mauridal
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lunedì 23 ottobre 2017
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cercasi androide bella presenza
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BLADE RUNNER 2049
BR2049, potrebbe essere il nome proprio di un replicante che difettando di nomi , diventa difficile chiamarli ma in effetti è una sigla del film sequel Blade Runner2049, che non è un replicante del film di Ridley Scott, ma un racconto a seguito del primo BR , ormai considerato main film caposcuola del genere. Tuttavia il film di Villeneuve , possiede alcuni tratti originali e cogliendo appieno le sfumature e dopo una lettura dei molteplici livelli di significato , possiamo anche definirlo come un film di realtà virtuale che ricerca una verità umana , fatta di corpi veri e di sentimenti veri, quelli soliti, amore, paura, angoscia del presente ma anche del futuro , che i poveri replicanti artificiali già vivono , a differenza di noi umani spettatori, forse qualcuno replicante di se stesso, che invece viviamo in questo mondo scisso tra materia reale e virtuale, dove i confini razionali diventano spesso labili.
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BLADE RUNNER 2049
BR2049, potrebbe essere il nome proprio di un replicante che difettando di nomi , diventa difficile chiamarli ma in effetti è una sigla del film sequel Blade Runner2049, che non è un replicante del film di Ridley Scott, ma un racconto a seguito del primo BR , ormai considerato main film caposcuola del genere. Tuttavia il film di Villeneuve , possiede alcuni tratti originali e cogliendo appieno le sfumature e dopo una lettura dei molteplici livelli di significato , possiamo anche definirlo come un film di realtà virtuale che ricerca una verità umana , fatta di corpi veri e di sentimenti veri, quelli soliti, amore, paura, angoscia del presente ma anche del futuro , che i poveri replicanti artificiali già vivono , a differenza di noi umani spettatori, forse qualcuno replicante di se stesso, che invece viviamo in questo mondo scisso tra materia reale e virtuale, dove i confini razionali diventano spesso labili. Il tratto originale di questo BR2049, è schematizzando , la ricerca di una umanità perduta e la coscienza di un mondo e, e di una vita più naturale,ovvero genuina , autentica che il mondo reale contemporaneo, non possiede più soverchiato da contaminazioni tossiche e inquinamenti vari, e continue minacce alla salute e al benessere . Tutte cose che una società extra mondo di esseri facsimili umani non hanno ma che nel film e nel personaggio di K . il replicante più umano, si ricordano ancora , come se non fossero mai scomparse, dalla faccia dell'universo. Come non sostenere il povero K nella sua ribellione agli ordini Superiori di eliminare Dekard/HarrisonFord ultimo vecchio replicante sfuggito alla epurazione ,infatti tutti noi spettatori , parteggiamo per i due ,il vecchio e il giovane ,replicanti sì , ma pieni di emozioni. Dunque una eterna lotta tra buoni e cattivi , dove qui c'è un cattivissimo logorroico Wallace che ci scarica una serie di prediche inutilmente noiose. Infine un tema di interesse filmico è l'ologramma che smaterializza i corpi e nella più bella delle scene del film , addirittura è usato per compenetrare romanticamente le due figure maschile K e femminile Joi protagoniste dell'unica storia d'amore possibile tra androidi, ma la geniale invenzione del film è un strumento tipo telecomando, chiamato l'emanatore che in mano a K richiama e fa sparire a piacimento l'amata Joi tramite ologramma, e chissà che non sia la futura soluzione ai tanti conflitti di coppia odierni. (mauridal).
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ansku
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lunedì 23 ottobre 2017
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manca il genio. inutilmente lento.
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La storia è banale, forzatamente tirata per continuare dalla fuga di Blade Runner e Rachel, che chiudeva il precedente. Nella migliore delle ipotesi una buona intenzione, mal sviluppata.
Il mondo descritto dal primo era visionario, e abbracciava la vita quotidiana e quella specifica dei protagonisti: qui no.
