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lunedì 23 ottobre 2017
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poco ritmo ma bello.
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Una fotografia splendida. Intrecciato perfettamente col primo Blade Runner, ma con una propria autonomia. Peccato per il ritmo, che è il grande assente.. Un nuovo montaggio, con vari tagli potrebbe aiutarlo... Se dovessero mai rimontare la pellicola cercherei di renderlo meno didascalico.. Dalla sala del primo film uscivi con tante domande. Ora esci dalla sala con tutte le risposte, ma dopo 10 minuti non pensi più al film.
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domenica 22 ottobre 2017
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niente a che fare con il vero blade runner
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Un film fondamentalmente noioso, con un'estetica ed una narrazione fine a se stesso, non è il seguito del primo Blade, probabilmente se non ci fossero stati motivi di botteghino non sarebbe nemmeno un Blade. Siamo anni luce lontani dalla creatività visionaria dell'originale di Ridley Scott.
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geronimostilton
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sabato 21 ottobre 2017
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idee molto buone ma sviluppate male
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È come se fosse un film un po' sospeso in una dimensone tutta sua, non si capisce bene dove la storia abbia inizio e dove abbia fine. Ritengo che si sarebbe potuto lavorare molto meglio sull'uscita di scena di alcuni personaggi sui quali si era lavorato molto per dare spessore e umanità anche a ciò che non è umano. Si nota anche la oresenza di personaggi di un certo spicco che vengono introdotti a fine film o non sono resi particolarmente partecipi come il personaggio del detective decarte interpretato da Harrison Ford.
Inoltre molte sitiazioni critiche non vengono spiegate degnamente e trovano la loro fine in scene frenetiche ma poco coinvolgenti.
Posso dire quindi che mi sarei aspettato di più da questo film, ma è evidente che nonostante gli enirmi passi avanti dap punto di vista tecnico (cast, effetti speciali.
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È come se fosse un film un po' sospeso in una dimensone tutta sua, non si capisce bene dove la storia abbia inizio e dove abbia fine. Ritengo che si sarebbe potuto lavorare molto meglio sull'uscita di scena di alcuni personaggi sui quali si era lavorato molto per dare spessore e umanità anche a ciò che non è umano. Si nota anche la oresenza di personaggi di un certo spicco che vengono introdotti a fine film o non sono resi particolarmente partecipi come il personaggio del detective decarte interpretato da Harrison Ford.
Inoltre molte sitiazioni critiche non vengono spiegate degnamente e trovano la loro fine in scene frenetiche ma poco coinvolgenti.
Posso dire quindi che mi sarei aspettato di più da questo film, ma è evidente che nonostante gli enirmi passi avanti dap punto di vista tecnico (cast, effetti speciali...) difficilmente escono bene dei sequel a così grande distanza dal film originale, ha perso quella particolare magia che aveva nel primo.
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annalisarco
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venerdì 20 ottobre 2017
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bello, ma...
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Da un po’ di tempo stiamo vivendo il periodo d’oro dei sequel, nel senso che vengono ripresi vecchi imponenti titoli per poi essere – il più delle volte – distrutti.
