carlino
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giovedì 31 gennaio 2008
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uno snob monolitico che non sa nulla della natura
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Il film di Penn è tutto fuorché un romanzo di formazione. Il protagonista ha delle idee fisse, un po' paranoiche, e le persegue fino ad un pentimento troppo tardivo. Cerca la Natura ma, da buon cittadino totalmente immerso nella stessa "società" che tenacemente rifiuta, dimostra di non capirne minimamente i meccanismi. E' completamente al di fuori dell'ecosistema e si rapporta ad esso con un trito schema romantico. Maschera la propria voglia di sfida con un'apparente ricerca di comunione che suona ipocrita come certi romanzi alpinistici. Il superomismo misantropo di Supertramp, che ecumenicamente dispensa il suo Verbo senza accettare in cambio nulla("si sa che la gente da buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio" cantava De Andrè) mi ha fatto desiderare che fosse l'orso affamato a rendergli giustizia risparmiandoci il finale.
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Il film di Penn è tutto fuorché un romanzo di formazione. Il protagonista ha delle idee fisse, un po' paranoiche, e le persegue fino ad un pentimento troppo tardivo. Cerca la Natura ma, da buon cittadino totalmente immerso nella stessa "società" che tenacemente rifiuta, dimostra di non capirne minimamente i meccanismi. E' completamente al di fuori dell'ecosistema e si rapporta ad esso con un trito schema romantico. Maschera la propria voglia di sfida con un'apparente ricerca di comunione che suona ipocrita come certi romanzi alpinistici. Il superomismo misantropo di Supertramp, che ecumenicamente dispensa il suo Verbo senza accettare in cambio nulla("si sa che la gente da buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio" cantava De Andrè) mi ha fatto desiderare che fosse l'orso affamato a rendergli giustizia risparmiandoci il finale.
Il film si riscatta nella bellezza formale dell'immagine(che ti fa uscire dal cinema quasi contento) ma nei contenuti rimane un'americanata theocon. Limiti del libro di Krakauer o della trasposizione cinematografica? Dal poco che ho letto il vero Mccandless mi sembra un personaggio complesso con una profonda tragicità che meritava un approfondimento più critico. D'altronde la wilderness è un mito che, in tempo di crisi, fa rilasciare endorfine.
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[+] pienamente d'accordo!
(di gazza973)
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[+] un film da non dimenticare
(di silvio)
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[+] e invece ne sai tu qalcosa della natura?
(di aragorn86)
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(di stanley)
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(di robby)
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[+] e tu saresti un critico? senti, lascia perdere...
(di vale88)
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mario scafidi
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venerdì 1 febbraio 2008
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discovery channel chiama sean pen!
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Solo nella natura incontaminata (“selvaggia”, a stare alla traduzione letterale del titolo). Chris compie un viaggio coraggioso e catartico. Vuole assaporare la libertà e sganciarsi dalle sovrastrutture che come una gabbia intrappolano e costringono il quotidiano di ognuno. All’inizio il film mi sembrava bellissimo e candidato alla categoria (esclusivissima e preclusiva) del capolavoro. Poi qualcuno, dialogando col protagonista rompe l’idillio tra me e Sean Penn, ricordando che “non è tutto rose e fiori sul fronte hippy”; suona il campanello d’allarme: che cazzo dici? Ed ecco che l’incauta rivelazione del capellone hippy apre la strada ad uno snocciolio di motti scemotti buttati qua e là tra un’inquadratura epica, una fotografia da National Geographic, ed un piano sequenza degno di Discovery Channel.
