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Due ricorrenze per Gary Cooper: non solo divo

Al fianco di grandi registi portatori di segnali, Cooper ha rappresentato l'eroe perfetto per il cinema della sua epoca e non solo, più di chiunque altro.
di Pino Farinotti

martedì 30 marzo 2021 - Celebrities

Cade una doppia ricorrenza per un personaggio che nel panorama del cinema e della sua leggenda occupa un posto molto in alto, Gary Cooper. Nato nel 1901, morto nel 1961. È stato ricordato su molte testate importanti, fra le quali La lettura, che gli dedicato un servizio completo: i film, i premi, tutte le partner, l’icona. Il concetto espresso “Non un grande attore, ma una star”. Parole senz’altro riduttive. Cooper è stato molto di più. Certo non sarebbe stato un Amleto – Olivier, o uno Stanley Kowalski – Brando, o un Michael Corleone-Pacino o un Toro scatenato-De Niro. Quando recitava sembrava statico, inespressivo, ma quando stampavano la pellicola, scattava il sortilegio, diventava efficace e intenso. Diventava attore vero. “Star” è scontato. Ma il ruolo, anzi i ruoli che coprì sorpassano di gran lunga quella definizione. 

Gary nasce nel Montana dove suo padre, un magistrato inglese, si è trasferito. Fa buoni studi, ha un certo talento per il disegno, intende diventare caricaturista, va in California, fa il rappresentante e, tradizionalmente, immancabilmente, viene notato da qualcuno che fa cinema. La Paramount gli fa un contratto. Per qualche anno fa lo stuntman, l'amoroso e il cowboy, siamo ancora nell'epoca del muto. Col sonoro diventa un personaggio, poi diventerà divo, poi attore vero.

Cooper è bellissimo e normale, dunque più completo di un Power (solo bellissimo) e di un Bogart (solo normale). In Marocco la sua partner è Marlene Dietrich, in Addio alle armi il suo sponsor è Hemingway, tutte cose che aiutano.

Da quel momento Cooper lascerà sempre un segno profondo, anzi, esclusivo, iconico. È buono e ingenuo, e onestissimo, è fidanzato, marito, amico, poi sarà padre, sempre dolce e giusto, invincibile, e senza macchia. "Usato" da grandi registi portatori di segnali e, più o meno, buone novelle, Cooper ha finito per rappresentare l'eroe perfetto per il cinema della sua epoca e non solo, più di chiunque altro.

Amato e seguito, identificatore massimo delle emozioni del pubblico, Cooper è il teste perfetto di Frank Capra (È arrivata la felicità, Arriva John Doe) per spinta favolistica a positiva di cui aveva bisogno l'America in quegli anni. È l'eroe western di Wyler e De Mille per incarnare l'epica proiettata al futuro radioso di una nazione, in film come L'uomo del west e Gli invincibili. È il silenzioso intellettuale protagonista di Per chi suona la campana (ancora Hemingway) quando si trattava di "sensibilizzare" su una precisa posizione da assumere nella guerra di Spagna.

Soprattutto fu il testimonial della più grande campagna promozionale di tutti i tempi, non solo riferita al cinema. Allora si diceva propaganda. Fu quando gli assegnarono il ruolo di Alvyn York, eroe della prima guerra mondiale, ne Il sergente York. Era la storia di un contadino, obiettore di coscienza, che alla fine, suo malgrado, va in guerra e uccide i nemici (ne uccide tanti) solo perché è necessario, solo perché la rapida vittoria salverà altre vite. La tesi serviva a convincere il popolo americano a entrare in guerra contro Hitler: il presidente e il congresso ne erano già convinti. Cooper, con tanto di suggello di Oscar, trasmise una passione di giustizia forte e necessaria e cinque minuti dopo Pearl Harbor, tutto il popolo americano divenne guerriero.

Da allora eccolo più maturo e completo. Sempre più spesso eroe western, diede il meglio di sé in Mezzogiorno di fuoco (secondo Oscar) e nella Legge del Signore, nella parte di un capofamiglia quacchero, durante la guerra civile, che resiste ma alla fine combatte  perché è giusto farlo, ed è ancora una volta il più forte di tutti.

Quando Cooper morì di cancro, nel 1961, il Paese, e non solo, sprofondò in un lutto personale. C'era più dolore che per la perdita di un presidente, c'era lo stesso dolore della perdita di un famigliare. E proprio Kennedy, neopresidente, disse: "Coop non c’è più, come faremo adesso?"


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