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Da un po’ di tempo stiamo vivendo il periodo d’oro dei sequel, nel senso che vengono ripresi vecchi imponenti titoli per poi essere – il più delle volte – distrutti. Basti pensare ad IndependenceDay, il cui sequel ha purtroppo visto la luce lo scorso anno, spazzando via tutto quello che di buono era stato fatto nel primo capitolo. E a poco serve mantenere lo stesso team vincente, a quanto pare; perché cast artistico e tecnico di grande valore nulla possono contro la superficialità della trama. Questo è quello che accade a Blade Runner 2049, film in questi giorni ampiamente distrutto dalla critica statunitense e incassi molto inferiori alle aspettative. HarrisonFord – il Rick Deckard degli anni ’80 – c’è, lo zampino di Ridley Scott – all’epoca regista, oggi produttore – c’è, le ambientazioni futuristiche ci sono, la storica colonna sonora c’è. Allora cosa non va nell’opera di Denis Villeneuve? Ancora una volta, la trama. Ryan Gosling interpreta il replicante K, modello nuovo e integrato nella società con il compito di uccidere i vecchi replicanti. Durante una delle sue missioni, scopre che un bambino nacque da una replicante circa trent’anni prima. Notizia che non può trapelare in quanto provocherebbe una reazione da parte delle macchine, che innescherebbero una nuova rivoluzione per la parità dei loro diritti, se non per la supremazia. Che ci crediate o no, la trama è tutta qui. Per le successive due ore (il film dura in totale 2 ore e 45) assisterete ai film mentali di K, convinto di essere il bambino in questione. Parlo da fan di Ryan Gosling, eppure nella parte di K proprio non lo vedo. Gosling è probabilmente un attore mono espressione, come sostengono in molti, ma è un bravo attore che ha sempre dato dimostrazione di prestarsi ai ruoli più diversi. Qui si sfiora l’immobilità facciale assoluta, quasi priva di battute che solo Keanu Reeves è riuscito a darci nel lontano Matrix. Tutto il film si concentra sulle lunghe e lentissime camminate di Gosling per gli scenari più vari, tipici di BladeRunner. Il ruolo di Harrison Ford può a stento definirsi un ruolo, e sarebbe stato meglio non metterlo nel poster facendo credere a tutti che avremmo avuto due protagonisti. Anzi, la sorpresa di ritrovare Deckard in questo sequel avrebbe di certo risollevato gli spettatori dalle poltrone. Jared Leto interpreta uno pseudo cattivo, Niander Wallace, convinto che i Nexus in grado di riprodursi siano il futuro, e che a loro vada dato il comando delle colonie extra mondo. Premesse che fanno presagire una grande rivoluzione…che non avviene. Impossibile credere che il cattivo sia solo questo, un personaggio che di cattivo fa praticamente nulla. Tante parole (nemmeno troppe in realtà, ma tutte direzionate verso il nulla) che si perdono in una trama inutile, in cui ruotano circa cinque personaggi che sembrano vagare senza una meta, nel no sense assoluto. In conclusione, Blade Runner 2049 non è un brutto film, non può definirsi tale in quanto non si possono sottovalutare le scenografie, l’uso della computer grafica, la colonna sonora. Ma non lascia nulla, non si avvicina a ciò che fu il primo film, con il suo fare del tutto nuovo che stravolse i film del suo genere. La mano del regista è fin troppo presente, con una lentezza calcata e visibilmente voluta per ricordare lontanamente il suo predecessore. Risulta un film lentissimo, inconcludente, con soluzioni palesi che non permettono allo spettatore di scervellarsi per arrivare ad una conclusine. È tutto fin troppo descritto e non va bene, non in un film del genere e con un nome così importante. Peccato, nonostante i nomi che amiamo di Gosling, Ford e Scott, proprio non ci siamo.
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marcomelli
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giovedì 19 ottobre 2017
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da vedere. molto bello e fatto molto bene.
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storia interessante, fatto molto bene e degno sequel del primo film. Difficile fare di meglio.
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giovedì 19 ottobre 2017
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è il meglio che si poteva fare?
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Aspettatuve altissime per poi ritrovarsi con un film di una lentezza insopportabile
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vanessa zarastro
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giovedì 19 ottobre 2017
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la città è la protagonista
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Non capisco però perché i film ormai devono sempre superare le 2 ore e mezzo, anzi, tendere alle 3. Significa che chi va al cinema, maggiormente giustificato dalla durata, è motivato a comprarsi bottigliette d’acqua, pop corn e patatine, facendo quel terribile rumore di “crick crock” per tutto il tempo del film. Per evitare tutto ciò sono andata a vedere Blade Runner 2049, di giorno feriale, in un cinema dove lo proiettavano in originale e gli spettatori erano tutti stranieri. Con grande gioia ho costatato che non ho sentino volare neanche una mosca!
Blade runner 2049 è un film la cui prima parte è un po’ troppo lenta e si vivacizza solo quando entra in scena anche Harrison Ford, a due terzi del film.
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Non capisco però perché i film ormai devono sempre superare le 2 ore e mezzo, anzi, tendere alle 3. Significa che chi va al cinema, maggiormente giustificato dalla durata, è motivato a comprarsi bottigliette d’acqua, pop corn e patatine, facendo quel terribile rumore di “crick crock” per tutto il tempo del film. Per evitare tutto ciò sono andata a vedere Blade Runner 2049, di giorno feriale, in un cinema dove lo proiettavano in originale e gli spettatori erano tutti stranieri. Con grande gioia ho costatato che non ho sentino volare neanche una mosca!