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Solo nella natura incontaminata (“selvaggia”, a stare alla traduzione letterale del titolo). Chris compie un viaggio coraggioso e catartico. Vuole assaporare la libertà e sganciarsi dalle sovrastrutture che come una gabbia intrappolano e costringono il quotidiano di ognuno. All’inizio il film mi sembrava bellissimo e candidato alla categoria (esclusivissima e preclusiva) del capolavoro. Poi qualcuno, dialogando col protagonista rompe l’idillio tra me e Sean Penn, ricordando che “non è tutto rose e fiori sul fronte hippy”; suona il campanello d’allarme: che cazzo dici? Ed ecco che l’incauta rivelazione del capellone hippy apre la strada ad uno snocciolio di motti scemotti buttati qua e là tra un’inquadratura epica, una fotografia da National Geographic, ed un piano sequenza degno di Discovery Channel. Il protagonista elogia una mela, perché “così biologica da essere la luce-mela dei suoi occhi” (sic!), ci ricorda che “i soldi e il potere sono illusioni” (ops, concetto inedito!), si inebria all’idea di smarrirsi in Alaska senza mamma e papà, senza le sigarette e… senza un’ascia (…un’ascia?), asserisce, inconsapevole del salto logico di un’affermazione simile, che l’aver ingoiato molta sabbia durante una tempesta in Messico possa sopperire al fatto che ha attraversato il confine senza documenti (eh?)… alla fine si gode, perché si aspetta impazienti che Chris apra la bocca, curiosi di sentire la nuova cazzata che sparerà a salve. Degna di nota, lode e gloria la colonna sonora: country languido con abuso di chitarra. Magnifica. Fugace, ma pregnante, l’apparizione di Hal Halbroock, candidato all’Oscar come miglior attore non protagonista. In conclusione mi chiedo: “Into the Wild” è una storia vera. Come ha fatto il giovane Chris a ridursi in quel modo, così tanto esaurito, a ventidue anni? Povero caro, si fosse fatto una canna al momento giusto avrebbe disteso i suoi nervi, senza bisogno di finire tra i ghiacci.
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[+] questi hippy fastidiosi
(di jeky)
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[+] bella jeky diglielo!!
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[+] ?
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[+] e fatti sta canna
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[+] poveretto, non ci hai capito niente.........
(di kingbacon)
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martina
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venerdì 8 febbraio 2008
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dio mio, questi americani....
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Quanto siamo diversi, noi europei: capisco che il film racconta una storia vera, di uno che provava le stesse cose che tanti di noi hanno provato, peraltro sperimentando ricerche personali e lotte interiori senza lasciarci la pelle...ma questa adesione incondizionata, del film alle scelte di vita del personaggio un po' mi irrita.
I percorsi iniziatici sono tali se conducono da qualche parte, e chissenefrega dei testamenti spirituali: se hai buttato via la vita per capire che la vera felicità è quella condivisa non sei arrivato da nessuna parte. Avrei voluto, da parte del regista, un richiamo morale, in questo senso, e non la glorificazione di un giovanotto che in fondo non ha fatto altro che respingere tutti coloro che cercavano di amarlo ed aiutarlo e la cui morte, tutt'altro che una catarsi, a me pare non sia altro se non il castigo più grande per i suoi genitori ( ma visto che era tanto intelligente, il giovane americano, non ci poteva parlare, con papà e mamma?).
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Quanto siamo diversi, noi europei: capisco che il film racconta una storia vera, di uno che provava le stesse cose che tanti di noi hanno provato, peraltro sperimentando ricerche personali e lotte interiori senza lasciarci la pelle...ma questa adesione incondizionata, del film alle scelte di vita del personaggio un po' mi irrita.
I percorsi iniziatici sono tali se conducono da qualche parte, e chissenefrega dei testamenti spirituali: se hai buttato via la vita per capire che la vera felicità è quella condivisa non sei arrivato da nessuna parte. Avrei voluto, da parte del regista, un richiamo morale, in questo senso, e non la glorificazione di un giovanotto che in fondo non ha fatto altro che respingere tutti coloro che cercavano di amarlo ed aiutarlo e la cui morte, tutt'altro che una catarsi, a me pare non sia altro se non il castigo più grande per i suoi genitori ( ma visto che era tanto intelligente, il giovane americano, non ci poteva parlare, con papà e mamma?).
Ho apprezzato la regia, molto, tranne in quegli indugi sulle performace del protagonista e in alcuni ghirigori e compiacimenti di cui si poteva fare a meno.
Non so se il film è fedele al libro cui si ispira, che non ho letto e non leggerò, ma all'età del protagonista io non mi sarei fatta fermare da un fiumiciattolo in piena, e ne avrei risalito la corrente alla ricerca di un guado....e sapevo fin troppo bene che tra i frutti di madre terra si nascondono pericoli mortali...ecco, avrei voluto un monito in questo senso, se vi vien voglia di fare i Robinson nelle terre selvagge o, analogamente, se vien voglia di fare una qualsiasi esperienza estrema, fatelo con saggezza e non solo con coraggio...
