine costituito.
Villeneuve omaggia, ringrazia e poi si discosta con ossequioso rispetto dall’inarrivabile prequel, marcando la nuova opera con la sua impronta inconfondibile, fatta di tempi dilatati ma pieni di senso e di una storia che invita a farsi svelare. Il regista canadese, maestro dei colpi di scena, scopre le carte, poi magistralmente le rimescola, confondendo e appassionando lo spettatore.
Memorabili resteranno alcune scene girate in cornici scenografiche pregevoli, in cui si respira un’aria intrisa di un passato buio, ma che pure ha avuto lampi di luce.
Ryan Gosling: Agente K
Freddo e duro come in Drive di Refn, Gosling si conferma, ancora una volta, tra i migliori attori in circolazione. Il suo Agente K vive per lavorare, disprezzato per ciò che fa, condivide l’appartamento con una donna-ologramma di nome Joi (Ana de Armas), progettata per dare affetto in un mondo che ha dimenticato l’importanza dei legami. K comunica soprattutto con la sua fisicità più che con la parola, esegue ordini e avverte un profondo turbamento a causa di ciò che scopre. Il turbinio di emozioni mai provate che lo coinvolge gli fa accantonare ogni altra cosa, l’unico scopo adesso è dare un senso alla sua vita.
Harrison Ford: Rick Deckard
Il peso degli anni si avverte sin dalla prima inquadratura che lo vede protagonista. Rick Deckard è il simbolo di un’umanità che ha perso tutto, un uomo rassegnato, consapevole di essere riuscito ad amare laddove il sistema pareva impedirlo.
Jared Leto e Sylvia Hoeks / Neander Wallace e Luv
Il ricco e potente Neander Wallace compare poco in scena, ma tanto basta per trasmettere ogni volta la sua aura negativa allo spettatore. La sua cecità, la lentezza nei movimenti e nel modo di parlare rendono bene l’immagine di un uomo complesso, tormentato, ossessionato e spietato.
Sylvia Hoeks, nei panni Luv, umile serva di Wallace, colpisce per la sua interpretazione intensa ed espressiva. La devozione smisurata nei confronti di Wallace, suo creatore, la rende una macchina spietata e disposta a tutto.
Blade Runner 2049è forse uno dei filmpiù riusciti degli ultimi anni. L’opera di Villeneuve non è, come è ovvio, ai livelli del capolavoro di Scott, ma ha il grande merito di fregiarsi di una propria identità e, in parte, di distaccarsi dall’opera madre, dando vita ad un universo pronto d’ora in avanti a camminare anche da solo.
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orione95
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domenica 15 ottobre 2017
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una novella sull’esistenza dall’incredibile impatto visivo
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Un‘opera che non necessita di parole per trasmettere un messaggio che, nella sua palese cripticità, appare fin troppo evidente. L’umanità non è affatto una conseguenza del nascere, ma una difficile ed ardua conquista. La parabola esistenziale messa in scena dal Villeneuve si confronta con temi forse ben al di là del cinema attuale, quanto meno del genere fantascientifico. È evidente uno spasmodico tentativo di riscoprire le atmosfere dei tempi che furono, ma a ben vedere quel 1982 appare ormai piuttosto lontano. Il cinema è cambiato, noi spettatori siamo cambiati. Eppure non dispiace affatto il respiro ampiamente onirico impresso alla pellicola dal regista canadese, sempre sotto il vigile e attento controllo di Scott, il quale sembra davvero esser rimasto costretto dal suo ruolo di produttore esecutivo.
