Ho visto Killers of the Flower Moon e confermo una mia idea ormai radicata: Leonardo DiCaprio è il più grande attore di questa epoca. Nel film di Scorsese offre una performance impressionante. 

Nel 2016 scrissi “Leonardo DiCaprio ha vinto l’Oscar”. Lo scrissi due mesi prima che accadesse. E non è che io fossi un fenomeno di profezie, semplicemente i tempi erano maturi e la sua prestazione in Revenant era all’altezza, come molte altre prima, alcune magari migliori, cito Blood Diamond e The Wolf of Wall Street. Soprattutto Buon compleanno Mr. Grape, dove Leonardo aveva 18 anni ma già annunciava la nascita di un fuoriclasse. 

Dopo 7 nomination, dunque, arrivò l’Oscar. Adesso non intendo ripetere il giochino della profezia, sarebbe stucchevole, ma ci sono molte probabilità che DiCaprio si veda attribuire, quella sera, la seconda statuetta. In Killers of the Flower Moon il suo non è un ruolo facile, perché Leonardo non è il solito eroe, è il nipote di De Niro, il male assoluto. Lo sostiene e gli ubbidisce come ipnotizzato e compie i delitti peggiori come quello di tentare di uccidere la propria moglie, per questioni di denaro. Il contesto è quello della tribù degli Osage che negli anni venti trovarono il petrolio e divennero “i più ricchi del mondo”. Ma i bianchi li derubavano in tutti i modi e li uccidevano. De Niro elabora un progetto di eliminazione sistematica degli Osage, con una crudeltà mostruosa, e Leonardo aderisce, salvo redimersi, parzialmente, alla fine.

DiCaprio attraversa il film in un stato ansioso, ansiogeno e febbrile. E’ conscio di quello che sta facendo, ma non può esimersi. Ma tutto il film è febbrile, con quella sensazione di pericolo mortale che comanda dall’inizio alla fine. Film grande, certo. 

C’è un momento in cui il regista trasforma DiCaprio in Brando-Corleone: la mascella sporgente, luci e ombre calate sul volto, l’espressione inquietante del padrino. E’ un bell’esercizio che porta memoria cinefila al racconto e all’estetica. A proposito di Brando. C’è chi pensa, me compreso, che DiCaprio sia il Brando di adesso. Ci può stare, l’appeal e la potenza della presenza si avvicina a quella di Marlon. Con un valore non da poco: Marlon aveva regole tutte sue, spesso ritenute anomale nel registro corrente attoriale. Un’espressione, una battuta un gesto sbagliati, se li faceva Brando, diventavano giusti. Ma rispetto a Marlon, a Leonardo manca qualcosa. La presento così. 

Ai tempi del film di Bertolucci a Parigi un gruppo di signore fondò un “Club Ultimo tango” dove uno dei riti consisteva nel lasciarsi andare alle più intime fantasie erotiche davanti al cartonato di Marlon che fa sesso con Maria Schneider. Non credo che un ambiente del genere dedicato a Leonardo sarebbe molto frequentato. Mi rifaccio anche all’opinione di tante spettatrici.

Leonardo DiCaprio compirà cinquant’anni l’anno prossimo. E’ stato un perfetto giovane e adulto. Poi dovrà essere maturo e anziano. Ma saprà come fare. Faccio due nomi esemplari, Paul Newman e Robert Redford, sempre credibili nei ruoli e nel corpo, mentre il tempo passava. DiCaprio è di quella qualità.

Si adeguerà ed è probabile che arrivino altre nomination e magari qualcosa in più. A chiudere: l’Oscar 2024… ma dai, lo vince.