Blade runner 2049 è un film la cui prima parte è un po’ troppo lenta e si vivacizza solo quando entra in scena anche Harrison Ford, a due terzi del film. Il film è una sorta di sequel del Blade Runner di Ridley Scott 35 anni fa, considerato capolavoro assoluto da critici e pubblico.
L’agente K (ottima prova di Ryan Gosling) è un blade runner della polizia di Los Angeles ed è a caccia di vecchi Nexus (come a suo tempo Harrison Ford/Deckart ma al contrario). C’è sempre la Tyrell corporation che costruisce replicanti. La fusione tra poliziesco e fantascienza lo aveva inserito in un nuovo filone il cui successo ha di lunga superato quello del libro da cui è tratto.
Quello che mi aveva colpito nel vecchio Blade Runner l’ho trovato anche qui: in un futuro remoto super-tecnologizzato sopravvive un vecchio pianoforte aperto con gli spartiti cartacei. Anzi, qui lo ritroviamo verso l’ultima parte in versione a coda nei resti di Las Vegas. In questo film colpiscono gli interni tra nostalgia del passato e Smart-partner virtuali. L’ologramma dell’amata compagna (Ana de Armas) si coniuga con una vecchia pentola per bollire l’acqua su un fornello vintage.
La città è densissima nel suo Central Business District e, anche nel primo Blade Runner, assomiglia quasi più a New York che a Los Angeles, mentre fuori del costruito c’è solo rovina, morte, gelo. Agghiacciante è l’immagine dell’unico albero morto. “Non lo avevo mai visto!” dice la replicante Mariette (Mackenzie Davis) a K. vedendone una foto.
In questo sequel troviamo una figura nuova che è il dott. Niander Wallace (Jared Leto), il progettista di replicanti che fa “lavori in pelle”, assetato di potere e cattivissimo, l’antitesi di K. Questa figura è più in linea con i personaggi dei vari 007 o di Batman o Superman che, da malvagi, fanno il controcanto ai protagonisti.
Per le scene, che sono veramente molto belle, Villenueve è rivolto a Hampton Fancher, lo stesso del primo Blade Runner - poi sostituito da Ridley Scott. La fotografia di Roger Deakins è sicuramente una dei protagonisti di questo film. Musiche suggestive.
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loland10
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mercoledì 18 ottobre 2017
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antidoto e futuro
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“E’ un albero”, “Non ho mai visto un albero”, “E’ morto”. 6/10/21.
Dopo alcuni lustri ecco arrivare il capitolo after-sequel del ‘Blade Runner’ (1982) di Ridley Scott che (per chi non gradisce il piccolo) si consiglia di vedere sul grande schermo per apprezzarne l’immaginario, l’ambientazione e lo stile maestoso con la musica di Vangelis (schiumante di vertigine e di bellezza in apice). Rivederlo e rivederlo per non mascherare la ‘grandezza’ di un regista come l’inglese oggi (quasi) dimenticando nonostante prosegue un lavoro ‘non di routine’ da quarant’anni.
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“E’ un albero”, “Non ho mai visto un albero”, “E’ morto”. 6/10/21.
Dopo alcuni lustri ecco arrivare il capitolo after-sequel del ‘Blade Runner’ (1982) di Ridley Scott che (per chi non gradisce il piccolo) si consiglia di vedere sul grande schermo per apprezzarne l’immaginario, l’ambientazione e lo stile maestoso con la musica di Vangelis (schiumante di vertigine e di bellezza in apice). Rivederlo e rivederlo per non mascherare la ‘grandezza’ di un regista come l’inglese oggi (quasi) dimenticando nonostante prosegue un lavoro ‘non di routine’ da quarant’anni. Il regista più volte aveva manifesta di girarne un capitolo successivo della sua opera (da un racconto di Philip Dick) ma lungaggini, sceneggiature, rimandi, produzione (o non proprio il suo chiodo fisso) hanno interrotto il progetto più volte … ed ecco arrivare ad oggi come (se la lunga attesa) un film mai visto (chi sa se molti che vedranno il 2049 hanno già visto il 2019?!).
