Il cinema che racconta l'arte: dai film dedicati al pittore olandese al recente Volevo nascondermi, con un fenomenale Elio Germano.
di Pino Farinotti
Se Plutarco (48 d.c. – 127 d.c.) fosse vissuto una ventina di secoli dopo, non c’è dubbio che nella sua Vite Parallele (Β?οι Παρ?λληλοι) avrebbe inserito Van Gogh e Ligabue. Le affinità e le proporzioni le avrebbe risolte a modo suo, da grande competente, come fece con Pericle - Quinto Fabio Massimo, Aristide – Catone il censore, Demostene – Cicerone, Alessandro - Giulio Cesare. E con altre 18 coppie. Chi ha visto Volevo nascondermi (guarda la video recensione) di Giorgio Diritti e possiede una normale cultura artistica non può non aver percepito le affinità fra l’olandese e l’italiano. E la prima affinità, il dolore, ti assale subito vedendo i loro autoritratti. Presentano quasi lo stesso volto. Subito dopo, la faccia distrutta di un contadino emiliano, è la stessa di un mangiatore di patate olandese. Van Gogh, è notorio, è forse il pittore più popolare dell’era moderna, certo il più filmato. Si allontana di molte lunghezze dalla popolarità e dall’azione di Ligabue, il suo mito fa parte della nostra formazione: la sofferenza, l’“auto-maledizione”, le opere mai vendute, i rapporti umani e sociali impossibili, la pazzia non solo artistica, e quel perseguire la propria fine fino a riuscirci. Eppure quel talento, quell’attitudine febbrile ed esplosiva, quella capacità di raccontare all’infinito con poche strisciate rabbiose di spatola sono qualcosa che sta sospeso fra la terra e il cielo. Una dotazione, una grazia che chissà da dove arriva. Ce ne sono pochissimi, come lui.
Ligabue presenta proporzioni diverse, come detto, ma i sentimenti, la violenza, la febbre, l’esplosione, fanno parte delle stesse categorie. E gli scenari della piana di Arles e della pianura del Po, sono davvero vicini.
Il cinema. Su Van Gogh hanno lavorato alcuni grandi maestri, da Resnais a Kurosawa, da Altman a Minnelli, al “recente” Schnabel.
Mi concedo altre due, magari improprie, vite parallele, Minnelli – Diritti. Due autori che non possono essere più diversi. Minnelli è l’espressione più avanzata e favolistica di Hollywood: niente di reale, tutta bellezza ed evasione. Diritti è semplicemente l’opposto. La differenza emerge proprio nei film sui due artisti. In Brama di vivere Minnelli ha dato a Van Gogh Kirk Douglas, uno dei grandi “belli” di Hollywood, mentre Diritti ha scelto Elio Germano, impressionante per la capacità di trasformarsi. E qui è ancora più fenomenale che ne Il giovane favoloso, dove faceva Leopardi. E Ligabue è quello che doveva essere.
Il regista ha lavorato su di lui come uno scalpello sulla pietra. Non era bello Antonio, e quel vivere nella miseria, nei boschi umidi della riva del fiume, nelle stanze malsane dove qualcuno, impietosito, lo ospitava, lo aveva reso una creatura selvaggia senza equilibri, senza cultura e senza amore. Ma era Ligabue, il talento e la fantasia.