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Un‘opera che non necessita di parole per trasmettere un messaggio che, nella sua palese cripticità, appare fin troppo evidente. L’umanità non è affatto una conseguenza del nascere, ma una difficile ed ardua conquista. La parabola esistenziale messa in scena dal Villeneuve si confronta con temi forse ben al di là del cinema attuale, quanto meno del genere fantascientifico. È evidente uno spasmodico tentativo di riscoprire le atmosfere dei tempi che furono, ma a ben vedere quel 1982 appare ormai piuttosto lontano. Il cinema è cambiato, noi spettatori siamo cambiati. Eppure non dispiace affatto il respiro ampiamente onirico impresso alla pellicola dal regista canadese, sempre sotto il vigile e attento controllo di Scott, il quale sembra davvero esser rimasto costretto dal suo ruolo di produttore esecutivo. Sul versante tecnico Roger Deakins compie un mezzo miracolo: la sua fotografia talmente evocativa imprime nella mente dello spettatore scenari climaticamente vivi e meravigliosamente distopici. D’altro canto da un artista come il Deakins, nominato più di dieci volte al massimo riconoscimento, non era lecito aspettarsi di meno. E se poi ad un simile genio se ne accompagna un’altro del calibro del Maestro Hans Zimmer, il gioco è fatto. Anche il comparto sonoro infatti rappresenta un vero e proprio miracolo: l’atmosfera del cult precedente rimane pressoché intatta, e (buona) parte del merito non può che attribuirsi ad un soundtrack lungamente ragionato. Dunque vittoria su tutti i fronti per l’ambizioso progetto del Villeneuve? Beh, non proprio. A ben vedere infatti Blade Runner 2049 presenta evidenti difetti che, visto il nome che porta, non può davvero concedersi. Innanzitutto non è affatto possibile ignorare il ritmo schizofrenico che talvolta il film assume, ritmo che offre il fianco a numerosi momenti di stanca, mascherati abilmente da velate riflessioni pseudo-filosofiche ed abbondanti riferimenti all’originale che tuttavia non riescono a stabilizzare il susseguirsi di scene ahimè tali da infrangere l’altrimenti godibilissimo andamento dell’opera. Infine la sfumatura forse più evidente in quello che altrimenti si presenterebbe davvero come un meraviglioso diamante: l’indecisione costante del Villeneuve, che nello spasmodico tentativo di espandere l’universo di quella che a conti fatti si imporrà presto come una saga cult del cinema contemporaneo, si lascia trasportare, ed incapace di porre un limite ai suoi sfrenati impulsi creativi, finisce coll’attingere in modo più che sfacciato da altre saghe e da altri mondi dell’immaginario collettivo fantascientifico. Tante, troppe volte dunque lo spettatore è colto, nell’estasi dei curatissimi fotogrammi che si susseguono, da una turpe sensazione di già visto. A conti fatti è forse il tempo il più grande nemico da abbattere per questo nuovo Blade Runner 2049: d’altro canto 35 anni non si lavano mica così, con un colpo di spugna. E le difficoltà incontrate dal Villeneuve nel riproporre al pubblico, un pubblico ripeto che non è più quello degli anni 80, un prodotto come Blade Runner, dal respiro quanto mai filosofico ed onirico, sono tristemente evidenti soprattutto sotto il versante dei biglietti venduti (ed in modo particolare in madre patria), complice forse anche una durata della pellicola, 152 minuti, che decisamente non si sposa con i gusti di una buona fetta del pubblico contemporaneo. Tuttavia i dati di vendita giammai hanno avvilito, ne mai dovrebbero, un giudizio imparziale su di una qualsiasi opera d’arte. Ed il cinema, lo si ricordi sempre, è prima di tutto arte, come d’altro canto più che efficacemente dimostra Blade Runner 2049. In conclusione, appare doveroso sottolineare la perfezione sul piano attoriale delle performance di Ryan Gosling (il novello protagonista agente K) e Jared Leto (il visionario Neander Wallace). Dal canto suo anche Harrison Ford c’è la mette davvero tutta nel rivestire con credibilità i panni dello storico protagonista Rick Deckard, ma forse è proprio lui, più di ogni altra componente del film, a subire l’ingrato e crudele giudizio del tempo.
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harloch74
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domenica 15 ottobre 2017
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30 anni dopo…
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Fare un seguito di Blade runner significa camminare su un campo minato.rischi di saltare in aria senza neanche accorgertene e in pochi (me compreso) avrebbero scommesso sulla riuscita di una simile impresa.Invece Denis Villeneuve è riuscito a uscire da quel campo con pochissime ferite.Come è allora questo Blade runner 30 anni dopo? È meglio del primo? Decisamente no.E’fatto bene? Sicuramente si.Poteva essere meglio?nei limiti del paragone probabilmente no.Era difficilissimo poter competere con l’originale per tante,troppe ragioni.Per l’impatto culturale che è stato praticamente alla base di un intero immaginario di film,fumetti,anime per un ventennio e passa dalla sua uscita,oltre che per l’impatto visivo e per la forza espressiva dei personaggi del primo.