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La storia è banale, forzatamente tirata per continuare dalla fuga di Blade Runner e Rachel, che chiudeva il precedente. Nella migliore delle ipotesi una buona intenzione, mal sviluppata.
Il mondo descritto dal primo era visionario, e abbracciava la vita quotidiana e quella specifica dei protagonisti: qui no. Il film è clausrofobico, non garda al di la di personaggi piuttosto piatti.
Le intuizioni nel primo blade runner erano geniali. Molte le ritroviamo nel mondo di oggi. Qui non c'è proiezione.
I personaggi, tutti, erano ben delineati: dal "riparatore" di automi, al team dei replicanti. Daryl Hannah e Rutger Hauer avevano personaggi se volete di secondo piano rispetto alla storia, ma erano perfettamente definiti tanto che al secondo viene consegnata una delle battute chiave del film.
Qui siamo molto, molto lontani dall'epica di queste figure ed anche le figure centrali, come quella della "figlia" posta al centro dell'intera storia, sono deboli.
La lentezza del primo (rivedetevelo) era giustificata dai contenuti. In questo rimane solo la lentezza di una liturgia ripetuta senza ricordarsi il motivo.
Ci sono clamorosi incongruenze di sceneggiatura (perchè lo lasciano vivo quando prelevano Harrison Ford, per esempio) che sembrano forzature per consentire la prosecuzione di una storia inconsistente.
La scena della navetta in acqua, che segue un inverosimile attacco di un'utilitaria ad un convoglio militare, rasenta il ridicolo.
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(di jennyx)
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lunedì 23 ottobre 2017
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poco ritmo ma bello.
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Una fotografia splendida. Intrecciato perfettamente col primo Blade Runner, ma con una propria autonomia. Peccato per il ritmo, che è il grande assente.. Un nuovo montaggio, con vari tagli potrebbe aiutarlo... Se dovessero mai rimontare la pellicola cercherei di renderlo meno didascalico.. Dalla sala del primo film uscivi con tante domande. Ora esci dalla sala con tutte le risposte, ma dopo 10 minuti non pensi più al film.
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domenica 22 ottobre 2017
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niente a che fare con il vero blade runner
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Un film fondamentalmente noioso, con un'estetica ed una narrazione fine a se stesso, non è il seguito del primo Blade, probabilmente se non ci fossero stati motivi di botteghino non sarebbe nemmeno un Blade. Siamo anni luce lontani dalla creatività visionaria dell'originale di Ridley Scott.
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geronimostilton
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sabato 21 ottobre 2017
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idee molto buone ma sviluppate male
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È come se fosse un film un po' sospeso in una dimensone tutta sua, non si capisce bene dove la storia abbia inizio e dove abbia fine. Ritengo che si sarebbe potuto lavorare molto meglio sull'uscita di scena di alcuni personaggi sui quali si era lavorato molto per dare spessore e umanità anche a ciò che non è umano. Si nota anche la oresenza di personaggi di un certo spicco che vengono introdotti a fine film o non sono resi particolarmente partecipi come il personaggio del detective decarte interpretato da Harrison Ford.
Inoltre molte sitiazioni critiche non vengono spiegate degnamente e trovano la loro fine in scene frenetiche ma poco coinvolgenti.
Posso dire quindi che mi sarei aspettato di più da questo film, ma è evidente che nonostante gli enirmi passi avanti dap punto di vista tecnico (cast, effetti speciali.
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È come se fosse un film un po' sospeso in una dimensone tutta sua, non si capisce bene dove la storia abbia inizio e dove abbia fine. Ritengo che si sarebbe potuto lavorare molto meglio sull'uscita di scena di alcuni personaggi sui quali si era lavorato molto per dare spessore e umanità anche a ciò che non è umano. Si nota anche la oresenza di personaggi di un certo spicco che vengono introdotti a fine film o non sono resi particolarmente partecipi come il personaggio del detective decarte interpretato da Harrison Ford.
Inoltre molte sitiazioni critiche non vengono spiegate degnamente e trovano la loro fine in scene frenetiche ma poco coinvolgenti.
