Woody Allen è stato salvato dal cinema. Altrimenti sarebbe diventato un baro, o un ladro, o un illusionista da baraccone, scrive nella sua autobiografia “A proposito di niente”. “Ero un misantropo ignorante e patito di gangster, avevo tutte le premesse per diventare un buzzurro che se ne sta in poltrona, birra in mano e partita di football ad alto volume, paginoni di Playboy attaccati con lo scotch alla parete”.

E invece, lo salvò il cinema. In un cinema di Brooklyn, il Midwood, la mattina, il piccolo Allan Konigsberg marinava la scuola “e sullo schermo d’argento compariva un logo che faceva venire l’acquolina in bocca al cuore”. In quelle commedie, “nessuno aveva il cancro, i tubi non perdevano, e se squillava il telefono nel cuore della notte Katharine Hepburn non brancolava nel buio come mia madre rischiando di rompersi una gamba per cercare l’unico, nero apparecchio di casa e venire a sapere che un parente era appena passato a miglior vita…”.

Il cinema può salvare la vita anche a noi. E magari, proprio il cinema di ieri, quello che ci permette di viaggiare in mondi che non ci sono più. Woody Allen, dalle sue casette basse di Brooklyn, sognava di andare a Manhattan per via del cinema. Voleva vedere le tende della camera da letto che si aprono, la finestra che mostra i grattacieli di New York, gente che fa colazione a letto col giornale sul vassoio…

Si chiama XX secolo. L’invenzione più bella la rassegna curata da Cesare Petrillo – appassionato cinéphile, fondatore con Vieri Razzini di Teodora Film – che propone una grande abbuffata di grandi film del passato. Promossa dalla Cineteca nazionale/Centro sperimentale, è la prima grande iniziativa della più grande istituzione statale di cinema dopo l’arrivo della pandemia. La rassegna prende il via a Roma e, da giovedì 27 gennaio, raddoppia a Firenze, a La Compagnia di via Cavour, grazie alla collaborazione con Fondazione Sistema Toscana. In questo articolo parliamo del cartellone fiorentino.

E veniamo ai film, la cosa più importante. Si va da giovedì 27 gennaio al 20 marzo. Il biglietto per l’ingresso singolo è di 5 euro, 35 euro per il carnet valido per 10 ingressi – si può andare anche in coppia, usando un carnet per due persone. I film sono in programma nei pomeriggi di giovedì, venerdì e domenica.

Nel leggere il programma, viene già – come a Woody Allen – l’acquolina in bocca al cuore. Si parte con Don Siegel, regista senza fronzoli, cresciuto nell’ombra del mestiere di montatore, anni in cui imparò che ogni fotogramma deve essere essenziale alla narrazione. Giovedì alle 15:00 possiamo rompere il ghiaccio con Fuga da Alcatraz, e alle 21:00 goderci Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo, con un Clint Eastwood lucidato a puntino. Da non perdere, domenica 30 gennaio alle 15:00, Contratto per uccidere.

Da un regista senza fronzoli ad un attore dalla bellezza quasi impossibile. Tyrone Power – sì, il papà di Romina – piaceva alle nostre mamme – o nonne, a seconda dell’età – in un modo smodato. Era elegante, composto, quasi femmineo. Tenne in ostaggio il pubblico mondiale per oltre due decenni, facendo breccia nel cuore di milioni di donne che lo avrebbero coccolato, amato e sposato. Di lui possiamo vedere venerdì 4 febbraio alle 15:00 Il segno di Zorro, e domenica 6 il suo cult assoluto, Sangue e arena, entrambi diretti da Rouben Mamoulian.

Un regista, un attore. I film si dirigono, si recitano. Ma prima di tutto si scrivono. Protagonista della terza settimana una donna, una delle più grandi sceneggiatrici del cinema italiano ed europeo: Suso Cecchi d’Amico. Figlia dello scrittore Emilio Cecchi, madre del critico Masolino d’Amico e di Caterina d’Amico, preside della Scuola nazionale di cinema, Suso Cecchi d’Amico si ritrovò a lavorare in un mondo tutto di uomini: produttori, sceneggiatori, registi. E si conquistò la fiducia, il rispetto di tutti: da Renato Castellani a Luchino Visconti, a Mario Monicelli. Scriveva a macchina, a casa, un settimo piano senza ascensore, per poter stare con i figli. Lì scrisse Rocco e i suoi fratelli – in programma il 10 febbraio alle 15:00, o Senso, un altro dei capolavori di Visconti, in programma domenica 13 febbraio alle 15:00.

Dalla metà di febbraio i riflettori si spostano sugli occhi, gli occhi di Bette Davis. “Bette Davis’ Eyes”: dedicò loro una canzone Kim Carnes, nel 1975. Bette Davis non era la più bella: ma era la più intelligente, capace di scomparire dentro il personaggio, o di tirjnarne fuori le vibrazioni più nascoste, più tese. Poteva essere romantica o assassina, o entrambe le cose. Dovendo scegliere due film, indichiamo il canto del cigno: le inquietudini di Che fine ha fatto Baby Jane?, girato con la sua nemica leggendaria Joan Crawford, lacerante e patetica, giovedì 17 febbraio alle 20:30. E Eva contro Eva di Joseph Mankiewicz, domenica 20 febbraio alle 15:00.

Uno sguardo a volo di drone sul resto del programma: Ingmar Bergman protagonista del finale di febbraio, con quel capolavoro assoluto di Persona venerdì 25 alle 19:00; il cinema di Leo McCarey all’inizio di marzo; il gran finale con Peter Bogdanovich, a cui la rassegna è dedicata. Bogdanovich, grande innamorato proprio del cinema e della sua storia, e autore di Paper Moon, in programma giovedì 17 marzo alle 15:00, con Ryan O’Neal e la sua vera figlia Tatum O’Neal. Wim Wenders, quando vide quel film, pensò di non girare più Alice nelle città, in cui ugualmente raccontava di un adulto e di una bambina. Per fortuna, non desistette. E abbiamo, oggi, due capolavori.