Bastano pochi attimi per leggere le didascalie di introduzione per avere il ‘piacere’ di sapere molto. E le scritte minime, quasi illeggibili, il titolo in alto, senza enfasi, con un numero quasi da aggiungere, chiariscono che lo sguardo sarà (quasi) sempre verso l’alto (aspirazione di livello, infinito mondo, blade che taglia l’orizzonte e runner veloce per seguire lo spazio vuoto).
Legato (da un filo sottile) per delle sequenza a se stanti con dovizia di particolari del nulla, di colori appassiti e di ambienti alquanto iperbolici.
Attraenti quadri oltre il confine, uno sguardo nel futuro pieno di vuoti, come asettico, impermeabile e senza un minimo cambio di ‘sguardo’ è l’agente K, come temperatura fissa e quasi tendente al grado minimo kelvin.
Didascalico nelle riprese con motivi e movimenti insieme a un ‘drone’ (sor)veglia(rdo) di una terra addormentata.
Elegante e discreto con un sottofondo rimarchevole di ‘terreo’, ‘smorto’, ‘pen(o)s(os)amente polveroso e artificioso: l’orizzonte è lontano ma ‘sembra vicino’.
Ryan Gosling è solo, l’agente che cerca il suo presente in un futuro idiomatico e pieno di cromatismo lineare e plumbeo.
Unico e irripetibile il ‘Blade Runner’ (1982) con l’uscita sul grande schermo dove il finale (poi regredito e tolto) mascherava la vita da una parte all’altra e il ‘replicante’ filmico si concedeva un racconto e un score musicale da ‘vero applauso’.
Nulla da dire, come nulla do obiettare ma l’imprimatur su questo film una volta finito non è ‘forte’: si può rivedere ma senza quella sensazione plaudente di grande voglia.
Nulla può Hans Zimmer (anche se non ha nulla da invidiare ad altri) a riempire lo schermo con uno score suggestivamente di livello eccelso.
E Deckart riesce dal buio (con voce fuori campo) a farci sentire i brividi e a ‘mangiare’ il film con poche battute e la sensazione che il biglietto è ben pagato. Harrison Ford (con rughe e viso impasticciato) riesce con i suoi pochi movimenti a darci la sensazione di un film troppo lungo e di un arrivo in linea d’arrivo fino a dirci che la sceneggiatura ‘meravigliosa’ (come si legge è stata definita dal duo attoriale) non ha da rimpiangere nulla ma soltanto da tagliare l’imponderabile pensiero di una storia troppo di ‘studio’ e ‘compiacente’.
Replicante o solo nuova visuale, bella fotocopia o solo futuro, cartina da tornasole o celluloide rimasterizzata….o forse ancora un digitale che vuole sorbolare oltre i colori dell’inquadratura.
2 come secondo capitolo, non penseranno di farne un terzo … nel 2079…forse è meglio finirla qui.
0come gruppo di un ologramma invisibile (e rifare il verso al Kubrick girovago nello Spazio senza fine in un Terra o di quello che resta pare inopportuno per un fattore K
4meno uno per una partitura che tampona il timpano ma non ricordi con entusiasmo;
9 meno due (e anche meno) per un voto di routine (non sarà così per tutti immagino …) per un film pieno di belle fotografie ma vuoto di pathos ‘meccanicamente’ costruito.
Ridley Scott, che qui si registra come produttore, dietro le quinte (eppur il suo nome è stato letto più volte per un seguito del suo film). Denis Villeneuve ha avuto coraggio nell’accettare un film difficile già nel titolo: certo non disdegna voli, fantasie filosofie pindariche ma l’empatia delle componenti non si raggiunge in modo sincrono. Tutto attaccato con un filo leggero e tutto staccato con sequenze a se stanti per una durata ‘allungata’. E poi ogni dovizia di particolari viene spiegata e articolata in discorsi laboriosi e da predica.
Il regista canadese ha classe e stile personale e il suo meglio è nel duo ‘La donna che canta’ (2010) e ‘Prisoners’ (2013). Poi uno studio utile sul suo modo di girare che non porta a lavori ‘liberi’ e ‘di livello’ (si veda ‘Sicario’ del 2015 e anche quest’ultima pellicola).