Posso dire quindi che mi sarei aspettato di più da questo film, ma è evidente che nonostante gli enirmi passi avanti dap punto di vista tecnico (cast, effetti speciali...) difficilmente escono bene dei sequel a così grande distanza dal film originale, ha perso quella particolare magia che aveva nel primo.
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annalisarco
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venerdì 20 ottobre 2017
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bello, ma...
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Da un po’ di tempo stiamo vivendo il periodo d’oro dei sequel, nel senso che vengono ripresi vecchi imponenti titoli per poi essere – il più delle volte – distrutti.
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Da un po’ di tempo stiamo vivendo il periodo d’oro dei sequel, nel senso che vengono ripresi vecchi imponenti titoli per poi essere – il più delle volte – distrutti. Basti pensare ad IndependenceDay, il cui sequel ha purtroppo visto la luce lo scorso anno, spazzando via tutto quello che di buono era stato fatto nel primo capitolo. E a poco serve mantenere lo stesso team vincente, a quanto pare; perché cast artistico e tecnico di grande valore nulla possono contro la superficialità della trama. Questo è quello che accade a Blade Runner 2049, film in questi giorni ampiamente distrutto dalla critica statunitense e incassi molto inferiori alle aspettative. HarrisonFord – il Rick Deckard degli anni ’80 – c’è, lo zampino di Ridley Scott – all’epoca regista, oggi produttore – c’è, le ambientazioni futuristiche ci sono, la storica colonna sonora c’è. Allora cosa non va nell’opera di Denis Villeneuve? Ancora una volta, la trama. Ryan Gosling interpreta il replicante K, modello nuovo e integrato nella società con il compito di uccidere i vecchi replicanti. Durante una delle sue missioni, scopre che un bambino nacque da una replicante circa trent’anni prima. Notizia che non può trapelare in quanto provocherebbe una reazione da parte delle macchine, che innescherebbero una nuova rivoluzione per la parità dei loro diritti, se non per la supremazia. Che ci crediate o no, la trama è tutta qui. Per le successive due ore (il film dura in totale 2 ore e 45) assisterete ai film mentali di K, convinto di essere il bambino in questione. Parlo da fan di Ryan Gosling, eppure nella parte di K proprio non lo vedo. Gosling è probabilmente un attore mono espressione, come sostengono in molti, ma è un bravo attore che ha sempre dato dimostrazione di prestarsi ai ruoli più diversi. Qui si sfiora l’immobilità facciale assoluta, quasi priva di battute che solo Keanu Reeves è riuscito a darci nel lontano Matrix. Tutto il film si concentra sulle lunghe e lentissime camminate di Gosling per gli scenari più vari, tipici di BladeRunner. Il ruolo di Harrison Ford può a stento definirsi un ruolo, e sarebbe stato meglio non metterlo nel poster facendo credere a tutti che avremmo avuto due protagonisti. Anzi, la sorpresa di ritrovare Deckard in questo sequel avrebbe di certo risollevato gli spettatori dalle poltrone. Jared Leto interpreta uno pseudo cattivo, Niander Wallace, convinto che i Nexus in grado di riprodursi siano il futuro, e che a loro vada dato il comando delle colonie extra mondo. Premesse che fanno presagire una grande rivoluzione…che non avviene. Impossibile credere che il cattivo sia solo questo, un personaggio che di cattivo fa praticamente nulla. Tante parole (nemmeno troppe in realtà, ma tutte direzionate verso il nulla) che si perdono in una trama inutile, in cui ruotano circa cinque personaggi che sembrano vagare senza una meta, nel no sense assoluto. In conclusione, Blade Runner 2049 non è un brutto film, non può definirsi tale in quanto non si possono sottovalutare le scenografie, l’uso della computer grafica, la colonna sonora. Ma non lascia nulla, non si avvicina a ciò che fu il primo film, con il suo fare del tutto nuovo che stravolse i film del suo genere. La mano del regista è fin troppo presente, con una lentezza calcata e visibilmente voluta per ricordare lontanamente il suo predecessore. Risulta un film lentissimo, inconcludente, con soluzioni palesi che non permettono allo spettatore di scervellarsi per arrivare ad una conclusine. È tutto fin troppo descritto e non va bene, non in un film del genere e con un nome così importante. Peccato, nonostante i nomi che amiamo di Gosling, Ford e Scott, proprio non ci siamo.