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Fare un seguito di Blade runner significa camminare su un campo minato.rischi di saltare in aria senza neanche accorgertene e in pochi (me compreso) avrebbero scommesso sulla riuscita di una simile impresa.Invece Denis Villeneuve è riuscito a uscire da quel campo con pochissime ferite.Come è allora questo Blade runner 30 anni dopo? È meglio del primo? Decisamente no.E’fatto bene? Sicuramente si.Poteva essere meglio?nei limiti del paragone probabilmente no.Era difficilissimo poter competere con l’originale per tante,troppe ragioni.Per l’impatto culturale che è stato praticamente alla base di un intero immaginario di film,fumetti,anime per un ventennio e passa dalla sua uscita,oltre che per l’impatto visivo e per la forza espressiva dei personaggi del primo.Villeneuve ne è perfettamente consapevole di tutto e crea un film con un ottimo impatto visivo plausibile al mondo di Blade runner 30 anni dopo,cercando di legare i fili con l’illustre predecessore chiudendo dei cerchi a mio parere forse in maniera troppo semplicistica ma comunque ottimale,dovendo conciliare esigenze di mercato e critica.Meglio di così era un miracolo.
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franz
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sabato 14 ottobre 2017
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non ho mai visto un film così brutto
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non ho mai visto un film così brutto: brutta la regia, brutta la scenografia, brutta la fotografia, brutta la colonna sonora, trama inesistente, brutti i costumi, brutta anche la recitazione - non ho mai visto un film così brutto.
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carloalberto
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sabato 14 ottobre 2017
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sequel senza poesia
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Le atmosfere sono state ricreate alla perfezione: le macchine volanti, con la scocca delle berline di oggi, che sfrecciano sotto una pioggia incessante tra grigi grattacieli su cui giganteggiano pubblicità sfavillanti con sottofondo annesso di cantilenanti ipnotiche voci orientali, i replicanti di prima generazione da ritirare perché ribelli dal mercato a cura, adesso, di un nuovo cacciatore, che ha sostituito Harrison Ford, nel frattempo invecchiato e ritiratosi in un albergo abbandonato di una distrutta Las Vegas. La colonna sonora, potente e impressionante, rende, simmetricamente, cupe le immagini di un mondo post tecnologico scampato a un disastro apocalittico. Suggestivo l’amore del nuovo blade runner per un ologramma di donna, metafora del solipsismo dell’uomo moderno sempre più immerso in realtà virtuali, come suggestiva è la suoneria del cellulare di Pierino e il lupo di Prokofiev, che richiama la bellezza di un mondo oramai perduto.
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Le atmosfere sono state ricreate alla perfezione: le macchine volanti, con la scocca delle berline di oggi, che sfrecciano sotto una pioggia incessante tra grigi grattacieli su cui giganteggiano pubblicità sfavillanti con sottofondo annesso di cantilenanti ipnotiche voci orientali, i replicanti di prima generazione da ritirare perché ribelli dal mercato a cura, adesso, di un nuovo cacciatore, che ha sostituito Harrison Ford, nel frattempo invecchiato e ritiratosi in un albergo abbandonato di una distrutta Las Vegas. La colonna sonora, potente e impressionante, rende, simmetricamente, cupe le immagini di un mondo post tecnologico scampato a un disastro apocalittico. Suggestivo l’amore del nuovo blade runner per un ologramma di donna, metafora del solipsismo dell’uomo moderno sempre più immerso in realtà virtuali, come suggestiva è la suoneria del cellulare di Pierino e il lupo di Prokofiev, che richiama la bellezza di un mondo oramai perduto. Tuttavia, il film più che un sequel è un clone o, per restare nel tema, un replicante del primo Blade Runner, senza la poesia che lo ha reso memorabile, facendone un cult movie di fantascienza e rendendo immortali le lacrime di Rutger Hauer che si perdono nella pioggia.
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rudy_50
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sabato 14 ottobre 2017
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scusate, mi sono addormentato...
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Gli attori saranno bravi, il regista pure, glu effetti speciali ben fatti ma che film di mrd, noioso fino all'inverosimile, mi sono adormentato minimo 5 volte. come fa a piacervi un film simile ?
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marco melli
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sabato 14 ottobre 2017
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decisamente bello.
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Fare un sequel di un film così visionario e amato come Blade Runner è un'impresa titanica. Devo dire che Villeneuve ci è riuscito in pieno. ha Mantenuto l'atmosfera i ritmi E i tempi del film originario, e ha creato una storia non banale e ricca anche essa di significato come nel primo. Il film mi è piaciuto molto credo che fare di meglio era davvero impossibile. Aggiungo che sono un fan della fantascienza e di Blade Runner in particolare.
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orion84
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venerdì 13 ottobre 2017
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come dovrebbe essere il sequel di un cult
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Quando ci si appresta a vedere un film come Blade Runner 2049 il sentimento dello spettatore, del fan, è sempre diviso: da un lato l’aspettativa e l’emozione, dall’altro la paura del flop.
Togliamo subito il primo dubbio: Blade Runner 2049 è un film bellissimo.