Materia infame e grezza, morente e senza vita, Villeneuve ci offre un film di tempi oramai persi in un futuro dove il trucido è bello e ogni cosa, parrebbe essere a suo posto. La fotografia resta interessante sotto il profilo dello sguardo: in certi frangenti si ha la sensazione di vedere una pellicola di William Friedkin (‘Vivere e morire a Los Angeles’, 1985) dove le sfumature e il buio rabbrividiscono in un presente già futuro.
Siamo ripuliti dal Day-after. Non c' è più nulla da sottosopra solo infausta polveriera o meglio pulizia artificiale con gli sponsor in bella evidenza (come un ‘simbolo’ il motore denaro Sony alza la sua voce oltre qualcosa che non si vuole).Siamo anche dentro quadri metafisici dove un De Chirico oppure un Picasso possono anche sfigurare (si fa per dire…).
Ciò che stimiamo è ciò che evidentemente ci fa piacere. Allo sguardo, e non solo, del film in questione (appena usciti dalla sala) si rimane allargati nelle immagini con futuri ben delineati e colora-menti appesi in un pennello buttato oltre la cinepresa.
Per il cast si ha la sensazione (netta) che i ruoli di contorno battono quelli principali: colpa di una sceneggiatura asimmetrica, di un Ryan Gosling non primissimo o di un Harrison Ford che avrebbe potuto entrare prima…? Difficile rispondere, anche se qualche idea viene fuori. Jared Leto (Wallace) ha il piglio giusto per fare un film tutto per se (non certo un rebot…ma altro).
Voto: 7-/10 (***).
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romeo27
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mercoledì 18 ottobre 2017
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capolavoro
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Merita davvero, assolutamente da guardare.
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mattiagualeni
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martedì 17 ottobre 2017
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blade runner 2049, un film visivamente potente che ci conduce in una nuova saga
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Che cos’è Blade Runner 2049? Un sequel al capolavoro del 1982? Un upgrade? O un replicante? Ossia una di quelle creature, copie artificiali, del tutto identiche ad un essere umano, incapaci tuttavia di provare empatia e dalla vita programmata e breve? Blade Runner 2049 non passerebbe il test di Voight-Kampff: questo film è un replicante del capolavoro di Ridley Scott. L’ottimo regista, il canadese Denis Villeneuve, che si era già distinto con Arrival nel genere fantascientifico, mette mano sopra una delle pietre miliari del genere e la riadatta non limitandosi a dirigere un semplice secondo capitolo. Fin dall’inizio, in quei cinque minuti di assoluto silenzio, di maestosa fotografia che ci espande il mondo di Blade Runner oltre il confine dello skyline nebbioso della città e delle sue ciminiere, ci viene mostrato un pianeta consumato dall’uomo, cupo, freddo e decadente.
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Che cos’è Blade Runner 2049? Un sequel al capolavoro del 1982? Un upgrade? O un replicante? Ossia una di quelle creature, copie artificiali, del tutto identiche ad un essere umano, incapaci tuttavia di provare empatia e dalla vita programmata e breve? Blade Runner 2049 non passerebbe il test di Voight-Kampff: questo film è un replicante del capolavoro di Ridley Scott. L’ottimo regista, il canadese Denis Villeneuve, che si era già distinto con Arrival nel genere fantascientifico, mette mano sopra una delle pietre miliari del genere e la riadatta non limitandosi a dirigere un semplice secondo capitolo. Fin dall’inizio, in quei cinque minuti di assoluto silenzio, di maestosa fotografia che ci espande il mondo di Blade Runner oltre il confine dello skyline nebbioso della città e delle sue ciminiere, ci viene mostrato un pianeta consumato dall’uomo, cupo, freddo e decadente. Qui prende avvio la vicenda, da un’indagine, come nel primo film, ma il protagonista è l’agente K (Ryan Gosling), un Blade Runner. La vicenda si svolge trenta anni dopo il primo film e in questo arco temporale la Tyrell corporation viene acquisita dalla Wallace, il mondo subisce un blackout che cancella gran parte dei dati tenuti su internet ed i replicanti sono nuovamente in commercio, grazie alla Wallace, per