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marcomelli
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giovedì 19 ottobre 2017
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da vedere. molto bello e fatto molto bene.
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storia interessante, fatto molto bene e degno sequel del primo film. Difficile fare di meglio.
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giovedì 19 ottobre 2017
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è il meglio che si poteva fare?
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Aspettatuve altissime per poi ritrovarsi con un film di una lentezza insopportabile
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vanessa zarastro
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giovedì 19 ottobre 2017
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la città è la protagonista
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Non capisco però perché i film ormai devono sempre superare le 2 ore e mezzo, anzi, tendere alle 3. Significa che chi va al cinema, maggiormente giustificato dalla durata, è motivato a comprarsi bottigliette d’acqua, pop corn e patatine, facendo quel terribile rumore di “crick crock” per tutto il tempo del film. Per evitare tutto ciò sono andata a vedere Blade Runner 2049, di giorno feriale, in un cinema dove lo proiettavano in originale e gli spettatori erano tutti stranieri. Con grande gioia ho costatato che non ho sentino volare neanche una mosca!
Blade runner 2049 è un film la cui prima parte è un po’ troppo lenta e si vivacizza solo quando entra in scena anche Harrison Ford, a due terzi del film.
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Non capisco però perché i film ormai devono sempre superare le 2 ore e mezzo, anzi, tendere alle 3. Significa che chi va al cinema, maggiormente giustificato dalla durata, è motivato a comprarsi bottigliette d’acqua, pop corn e patatine, facendo quel terribile rumore di “crick crock” per tutto il tempo del film. Per evitare tutto ciò sono andata a vedere Blade Runner 2049, di giorno feriale, in un cinema dove lo proiettavano in originale e gli spettatori erano tutti stranieri. Con grande gioia ho costatato che non ho sentino volare neanche una mosca!
Blade runner 2049 è un film la cui prima parte è un po’ troppo lenta e si vivacizza solo quando entra in scena anche Harrison Ford, a due terzi del film. Il film è una sorta di sequel del Blade Runner di Ridley Scott 35 anni fa, considerato capolavoro assoluto da critici e pubblico.
L’agente K (ottima prova di Ryan Gosling) è un blade runner della polizia di Los Angeles ed è a caccia di vecchi Nexus (come a suo tempo Harrison Ford/Deckart ma al contrario). C’è sempre la Tyrell corporation che costruisce replicanti. La fusione tra poliziesco e fantascienza lo aveva inserito in un nuovo filone il cui successo ha di lunga superato quello del libro da cui è tratto.
Quello che mi aveva colpito nel vecchio Blade Runner l’ho trovato anche qui: in un futuro remoto super-tecnologizzato sopravvive un vecchio pianoforte aperto con gli spartiti cartacei. Anzi, qui lo ritroviamo verso l’ultima parte in versione a coda nei resti di Las Vegas. In questo film colpiscono gli interni tra nostalgia del passato e Smart-partner virtuali. L’ologramma dell’amata compagna (Ana de Armas) si coniuga con una vecchia pentola per bollire l’acqua su un fornello vintage.
La città è densissima nel suo Central Business District e, anche nel primo Blade Runner, assomiglia quasi più a New York che a Los Angeles, mentre fuori del costruito c’è solo rovina, morte, gelo. Agghiacciante è l’immagine dell’unico albero morto. “Non lo avevo mai visto!” dice la replicante Mariette (Mackenzie Davis) a K. vedendone una foto.
In questo sequel troviamo una figura nuova che è il dott. Niander Wallace (Jared Leto), il progettista di replicanti che fa “lavori in pelle”, assetato di potere e cattivissimo, l’antitesi di K. Questa figura è più in linea con i personaggi dei vari 007 o di Batman o Superman che, da malvagi, fanno il controcanto ai protagonisti.