Non mi sento di gridare al capolavoro, termine abusato ormai, però è innegabile che il lavoro fatto da Villeneuve e dai suoi collaboratori è notevolissimo. Non era facile in effetti presentare un futuro dove l’universo di Blade Runner (punk e decisamente anni ‘80) trovasse ancora posto e fosse almeno credibile; invece lo spettatore riesce incredibilmente a sentirsi a casa ma anche a non sorridere di fronte all’ambientazione decadente e al tempo stesso ipertecnologica che fece del primo film un cult assoluto.
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Quando ci si appresta a vedere un film come Blade Runner 2049 il sentimento dello spettatore, del fan, è sempre diviso: da un lato l’aspettativa e l’emozione, dall’altro la paura del flop.
Togliamo subito il primo dubbio: Blade Runner 2049 è un film bellissimo.
Non mi sento di gridare al capolavoro, termine abusato ormai, però è innegabile che il lavoro fatto da Villeneuve e dai suoi collaboratori è notevolissimo. Non era facile in effetti presentare un futuro dove l’universo di Blade Runner (punk e decisamente anni ‘80) trovasse ancora posto e fosse almeno credibile; invece lo spettatore riesce incredibilmente a sentirsi a casa ma anche a non sorridere di fronte all’ambientazione decadente e al tempo stesso ipertecnologica che fece del primo film un cult assoluto. Qui ritroviamo tutto e di più, un lavoro eccezionale che merita un plauso e speriamo anche qualche oscar....
La trama del film non è il caso di svelarla, ma di certo ci troviamo di fronte ad un vero e proprio sequel, uno dei migliori che io ricordi (e visti i 35 anni di distanza dal primo non era certo facile) studiato nei minimi dettagli e assolutamente credibile, senza dubbio poi la sceneggiatura di stampo moderno è assolutamente più adeguata rispetto a quella ormai datata del primo film.
Nulla da dire nemmeno sul comparto sonoro (potentissimo e coinvolgente) e sugli attori scelti..se il buon vecchio Harry era necessario, e fa comunque la sua figura, splende anche qui la prova di Ryan Gosling che ormai si può annoverare senza paura di sbagliare come il miglior attore della sua generazione: bello, credibile in ogni ruolo e capace qui di rendere i sentimenti del replicante in un modo che nemmeno il mitico Hauer era riuscito.
Cosa manca dunque a questo film? Manca un “cattivo” all’altezza della situazione (Leto francamente sottotono per non dire peggio), e mancano alcuni dialoghi che rimangano scolpiti nella memoria. In effetti si esce dalla sala con la sensazione di aver visto un grande film, ma che non sarà mai un cult come il suo predecessore, che dopo 35 anni ancora emoziona io suoi fans al pensiero di “Io ne ho viste cose che voi umani...”
Nel complesso comunque un film d’eccezione che per me va di diritto in cima alla classifica dei migliori del 2017 (e non solo).
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clavius
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venerdì 13 ottobre 2017
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tra il messianico e una questione privata
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Di un'appendice al Blade Runner dell'82 non se ne sentiva affatto il bisogno. Non a caso il film di Villeneuve è ossequioso verso il capolavoro di partenza, cerca affannosamente di riproporne le atmosfere adeguandole ai gusti correnti. Nello stesso tempo tenta di percorrerre una propria strada narrativa che oscilla tra la dimensione messianica già vista svariate volte nel cinema di fantascienza (e del tutto assente dall'originale), fino alle soluzioni psicanalitiche, finendo col ridurre un'opera che aspirava all'universale ad una banale questione privata.
Più difficile contestare la qualità della messa in scena che è gradevole e ricercata seppur costretta a riproporre gli elementi visivi che avevano reso celebre il primo film senza particolari scatti di originalità (a partire dalla colonna sonora).
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Di un'appendice al Blade Runner dell'82 non se ne sentiva affatto il bisogno. Non a caso il film di Villeneuve è ossequioso verso il capolavoro di partenza, cerca affannosamente di riproporne le atmosfere adeguandole ai gusti correnti. Nello stesso tempo tenta di percorrerre una propria strada narrativa che oscilla tra la dimensione messianica già vista svariate volte nel cinema di fantascienza (e del tutto assente dall'originale), fino alle soluzioni psicanalitiche, finendo col ridurre un'opera che aspirava all'universale ad una banale questione privata.
Più difficile contestare la qualità della messa in scena che è gradevole e ricercata seppur costretta a riproporre gli elementi visivi che avevano reso celebre il primo film senza particolari scatti di originalità (a partire dalla colonna sonora).
Una delusione annunciata.
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