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(di baggio10)
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stregone
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venerdì 29 febbraio 2008
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penn farebbe meglio a lasciar perdere la regia
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Un brutto film, tratto da una storia vera come questa è davvero difficile realizzarlo. Ma Penn ci riesce a pieni voti! Perchè una storia come questa, che se inventata apparirebbe inverosimile, con un finale tragico, ambientata in scenari unici, commuoverebbe e appassionerebbe persino il più cinico degli spettatori. Invece Penn fa di tutto per condire questa apparentemente magnifica, drammatica avventura di noia, banalità, caos narrativo, effetti caricaturali che finiscono con l'immeserire tutto. Oh, Penn ci mette passione, e si vede, ma non ci siamo! La fotografia è pessima, in quanto pressochè inesistente, i personaggi ridicoli, le vicende, se anche reali, narrate in modo inverosimile. Così assistiamo a hippies-dinosauri che ritrovano pace e armonia di coppia grazie all'intervemto quasi soprannaturale di questo ragazzo, polizia fluviale che non raggiunge una solitario canoa (già ma lo zaino che compare e scompare che magia è?).
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Un brutto film, tratto da una storia vera come questa è davvero difficile realizzarlo. Ma Penn ci riesce a pieni voti! Perchè una storia come questa, che se inventata apparirebbe inverosimile, con un finale tragico, ambientata in scenari unici, commuoverebbe e appassionerebbe persino il più cinico degli spettatori. Invece Penn fa di tutto per condire questa apparentemente magnifica, drammatica avventura di noia, banalità, caos narrativo, effetti caricaturali che finiscono con l'immeserire tutto. Oh, Penn ci mette passione, e si vede, ma non ci siamo! La fotografia è pessima, in quanto pressochè inesistente, i personaggi ridicoli, le vicende, se anche reali, narrate in modo inverosimile. Così assistiamo a hippies-dinosauri che ritrovano pace e armonia di coppia grazie all'intervemto quasi soprannaturale di questo ragazzo, polizia fluviale che non raggiunge una solitario canoa (già ma lo zaino che compare e scompare che magia è?). In compenso però quando alla frontiera viene preso, basta un po' di polvere addosso per usargli un riguardo stupefacente. Ma forse Supertramp ha dei poteri che il film non ci vuole rivelare. Ma chi è in effetti Supertramp? Un traumatizzato (dai genitori), un pazzo naturale, un idealista con strani concetti (non si capisce perchè rifiuta il denaro, poi cerca di guadagnarselo..), un guru che non scopa nemmeno quando gliela mettono sotto al naso? Uno sfigato, molto più semplicemente. Anche pedante, a tratti irritante con la sua arroganza, con la sua aria "ho capito tutto io". E poi Penn indulge ad ampie mani alla retorica: un vecchio che non si regge in piedi scala un monte e confessa di far tesoro di un'importante lezione di vita presa dal ragazzo. Così da un momento all'altro ci si aspetta di vederlo cavalcare le nuvole. E invece muore, avvelenato e denutrito e nel più standard dei clichè (e qui davvero c'è tutta la capacità narritiva di Penn): rivedendo tutta la sua vita. Patetico, penoso, caro Penn. E il tocco di classe di questa spaiente, sconvolgente regia: quell'aereo che in più riprese appare stagliato contro il cielo. Santo cielo, è il caso di esclamare! Finalmente si capisce. Questa è arte, mica storie...
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pep82
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martedì 6 maggio 2008
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retorico e scontato.
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La storia: un ragazzino viziato, di famiglia benestante, dopo la laurea decide di abbandonare la famiglia, gli studi, la carriera, le convenzioni della società civile, non alla ricerca dell'amore, o di contatto umano, che puntalmente rifiuta attraverso la fuga, ma di una libertà impossibile, utopica, e della verità, cioè della morte, che trova ingerendo, per sbaglio, una pianta velenosa.
Questa la vita vissuta da Chris Mc Candless. Mi spiego il perchè (commerciale) krakauer abbia voluto raccontare un avvenimento ancora così vicino (Chris è morto nel 92 il libro sfornato appena 4 anni dopo)e perciò interessante; Ma perchè Sean Penn ha aspettato anni per avere i diritti per girarci un film così mal riuscito e prevedibile? La storia, seppure reale, non è per niente originale; negli anni 60-70, sono state proiettate sullo schermo un'infinità di storie sulla ricerca della libertà e della verità molto simili.