Per le scene, che sono veramente molto belle, Villenueve è rivolto a Hampton Fancher, lo stesso del primo Blade Runner - poi sostituito da Ridley Scott. La fotografia di Roger Deakins è sicuramente una dei protagonisti di questo film. Musiche suggestive.
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loland10
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mercoledì 18 ottobre 2017
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antidoto e futuro
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“E’ un albero”, “Non ho mai visto un albero”, “E’ morto”. 6/10/21.
Dopo alcuni lustri ecco arrivare il capitolo after-sequel del ‘Blade Runner’ (1982) di Ridley Scott che (per chi non gradisce il piccolo) si consiglia di vedere sul grande schermo per apprezzarne l’immaginario, l’ambientazione e lo stile maestoso con la musica di Vangelis (schiumante di vertigine e di bellezza in apice). Rivederlo e rivederlo per non mascherare la ‘grandezza’ di un regista come l’inglese oggi (quasi) dimenticando nonostante prosegue un lavoro ‘non di routine’ da quarant’anni.
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“E’ un albero”, “Non ho mai visto un albero”, “E’ morto”. 6/10/21.
Dopo alcuni lustri ecco arrivare il capitolo after-sequel del ‘Blade Runner’ (1982) di Ridley Scott che (per chi non gradisce il piccolo) si consiglia di vedere sul grande schermo per apprezzarne l’immaginario, l’ambientazione e lo stile maestoso con la musica di Vangelis (schiumante di vertigine e di bellezza in apice). Rivederlo e rivederlo per non mascherare la ‘grandezza’ di un regista come l’inglese oggi (quasi) dimenticando nonostante prosegue un lavoro ‘non di routine’ da quarant’anni. Il regista più volte aveva manifesta di girarne un capitolo successivo della sua opera (da un racconto di Philip Dick) ma lungaggini, sceneggiature, rimandi, produzione (o non proprio il suo chiodo fisso) hanno interrotto il progetto più volte … ed ecco arrivare ad oggi come (se la lunga attesa) un film mai visto (chi sa se molti che vedranno il 2049 hanno già visto il 2019?!).
Bastano pochi attimi per leggere le didascalie di introduzione per avere il ‘piacere’ di sapere molto. E le scritte minime, quasi illeggibili, il titolo in alto, senza enfasi, con un numero quasi da aggiungere, chiariscono che lo sguardo sarà (quasi) sempre verso l’alto (aspirazione di livello, infinito mondo, blade che taglia l’orizzonte e runner veloce per seguire lo spazio vuoto).
Legato (da un filo sottile) per delle sequenza a se stanti con dovizia di particolari del nulla, di colori appassiti e di ambienti alquanto iperbolici.
Attraenti quadri oltre il confine, uno sguardo nel futuro pieno di vuoti, come asettico, impermeabile e senza un minimo cambio di ‘sguardo’ è l’agente K, come temperatura fissa e quasi tendente al grado minimo kelvin.
Didascalico nelle riprese con motivi e movimenti insieme a un ‘drone’ (sor)veglia(rdo) di una terra addormentata.
Elegante e discreto con un sottofondo rimarchevole di ‘terreo’, ‘smorto’, ‘pen(o)s(os)amente polveroso e artificioso: l’orizzonte è lontano ma ‘sembra vicino’.
Ryan Gosling è solo, l’agente che cerca il suo presente in un futuro idiomatico e pieno di cromatismo lineare e plumbeo.
Unico e irripetibile il ‘Blade Runner’ (1982) con l’uscita sul grande schermo dove il finale (poi regredito e tolto) mascherava la vita da una parte all’altra e il ‘replicante’ filmico si concedeva un racconto e un score musicale da ‘vero applauso’.
Nulla da dire, come nulla do obiettare ma l’imprimatur su questo film una volta finito non è ‘forte’: si può rivedere ma senza quella sensazione plaudente di grande voglia.