svolgere quei lavori che gli uomini non vogliono più fare. L’agente K ha il compito di “ritirare” i vecchi modelli della Tyrell che sono sfuggiti. L’agente K è un replicante però. Fin dall’inizio muta quindi l’impostazione rispetto all’ambiguità del film del 1982 che ci aveva lasciato con il dubbio se il protagonista Deckard (Harrison Ford) fosse o meno un replicante. Villeneuve mantiene l’impostazione noir e retrofuturista e dirige lo spettatore in una serrata indagine che porterà l’agente K a dissotterrare un segreto che, come afferma il Tenente Joshi (Robin Wright), “potrebbe spaccare il mondo”. Parallelamente al disvelamento degli indizi lo spettatore viene posto davanti a quelle domande etiche che già erano proprie del primo film ma queste vengono affiancate da nuove, più per un procedimento di somma algebrica che di analisi. Se nella pellicola del 1982 lo slogan della Tyrell era: “Più umano dell'umano” e ci si interrogava sul concetto di che cosa sia umano e sul significato della morte, qui ci si chiede se servono ancora gli uomini quando le macchine provano sentimenti e sul significato della vita e delle correlate conseguenze. Tuttavia queste domande trovano una minore profondità rispetto al Blade Runner del 1982 e sembrano stratificarsi più per un procedimento di sedimentazione col procedere dell’intreccio piuttosto che venir poste e analizzate mediante la sceneggiatura che rimane criptica e aperta in attesa di un sequel. L’Easter egg (termine coniato da Steve Wright della Atari, società che compariva nelle insegne pubblicitarie nel film del 1982 e anche in quello attuale) rappresentato dagli innesti di memoria nell’agente K è il fil rouge della trama di Blade Runner 2049 ma la rende estremamente ermetica e non scorre come nell’originale. Anche nella Director’s cut del 1992 venne introdotto un Easter egg: ossia la scena in cui Deckard sogna un unicorno che, letta insieme alla sequenza finale in cui Rachael colpisce con la scarpa l'origami in foggia del fiabesco animale, insinuano il dubbio, che lo stesso Deckard possa essere un replicante. Tuttavia il risultato non ha lo stesso fascino ambiguo e gli ingranaggi del film sembrano mancare di un qualche giunto cardanico atto a trasmettere con fluidità il moto ai vari assi della trama. Il lavoro di Villeneuve, coprodotto da Ridley Scott, e sceneggiato da Hampton Fancher che fu tra gli autori del capolavoro del 1982, è stato rivolto all’estendere il mondo di Blade Runner come una sprawl in continua espansione. Durante la Blade Runner 2049 Experience del Comic-Con di San Diego 2017 è stato proiettato un video che narrava la cronistoria di cosa fosse successo tra il 2019 ed il 2049 ed il regista aveva affermato: “Abbiamo creato un mondo che è un’estensione del primo film, una proiezione del suo futuro, in cui alcune leggi e regole saranno in relazione con il precedente e non con l’attualità”. Difatti il film è stato anticipato da tre cortometraggi che ci spiegano cosa sia successo nel 2022, nel 2036 e nel 2048 (nel quale vengono anche presentati il villain Neander Wallace e Sapper Morton interpretati rispettivamente da Jared Leto e Dave Bautista). Nel film si è ampliato il mondo di Blade Runner, uscendo da Los Angeles, arricchendolo di atmosfere retrofuturistiche e apocalittiche a Las Vegas, di luci e colori nuovi e persino di nove extramondi. Alla fotografia Roger Deakins ritorna, dopo Prisoners e Sicario, a collaborare con Villeneuve e si fiuta odore di Oscar. L’intensità poetica dell’immagine è tale che ogni inquadratura è un’opera d’arte vedutista dipinta da un pittore del futuro. I colori sono la cifra aggiunta a questo film di fantascienza che ci regala perle come la silhouette di Ryan Gosling, in mezzo all’inquadratura dalle atmosfere quasi marziane, che richiama la fredda solitudine di “Viandante sul mare di nebbia” e “Donna al tramonto del sole” di Friedrich. Le inquadrature in volo degli “spinner”, le auto volanti, sono l’occasione per Deakins per ampliare il panorama di Blade Runner 2049 non più confinato ad una eterna Los Angeles notturna e piovosa. Il film inizia con una ripresa aerea dei campi freddi e distopici del 2049 che ci immerge fin dal principio in un mondo che rimpiange l’attuazione dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. La neve è il pretesto