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La storia: un ragazzino viziato, di famiglia benestante, dopo la laurea decide di abbandonare la famiglia, gli studi, la carriera, le convenzioni della società civile, non alla ricerca dell'amore, o di contatto umano, che puntalmente rifiuta attraverso la fuga, ma di una libertà impossibile, utopica, e della verità, cioè della morte, che trova ingerendo, per sbaglio, una pianta velenosa.
Questa la vita vissuta da Chris Mc Candless. Mi spiego il perchè (commerciale) krakauer abbia voluto raccontare un avvenimento ancora così vicino (Chris è morto nel 92 il libro sfornato appena 4 anni dopo)e perciò interessante; Ma perchè Sean Penn ha aspettato anni per avere i diritti per girarci un film così mal riuscito e prevedibile? La storia, seppure reale, non è per niente originale; negli anni 60-70, sono state proiettate sullo schermo un'infinità di storie sulla ricerca della libertà e della verità molto simili...(ottimi film, "Cinque pezzi facili" di Rafelson su tutti, sono ascrivibili a questo filone). Se poi il personaggio viene estremizzato nei suoi aspetti più adolescenziali e per di più pacchianamente politicizzato (mi riferisco al primo piano, alquanto patetico, sui soldi che bruciano, ai discorsi pseudo-anarchici di Chris sulla "vera" libertà e sul rifiuto della società, allo sguardo idealistico del regista sul mondo hippie), ne risulta un manuale dei buoni sentimenti per ragazzini sognatori. Infine evidenzierei l'arroganza borghese di questo ragazzo che si atteggia a saggio con tutte le sue frasi preconfezionate, quando l'unica persona/personaggio positivo e "filosofico" di tale avventura è il vecchio, che disperatamente prova a fargli capire che l'umiltà, il perdono, l'amore, la bellezza, costituiscono l'unica verità accessibile all'uomo, il resto conduce alla morte. La regia è pietosamente scolastica e noioisa (il film poteva durare anche un tre quarti d'ora in meno), la voce narrante un espediente evitabile che esplicita, con aforismi da baci perugina,i pensieri di Chris, non lasciando il minimo spazio all'immaginazione; la ciliegina sulla torta di questa festa della banalità, è la colonna sonora, in stile rock-folk on the road.
In breve, un apologo sulla vita, una critica alla società moderna per i poveri di spirito, un ready made per i cuori semplici, che necessitano di qualcuno o qualcosa che indichi loro la retta via, meglio se questo qualcuno si atteggi ad emarginato, a reietto di hollywood, come da sempre appare Sean Penn. Ho letto recensioni negative ed offensive su "The brown bunny" di Vincent Gallo, un indipendente sul serio, che trattava in modo molto innovativo e personale, e con perizia registica il tema della sofferenza e della solitudine umana, mentre la maggior parte degli utenti di questo forum per "Into the wild", molto più noioso e pleonastico, si spreca in elogi incomprensibili. L'animo umano in questa società consumistica ed alienante, tende sempre più a calarsi nel fango, non ad elevarsi, ed un film così volutamente, pretenziosamente e volgarmente anticapitalista, non fa che confermare quanto asserisco. Dov'è la bellezza dell'arte ?! Sean, ti prego, torna a recitare e smettila di dirigere questi polpettoni su falsi ribelli senza macchia!!! Per la prima volta sono d'accordo con l'academy che ha deciso di escludere questo film dalle nomination per gli oscar 2008.
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carmen
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giovedì 7 febbraio 2008
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Into the Wild di Sean Penn non è un film che lascia il segno solo perchè costruito in tutti i suoi elementi (scenografia, fotografia,colonna sonora, sceneggiatura-poetica-semiotica..) in maniera stilisticamente armoniosa ed equilibrata, ma è una di quelle rare perle di riflessione profonda che non possono non portare gli animi degli spettatori a confrontarsi, anche solo per un minuto, con se stessi e il mondo in cui ciascuno crede di aver scelto di vivere. Io ho trovato il film, classificabile semplicisticamente nel genere "on the road verso l'io più intimo", in realtà molto "romantico" nel senso letterario del termine. Ho trovato che molti passaggi, che fossero contenuti ideologici o riprese, inquadrature, richiamassero il romanticismo letterario della letteratura tedesca dell'800': lo Sturm und Drang, quella Tempesta e Assalto delle opere di Goethe e Shiller.