Nulla può Hans Zimmer (anche se non ha nulla da invidiare ad altri) a riempire lo schermo con uno score suggestivamente di livello eccelso.
E Deckart riesce dal buio (con voce fuori campo) a farci sentire i brividi e a ‘mangiare’ il film con poche battute e la sensazione che il biglietto è ben pagato. Harrison Ford (con rughe e viso impasticciato) riesce con i suoi pochi movimenti a darci la sensazione di un film troppo lungo e di un arrivo in linea d’arrivo fino a dirci che la sceneggiatura ‘meravigliosa’ (come si legge è stata definita dal duo attoriale) non ha da rimpiangere nulla ma soltanto da tagliare l’imponderabile pensiero di una storia troppo di ‘studio’ e ‘compiacente’.
Replicante o solo nuova visuale, bella fotocopia o solo futuro, cartina da tornasole o celluloide rimasterizzata….o forse ancora un digitale che vuole sorbolare oltre i colori dell’inquadratura.
2 come secondo capitolo, non penseranno di farne un terzo … nel 2079…forse è meglio finirla qui.
0come gruppo di un ologramma invisibile (e rifare il verso al Kubrick girovago nello Spazio senza fine in un Terra o di quello che resta pare inopportuno per un fattore K
4meno uno per una partitura che tampona il timpano ma non ricordi con entusiasmo;
9 meno due (e anche meno) per un voto di routine (non sarà così per tutti immagino …) per un film pieno di belle fotografie ma vuoto di pathos ‘meccanicamente’ costruito.
Ridley Scott, che qui si registra come produttore, dietro le quinte (eppur il suo nome è stato letto più volte per un seguito del suo film). Denis Villeneuve ha avuto coraggio nell’accettare un film difficile già nel titolo: certo non disdegna voli, fantasie filosofie pindariche ma l’empatia delle componenti non si raggiunge in modo sincrono. Tutto attaccato con un filo leggero e tutto staccato con sequenze a se stanti per una durata ‘allungata’. E poi ogni dovizia di particolari viene spiegata e articolata in discorsi laboriosi e da predica.
Il regista canadese ha classe e stile personale e il suo meglio è nel duo ‘La donna che canta’ (2010) e ‘Prisoners’ (2013). Poi uno studio utile sul suo modo di girare che non porta a lavori ‘liberi’ e ‘di livello’ (si veda ‘Sicario’ del 2015 e anche quest’ultima pellicola).
Materia infame e grezza, morente e senza vita, Villeneuve ci offre un film di tempi oramai persi in un futuro dove il trucido è bello e ogni cosa, parrebbe essere a suo posto. La fotografia resta interessante sotto il profilo dello sguardo: in certi frangenti si ha la sensazione di vedere una pellicola di William Friedkin (‘Vivere e morire a Los Angeles’, 1985) dove le sfumature e il buio rabbrividiscono in un presente già futuro.
Siamo ripuliti dal Day-after. Non c' è più nulla da sottosopra solo infausta polveriera o meglio pulizia artificiale con gli sponsor in bella evidenza (come un ‘simbolo’ il motore denaro Sony alza la sua voce oltre qualcosa che non si vuole).Siamo anche dentro quadri metafisici dove un De Chirico oppure un Picasso possono anche sfigurare (si fa per dire…).
Ciò che stimiamo è ciò che evidentemente ci fa piacere. Allo sguardo, e non solo, del film in questione (appena usciti dalla sala) si rimane allargati nelle immagini con futuri ben delineati e colora-menti appesi in un pennello buttato oltre la cinepresa.
Per il cast si ha la sensazione (netta) che i ruoli di contorno battono quelli principali: colpa di una sceneggiatura asimmetrica, di un Ryan Gosling non primissimo o di un Harrison Ford che avrebbe potuto entrare prima…? Difficile rispondere, anche se qualche idea viene fuori. Jared Leto (Wallace) ha il piglio giusto per fare un film tutto per se (non certo un rebot…ma altro).
Voto: 7-/10 (***).
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