Birdman |
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Un film di Alejandro G. Iñárritu.
Con Michael Keaton, Zach Galifianakis, Edward Norton, Andrea Riseborough.
continua»
Titolo originale Birdman or (The Unexpected Virtue of Ignorance).
Commedia,
Ratings: Kids+13,
durata 119 min.
- USA 2014.
- 20th Century Fox Italia
uscita giovedì 5 febbraio 2015.
MYMONETRO
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Guarda in faccia alla realtà del mestiere d'attore
di Great StevenFeedback: 70023 | altri commenti e recensioni di Great Steven |
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lunedì 12 settembre 2016 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
BIRDMAN (USA, 2015) diretto da ALEJANDRO GONZALES IňARRITU. Interpretato da MICHAEL KEATON, ZACH GALIFIANAKIS, NAOMI WATTS, EDWARD NORTON, EMMA STONE, ANDREA RISEBOROUGH, AMY RYAN, MERRITT WEVER, LINDSAY DUNCAN, BILL CAMP, ANTONIO SANCHEZ
Riggan Thomson deve la sua notorietà al personaggio di Birdman, supereroe con costume da volatile che ha interpretato in una trilogia cinematografica, di cui avrebbe dovuto essere distribuito anche un quarto capitolo, che poi non è stato realizzato. La cosa pesa alquanto negativamente sulla personalità dell’attore, che si sente la vocazione e il talento del grande artista e fa di tutto per rimarcarlo a sé stesso, ai colleghi e a tutti gli individui che gli lavorano accanto. Riggan fa il diavolo a quattro per far rappresentare a Broadway (ora infatti, abbandonato il cinema, opera a teatro) una pièce di Raymond Carver, nella quale figura come regista, tentando contemporaneamente di ricucire i legami della sua vita deterioratisi col tempo e di fare chiarezza dentro sé stesso. Ma è una lotta senza speranza: il suo alter ego afferma sempre con maggiore violenza la convinzione che Thomson abbia sprecato il suo talento e si sia ridotto davvero male, spingendolo infine a commettere il suicidio. Le persone che ruotano intorno alla sua esistenza turbata e auto- commiserevole, molte delle quali anime in pena come lui, sono il suo produttore e avvocato Jake, il capriccioso e testardo attore Mike, la disillusa e incattivita primattrice Leslie e la figlia di Riggan, Sam, recentemente disintossicata ma con la voglia ancora di ricadere nel vizio. Il film ha portato a casa quattro Oscar alla cerimonia 2015, e per una volta si può dire che la pellicola che s’è guadagnata l’Academy Award più ambito e importante lo ha fatto con meriti pieni e innegabili: sottotitolato Or The Unexpected Virtus of Ignorance, l’opus n° 5 di Iňarritu si propone come un’analisi spietata del mondo della recitazione statunitense, entrando a testa alta nell’universo del teatro più pagato e stimato del pianeta per raccontare le inquietudini, i vizi capitali, le insicurezze e i problemi radicati degli esseri umani che ci vivono dentro e lo utilizzano per mantenersi, insistendo in particolar modo sul bisogno di un’arte pura e genuina che deve servire allo scopo di creare, quasi dal nulla, prodotti artistici di innegabile qualità. È una riflessione sul mestiere dell’attore come lo era stato, nel 1982, il riuscitissimo Tootsie di Sydney Pollack, benché le differenze tra le due opere non si contino certo sulla punta delle dita. Ma Birdman ha un non so che di shakespeariano nel tracciare il grigiore imperante che alberga nelle anime dei suoi personaggi, infondendo ad un cast di prim’ordine un impenetrabile mantello di regalità e austerità, il quale gioca con le paure e le angosce per enfatizzarle sempre più e condurle a determinare le decisioni di uomini e donne che, in fondo, vogliono soltanto ritagliarsi un angolo di pace e un mezzo espressivo in un mondo sempre più caotico e alienante. Il problema è appunto ritagliarselo nel mondo dell’arte, un veicolo di creazione umana che ormai, questo lo sostengono a ragione in molti, è considerata una cosa inutile e infruttuosa. E su questo neanche il più ignorante degli uomini può essere d’accordo: Iňarritu ribatte la preponderanza dell’arte, in questo caso facendo leva sulla recitazione, attraverso un discorso umanitario che vede negli esecutori della stessa l’atto fautore della sua bellezza, del suo stile e della sua eterna trasversalità. Conta innumerevoli pezzi di bravura che, visti una seconda volta, stupiscono e meravigliano ancora di più: i duetti fra Keaton e Galifianakis sulle prospettive future degli spettacoli a Broadway; la discussione animata e focosa fra Keaton e Norton su come raffigurare i dialoghi nel testo teatrale da mettere in scena; la ramanzina sentimentalista della moglie del protagonista sul suo troppo trascurato ruolo di genitore e marito; l’esplosione emotiva della figlia nuovamente drogata nei confronti del padre, ricca di un risentimento troppo a lungo covato e ora improvvisamente scoppiato. Non c’è un solo aspetto del tran-tran quotidiano dell’attore che non venga esaminato con estremo puntiglio e doviziosa accuratezza, e sempre senza scivolare nella trappola dei luoghi comuni o della ripetitività. Attori eccezionali, che meritano, anche alla seconda visione, applausi scroscianti: le loro performance si dimostrano straordinarie specialmente nelle interazioni a due a due, nelle quali gli interpreti sfoderano il meglio di sé. E c’è anche da sottolineare come alla maggior parte degli interpreti sia stata affidata una parte che non è nelle loro corde abituali, soprattutto per quanto concerne il carattere di Z. Galifianakis. Lo stesso Keaton recita in un concentrato di commiserazione, paura, tradimento ed esaltazione interiore che ben difficilmente poteva essere assegnato ad un altro, anche per via della difficoltà di attuarlo a livello pratico. Godibilissimo e magnifico: non centra la perfezione, specialmente a causa di qualche insistenza eccessiva sulla cupezza e sulla tetraggine, ma ribadisce la sua natura di apologo della condizione umana mediante la necessità di riscatto e l’affermazione del proprio Io sopra le altrui polemiche e gli eventi incontrollabili delle circostanze.
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