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Adieu monsieur Godard

Si è spento all'età di 91 anni l'ultimo padre fondatore della Nouvelle Vague. Protagonista di una carriera multiforme, ma tutto sommato lineare e straordinariamente coerente, ha imposto da critico un nuovo modo di guardare alla storia del cinema e ha creato da regista un nuovo modo di concepire la settima arte.
di Roberto Manassero

Jean-Luc Godard 3 dicembre 1930, Parigi (Francia) - 13 Settembre 2022, Parigi (Francia).
martedì 13 settembre 2022 - Focus

Jean-Luc Godard è morto oggi a 91 anni, in Svizzera, dove risiedeva da tempo. Sembrava immortale, il grande regista nato a Parigi nel 1930 da una famiglia di origini svizzere, dal momento che anche in vecchiaia (come nel 2018, quando monopolizzò la rete con un’intervista su Instagram) non aveva perso nulla della lucidità con cui nel corso di tutta la carriera ha commentato, interpretato, plasmato, sfruttato a suo piacimento la società delle immagini, e il cinema che di essa fa parte.

Critico negli anni ’50 dei “Cahiers du cinéma” del maestro Andrè Bazin; con François Truffaut, Jacques Rivette, Claude Chabrol ed Eric Rohmer – i cosiddetti “giovani turchi” – compagno di visioni e battaglie che hanno imposto un nuovo modo di guardare alla storia del cinema; tra la fine dei ’50 e l’inizio dei ’60 passato alla regia come i suoi compagni e diventato protagonista della Nouvelle Vague, movimento che portò sullo schermo la vitalità, l’irriverenza, anche l’inquietudine delle nuove generazioni cresciute nel dopoguerra; autore in quell’epoca di capolavori come Fino all’ultimo respiro (1960), Questa è la mia vita (1962), Il disprezzo (1963), Il bandito delle undici (1965), La cinese (1967), Jean-Luc Godard è stato forse l’autore che più di ogni altro ha compreso la natura del cinema: il suo valore politico, il suo utilizzo in chiave sia conservatrice sia rivoluzionaria, la sua forza immaginifica, la sua capacità di sintetizzare le altre arti, il suo potere di plasmare la realtà e farsene al tempo stesso influenzare.

La sua carriera multiforme, ma tutto sommato lineare e straordinariamente coerente, mostra l’evoluzione di un cineasta geniale, intuitivo e provocatorio che ha saputo ridefinire con creatività iconoclasta gli elementi del cinema (il montaggio, il piano sequenza, i collage, le sovrimpressioni, la scomposizione grafica del linguaggio) e aderire alle mode del suo tempo (la militanza maoista, il sogno di un cinema comunitario nel gruppo Dziga Vertov, la stagione del riflusso, la fine delle grandi ideologie e poi del cinema stesso) per anticiparne l’evoluzione con precisione spesso folgorante.

Seguendo la lezione dei suoi maestri (Langlois, Malraux, Vertov, i grandi cineasti hollywoodiani), Godard ha sfruttato le connessioni del montaggio cinematografico per convogliare nei suoi film l’arte, la letteratura, la fotografia, la poesia, la storia, il cinema degli altri registi, in una sorta di unico grande percorso che dal modernismo al postmoderno, dall’avvento del video al digitale, lo ha portato, ribaltando una sua celebre espressione riferita al fallimento del cinema, a “non mancare” i due secoli che ha vissuto: il suo, il Novecento, del quale ha colto la parte più esaltante, ritenendosi per questo un privilegiato; e il nostro, il Duemila, nel quale è morto e del quale è stato un osservatore impareggiabile, cinico e compiaciuto.

I suoi film, anche quelli meno noti al grande pubblico – quelli che a partire da Numéro Deux (1975) e soprattutto dalle straordinarie Histoire(s) du cinéma (1988-1998), monumentale lavoro di montaggio sul rapporto fra cinema, storia e vita, sono diventati un caleidoscopio di intuizioni e frasi lapidarie (Éloge de l’amour, 2001; Adieu au langage, 2014; Le livre d'image, 2018) – sono come appunti sul presente lasciati da un uomo che ha sempre guardato al futuro.

Da tempo Godard, ultimo a morire della sua generazione, era diventato anch’egli un mito pop, alla stregua delle figure storiche (scrittori, intellettuali, registi, poeti, filosofi) che nei suoi film citava e affogava in mezzo a decine, centinaia di altre immagini e parole. Era un autore idolatrato e venerato, ma non per forza di cose compreso: ed è perciò bello pensare che se ne sia andato a 91 anni, dopo quasi 70 di attività, con l’impressione che non abbiamo imparato a essere suoi contemporanei.


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