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Into the Wild di Sean Penn non è un film che lascia il segno solo perchè costruito in tutti i suoi elementi (scenografia, fotografia,colonna sonora, sceneggiatura-poetica-semiotica..) in maniera stilisticamente armoniosa ed equilibrata, ma è una di quelle rare perle di riflessione profonda che non possono non portare gli animi degli spettatori a confrontarsi, anche solo per un minuto, con se stessi e il mondo in cui ciascuno crede di aver scelto di vivere. Io ho trovato il film, classificabile semplicisticamente nel genere "on the road verso l'io più intimo", in realtà molto "romantico" nel senso letterario del termine. Ho trovato che molti passaggi, che fossero contenuti ideologici o riprese, inquadrature, richiamassero il romanticismo letterario della letteratura tedesca dell'800': lo Sturm und Drang, quella Tempesta e Assalto delle opere di Goethe e Shiller...lo sgomento che nasce dal senso di finitudine umano e il desiderio di compartecipazione dell'infinito al cospetto della maestosità della Natura: la ripresa di Chris sulla vetta delle montagne mentre abbraccia il panorama pare materializzarsi quasi inequivocabilmente dal dipinto "il Viandante sul mare di nebbia" di
C.D.Friedrich(1818)immagine-icona del sentire romantico. In un film fatto volutamente ed esplicitamente di citazioni letterarie che confermano e confortano l'animo del protagonista è possibile considerare anche questa influenza, secondo me non poi così latente? Quando Chris non riesce a recuperare, nonostante gli sforzi, la carne dell'alce che ha ucciso a causa delle larve e degli insetti, egli pensa di sentire come "una forza naturale avversa"... quanto è Leopardiana questa citazione?.. e quanto lo è l'epigrafe finale sulla felicità che "è autentica solo se condivisa" (affine al sentire della "ginestra" simbolo della solidarietà tra gli uomini e della poesia che rende tollerabile la vita)! Una saggezza che giunge anche per Chris al termine degli sforzi di tutto un percorso condotto in solitudine, annotando ogni pensiero nel proprio Zibaldone (che fossero scritti su carta, incisioni sul legno, le decorazioni di una cintura).
Del protagonista (questa volta del bioepic) ho ammirato il coraggio di fare quel "salto" oltre la retorica di tanti discorsi contro le convenzioni sociali ed il materialismo, quel "sentirsi forte di misurarsi" con se stessi ed i propri ideali nel modo che sentiva più personale,e per questo più discutibile, possibile. Ho ammirato la vera riflessione finale(oltre "la vera felicità condivisa")ovvero "..e se io ora vi stessi sorridendo e abbracciando... nn vedrei tutto questo!" per cui Chris in punto di morte non si pente di ciò che ha fatto, nonostante i ripensamenti sui legami umani e le sofferenze fisiche.I capitoli della vita vera di Christopher McCandless si sono certo conclusi a metà di un vero percorso, sarebbe stato davvero interessante sapere del ritorno di qualcuno che è giunto a tutta la ricchezza del suo animo.
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(di dodo)
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claudia
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venerdì 22 febbraio 2008
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alla scoperta del nuovo mondo
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Biografia affascinante e complessa che lascia disorientato lo spettatore perché espressione di una società diversa dalla nostra.Molto legata alla letteratura di cui il protagonista si nutre come antidoto alla realtà che vive (narrata dalla voce fuori campo della sorella),è una sinfonia di immagini (naturalistiche e non,anche quelle urbane sono molto belle) che si fondono con l'elemento uomo in più chiavi.Lo spirito di avventura porterà il nostro Supertramp a misurarsi con se stesso,con tutto ciò di cui l'uomo può far esperienza trovandovi la felicità,che non è frutto dei rapporti umani come dice ad uno dei suoi amici di viaggio MA,alla fine della sua permanenza al limite (100 giorni) in un bus che sarà di fatto la sua "tomba",scoprirà che essa è REALE solo quando condivisa.
