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Chaplin il compositore: Timothy Brock racconta il suo lavoro sulle musiche del grande regista

Il 2 e 3 febbraio l’Auditorium di Milano ospiterà la proiezione de Il grande dittatore, accompagnata dall'Orchestra Sinfonica di Milano diretta da Brock.
di Emanuele Sacchi

Charles Chaplin (Charles Spencer Chaplin) Altri nomi: (Charlie Chaplin, Charlot) 16 aprile 1889, Londra (Gran Bretagna) - 25 Dicembre 1977, Vevey (Svizzera). Interpreta Adenoid Hynkel (dittatore di Tomania) / un barbiere ebreo nel film di Charles Chaplin Il grande dittatore.
venerdì 5 gennaio 2024 - Incontri

Dal 1999 a oggi la Fondazione Chaplin ha affidato a Timothy Brock l’incarico di restaurare le colonne sonore di Charles Chaplin e sonorizzarle dal vivo, con accompagnamento orchestrale. Una collaborazione iniziata con il lavoro titanico compiuto da Brock su Tempi moderni: un anno e mezzo di attività per ricostruire la partitura definitiva di un film della durata di 87 minuti. A Tempi moderni sono seguiti molti altri restauri delle musiche originali di Chaplin, condotti con la Cineteca Nazionale di Bologna, e di esecuzioni live delle sonorizzazioni da parte di Brock sui palcoscenici di tutto il mondo. Il 2 e 3 febbraio toccherà all’Auditorium di Milano ospitare la proiezione de Il grande dittatore, accompagnata dall'Orchestra Sinfonica di Milano diretta dal direttore d’orchestra americano. È quindi l’occasione propizia per avvicinare Brock e approfondire insieme a lui il lavoro compiuto sul corpus chapliniano.

Il grande dittatore è il primo vero film sonoro di Chaplin, in cui la narrazione si svolge principalmente attraverso i dialoghi, e ha certamente richiesto un lavoro sulla colonna sonora molto differente rispetto ai suoi film muti. 

Certamente sì – conferma Timothy Brock – si può considerare il suo primo film sonoro, perché di fatto Tempi moderni avrà sì e no 10 righe di dialogo. Quindi la colonna sonora qui svolge tutt’altro ruolo ed è quantitativamente più contenuta. D’altro canto, la principale differenza consiste nell’assicurarsi che la musica non copra i dialoghi. Ci sono momenti in cui la musica si comporta come se fossimo in un film muto, come nelle scene della lotta con le SS a colpi di pentole. Altrove la musica sostiene il dialogo e sta sullo sfondo, come l’arrivo di Napaloni alla stazione o i momenti in cui gli altoparlanti diffondono la voce di Hynkel. Quindi bisogna fare attenzione, specie nell’esecuzione live, a differenziare queste parti e la prominenza della musica sul dialogo. Probabilmente la criticità sta più nell’esecuzione che nel restauro rispetto ad altre opere di Chaplin. Uno dei rischi principali sta proprio nell’esagerare in fase di esecuzione, allontanandosi dall’originale e finendo per oscurare i dialoghi.
Ne Il grande dittatore Chaplin ha la tendenza a mettere la musica sullo sfondo anche più del necessario, probabilmente perché affascinato dalla novità di poter giocare con diversi elementi del cinema con cui non aveva mai lavorato prima. Talvolta il volume della banda sonora è così basso da divenire quasi inintelligibile e io ho cercato di modificare le cose un minimo per evidenziare la musica senza però sacrificare il film. Le parti in cui la musica è in primo piano riguarda partiture che non sono scritte da Chaplin, bensì da Wagner – la scena di Hynkel che gioca con il mondo – o da Brahms – la scena del taglio di barba e capelli, tipica del muto. Ma permettere al pubblico di ascoltare i brani eccellenti scritti da Chaplin altrimenti inudibili è un grande onore e una grande opportunità.

Rispetto al lavoro titanico da lei svolto su Tempi moderni, che richiese un anno e mezzo per il restauro della colonna sonora, il livello di difficoltà si è abbassato?

Il processo è stato meno faticoso e forse più breve perché la colonna sonora è cambiata molto meno rispetto alla partitura originale. In Tempi moderni Chaplin ha sostanzialmente riscritto la colonna sonora nelle parti dei singoli musicisti, seguendo il suo tipico metodo “trial and error”: se non era soddisfatto di qualcosa, Chaplin lo cambiava in corso d’opera. Quindi il lavoro più grosso a ritroso è consistito nell’assemblare le riscritture dei singoli musicisti, talora basate su appunti presi al volo, sul retro dei biglietti di un parcheggio o di un menu del ristorante. A questo si aggiunge il fatto che mancava l’acetato della registrazione originale e dalla traccia ottica è complicato recuperare l’esecuzione per intero. Con Il grande dittatore tutte le parti dei musicisti erano recuperabili e assemblarle è stato un processo molto più rapido.




 


Guardando a questi 25 anni di collaborazione con Chaplin Foundation e Cineteca di Bologna cosa sente di aver dato e di aver ottenuto dall’esperienza?

Ho ottenuto molto più di quello che ho dato. Il dono più grande è stato comprendere il modo in cui Chaplin lavorava, perché non molti sanno che compositore fosse e che talento straordinario avesse anche sul piano musicale. Sono stato anche molto fortunato perché ho potuto contare sull’aiuto di David Raksin, che assisteva sul piano musicale Chaplin in Tempi moderni e La febbre dell’oro, specie sulle parti di violino, e che è scomparso nel 2004. Mi ha aiutato molto a capire come lavorava sul set Chaplin con testimonianze di prima mano e ricordi di allora, specie su come si lavorava negli anni '20 e '30 con le major. Quanto a quel che ho “dato”, l’unico mio contributo è stato rendere le colonne sonore disponibili per i posteri, nella speranza di aver agevolato a preservare la memoria di come lavorava Chaplin e aprire a ulteriori investigazioni. Sono davvero grato per questi decenni di lavoro su un compositore che era anche regista delle sue opere: un lavoro quindi del tutto completamente dissimile da quanto da me svolto sulle partiture di Šostakóvi? o su quelle di Pizzetti per Cabiria. Sono musiche straordinarie, ma il lavoro di Chaplin è di tutt’altro genere, perché lui era il progetto, il creatore in tutte le sue forme, inclusa la parte musicale.


Del concerto che terrà a Milano cosa mi può dire? Cosa si aspetta che emerga da queste performance?

Ci si interroga sempre su quale sarà la risposta del pubblico, sulle emozioni che saprò suscitare, che si tratti delle risate o delle lacrime, come alla fine di Luci della città o de Il monello. Con Il grande dittatore è differente perché, pur non mancando i momenti comici, sono sempre risate con un fondo di malinconia, considerata la gravità del tema e la natura di monito del film stesso. Molto dipende anche dalla nazione in cui ti esibisci: in Austria o in Germania sono coinvolti su un piano, in Italia su un altro, specie considerando il ruolo di Napaloni - parodia di Benito Mussolini, nda - e della moglie. In genere di fronte a quelle scene il pubblico italiano ride a crepapelle, dal momento in cui Napaloni entra in scena a quello in cui se ne va. 

 


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