It, Carrie - Lo sguardo di Satana, Misery non deve morire, Il miglio verde, Le ali della libertà, sono alcuni dei titoli, dell’infinita filmografia, che rappresentano Stephen King. Ma credo che quello che più lo identifica sia Shining. Ebbene quel titolo mitologico sta per vivere la sua terza vita. Infatti è in preparazione un adattamento teatrale. Si sa che il ruolo del protagonista Jack Torrance sarà affidato a Ben Stiller. Una scelta apparentemente singolare, perché l’immagine di Stiller è soprattutto quella di attore comico brillante. Ricordabili le sue performance in titoli come Palle al balzo, Una notte al museo, Tropic Thunder, Ti presento i miei. L’attore si è anche concesso un ruolo drammatico in Brad’s Status, poi si è concentrato sulla produzione. L’immagine distribuita per la promozione è quella di Ben che si applica quel sorriso satanico, tutto denti, di Nicholson.

In campo c’è gente competente. Il regista sarà Ivo van Hove, un belga, che aveva montato un’edizione di West Side Story a Broadway prima della pandemia. Per il copione è stato scelto Simon Sthephens, che è aggiudicato lo scorso anno il premio Award, il più importante nell’ambito teatrale, adattando il bestseller di Mark Haddon "Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte".

Le prove inizieranno in autunno a Londra. Il debutto è previsto nel West End.

Un promemoria utile. "Shining" è il terzo romanzo di King, pubblicato in Italia nel 1978 e vale come una sorta di spartiacque. Lo scrittore abbandonò il genere thriller-fantastico per approcciare l’horror. Nel 1980 il titolo venne ripreso da Stanley Kubrick che, quando lo decideva, rifaceva le regole di un genere e di fatto ne divenne il titolare, (quasi) come Stephen King. Dunque, per assumere Shining, fa testo anche la rappresentazione del regista. Merita una citazione la straordinaria Shelley Duvall, “moglie” di Nicholson.  

La storia. Torrance scrittore in crisi, ex insegnante e alcolizzato, per ritrovare l’ispirazione accetta un posto di guardiano durante la stagione invernale in un albergo sulle Montagne Rocciose. L’Overlook hotel in Colorado – anche questo luogo (fittizio) è divenuto di culto, un po’ come quel bar del pittore Hopper ripreso da molti film noir e ricostruito ad hoc da Dario Argento per Profondo rosso, o come la casa di Psyco. Torrance si trasferisce con la famiglia: Wendy, la moglie, e il figlio Danny. Ma l’Overlook non è per nulla un posto allegro: nasconde infatti una tragica storia passata, come un fantasma che incombe senza aver mai lasciato la grande dimora isolata. Dieci anni prima un uomo aveva ucciso la propria famiglia per poi suicidarsi. Era Delbert Grady, anche lui guardiano dell’hotel, che, durante un lungo soggiorno, fu colpito da un forte esaurimento nervoso che lo portò a sterminare moglie e figlie gemelle. Quelle inquietanti gemelle (che Kubrick “ruba” dalla sua amica fotografa americana Diane Arbus) vestite d’azzurro che, visto Shining una volta, faranno parte della memoria recondita dello spettatore, come del resto la figura di Danny, il figlio di Torrance, che pedala su una mini macchina blu per i lunghissimi corridoi dell’albergo tappezzati in stile optical, facendo un inquietante rumore. Lo scrittore appena arrivato purtroppo sembra subire il fascino malefico del luogo, tanto da immedesimarsi nel vecchio massacratore e cercare di ripeterne le azioni. Ma non ha fatto i conti con il figlio che ha doti paranormali.

Una sequenza per tutte: Jack Nicholson/Torrance con una sega elettrica cerca di entrare nella camera dove si è chiusa Wendy. Quel volto urlante, quegli occhi da pazzo e la povera Wendy che fugge nella neve. Il film, come spesso accadeva con Kubrick, fu un caso. Fa parte della memoria del cinema e del suo popolo.