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Biografia affascinante e complessa che lascia disorientato lo spettatore perché espressione di una società diversa dalla nostra.Molto legata alla letteratura di cui il protagonista si nutre come antidoto alla realtà che vive (narrata dalla voce fuori campo della sorella),è una sinfonia di immagini (naturalistiche e non,anche quelle urbane sono molto belle) che si fondono con l'elemento uomo in più chiavi.Lo spirito di avventura porterà il nostro Supertramp a misurarsi con se stesso,con tutto ciò di cui l'uomo può far esperienza trovandovi la felicità,che non è frutto dei rapporti umani come dice ad uno dei suoi amici di viaggio MA,alla fine della sua permanenza al limite (100 giorni) in un bus che sarà di fatto la sua "tomba",scoprirà che essa è REALE solo quando condivisa.Ed è per questo che in un ideale ritorno a casa,l'avventura del nostro pioniere si spegnerà in un ultimo sorriso.Un sorriso di felicità.
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darjus
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lunedì 18 febbraio 2008
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l'occasione perduta da penn
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Ci vuole una grande ingenuità per poter pensare di lasciare tutto e intraprendere un cammino solitario, senza stabilità e a contatto diretto con la natura selvaggia. E ci vuole una grande ingenuità per raccontare una storia come quella di Chris McCandless, lanciandosi in un’elegia della solitudine e della fuga, senza curarsi di cadere in contraddizione (anche in qualche dettaglio: perché Hirsch brucia i soldi ma non si disfa dell’orologio?), e finendo per raccontare una fuga da se stessi. Ma tutta l’ingenuità di Sean Penn, quando alberga anche nello spettatore-viaggiatore che è ancora in grado di sognare, diventa un pregio perché è la chiave che consente di lasciarsi incantare dal ruvido susseguirsi di immagini ed emozioni, dalla musica di Eddie Vedder e dal miracolo del viaggio.
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Ci vuole una grande ingenuità per poter pensare di lasciare tutto e intraprendere un cammino solitario, senza stabilità e a contatto diretto con la natura selvaggia. E ci vuole una grande ingenuità per raccontare una storia come quella di Chris McCandless, lanciandosi in un’elegia della solitudine e della fuga, senza curarsi di cadere in contraddizione (anche in qualche dettaglio: perché Hirsch brucia i soldi ma non si disfa dell’orologio?), e finendo per raccontare una fuga da se stessi. Ma tutta l’ingenuità di Sean Penn, quando alberga anche nello spettatore-viaggiatore che è ancora in grado di sognare, diventa un pregio perché è la chiave che consente di lasciarsi incantare dal ruvido susseguirsi di immagini ed emozioni, dalla musica di Eddie Vedder e dal miracolo del viaggio. E allora la fuga di Penn/Hirsch (il secondo più bravo del primo, nei rispettivi ruoli) diviene un’odissea, una disperata ricerca di se stessi e dell’essenza di vivere, un’indagine avventurosa, irrazionale e selvaggia delle relazioni umane, della vita pura e senza sovrastrutture e del proprio rapporto con la natura. La potenza ottenuta da Penn, grazie alla perfetta combinazione di musica e immagini, è la dimostrazione delle potenzialità tradite da “Into the wild”: non occorre il voice-off per descrivere il senso dell’avventura e della scoperta quando si mostra un ragazzo che attraversa una landa desolata e innevata. Così come non occorre quando si sceglie di inquadrare una ragazza che tristemente attende il ritorno del fratello. Penn, che non è Malick, si preoccupa troppo dei suoi spettatori e ha la premura di mostrare e spiegare più del dovuto, andando spesso alla ricerca dell’emozione facile (che riesce comunque ad ottenere) e non omettendo (dal racconto cinematografico che adatta una storia vera) le ragioni meno nobili della scelta di Chris, che giustificano la sua fuga con il peso schiacciante dell’orribile famiglia borghese, mentre avrebbe potuto semplicemente mostrare una fuga dalla civiltà moderna, assurda e grottesca utopia che ingabbia gli spiriti liberi. L’odissea si perde così in una fuga e perde la sua profondità filosofica di ricerca per la ricerca per ridursi ad un capriccio estremista, ancorché comunque fonte di nuovi insegnamenti. Lodevole la fotografia e l’uso degli spazi, ottimi tutti i personaggi di contorno (la Keener è, come al solito, brava e intensa) che Chris incontra nel suo viaggio, fino a giungere all’inevitabile conclusione che conferma un adagio di Marcel Proust: “il vero viaggio della scoperta non consiste nel cercare nuovi panorami, ma nell’avere nuovi occhi”. **½
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[+] l'occasione perduta da penn (ma non da darjus)
(di ste251)
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(di francesco c.)
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