per regalare giochi di luci e atmosfere inattese ed il mare ha la stessa cupa e biblica forza di un’incisione del Dorè. Due scene probabilmente entreranno nell’immaginario collettivo: la prima una scena d’amore, la seconda un duello a Las vegas. La scena d’amore è un bellissimo uso del digitale per creare un inedito menage a trois tra il protagonista, una replicante e l’applicazione olografica Joi (Ana de Armas), dove non vi è bisogno alcuno di nudità per raccontare. La seconda è un duello a Las Vegas, nel salone di un club, il cui buio e silenzio sono rotti dagli ologrammi e dalle voci di Elvis Presley e di Marilyn Monroe. Il carattere retrofuturistico del film è reso ancor più evidente dalla scelta di non presentare un mondo tecnologicamente molto più avanzato rispetto alla pellicola del 1982. Questa scelta stilistica rende Blade Runner 2049 un innesto credibile al mondo di Deckard. L’espediente del blackout, che ha portato alla distruzione di tutti i dati informatici, causato da un impulso elettromagnetico è un espediente interessante. Non è una novità perché è stato già utilizzato nella serie Tv Dark Angel, creata da James Cameron, dove un ordigno nucleare esplodendo nella ionosfera aveva causato una potentissima onda elettromagnetica che aveva azzerato i sistemi informatici e di comunicazione di gran parte degli Stati Uniti. Questo azzeramento della memoria dei dati informatici è certamente un parallelismo con il fil rouge degli innesti di memoria del protagonista ed è un invito del regista a riflettere su internet come memoria collettiva e su quella individuale. L’espediente viene qui valorizzato, a differenza di Dark Angel, dal ritorno all’uso dell’analogico e questo approccio rende la pellicola molto particolare e interessante. Se nel primo film i replicanti erano ossessionati per le fotografie, in uno struggente tentativo di costruirsi una memoria affettiva per quanto artefatta, in Blade Runner 2049 compare l'espediente del giocattolo. Il protagonista si emoziona come un novello Ulisse alle parole di Demodoco quando ricorda questo frammento della propria memoria: un piccolo cavallo di legno intagliato a mano. Ryan Gosling, l’agente K, sostiene un film lento ed ermetico anche se è evidente la ricerca di rassomigliare al Deckard del 1982. Ana de Armas, l’applicazione Joi, offre un’ottima interpretazione e ci insinua il dubbio che anche un’app può amare. Harrison Ford, l’agente Deckard, si redime dopo la pessima reinterpretazione di Han Solo e ci presenta un personaggio sofferto, invecchiato e credibile che vive autoesiliatosi in compagnia di un cane (vero o replicante che sia è un omaggio a Philip K. Dick). Jared Leto intrepreta il magnate Neander Wallace, il “non cattivo” del film perché ha un ruolo ambiguo e marginale, confinato a poche scene nelle quali si esprime come un profeta biblico mentre gioca a fare il Demiurgo nella sua piramide dorata, ed è carente della funzione cardine per la trama che invece aveva Tyrell nel film del 1982. Wallace è presentato come un magnate cieco, con la barba, a tratti simile ad un profeta veterotestamentario, in altri ad un fantascientifico John Milton e in altri ancora al demiurgo di William Blake. Tuttavia si sente la mancanza di un Roy Batty (Rutger Hauer) che pareva un luciferino angelo caduto, sofferente nella sua ricerca di senso e di vita, e che ci ha donato uno dei monologhi più intensi e famosi della storia del cinema. Quindi Blade Runner 2049 è un ottimo film di fantascienza ma non è un capolavoro come la pellicola del 1982. Nonostante cerchi di creare una propria mitologia grazie ad un Roger Deakins strepitoso, ad allusioni e citazionismi vari, non ha la ruvida e carismatica forza del Blade Runner di Scott. La sceneggiatura non è al pari della fotografia: manca il pathos tragico della compagnia di replicanti di Roy Batty e molte scelte narrative fanno pensare all'inizio di una saga. L'opera di Villeneuve sicuramente rimarrà come modello estetico per i film di fantascienza a venire sia per la fotografia che per la scenografia e gli effetti speciali, ma non è andato oltre e purtroppo non ci ha fatto immaginare le navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione né i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.
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