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Martin Scorsese: il cinema del passato è un'invenzione del futuro

Conversazione con Matteo Garrone, Valeria Golino, Aliche Rohrwacher e Jonas Carpignano.
di Marianna Cappi

domenica 24 giugno 2018 - Incontri

C'era un'aria emozionata e un'atmosfera da punto di arrivo, da conclusione di un viaggio, ieri al Teatro Comunale di Bologna. Ed era giusto che fosse così: la presenza di Martin Scorsese al festival del Cinema Ritrovato è un arrivo dovuto e in un certo senso naturale. Non solo perché Scorsese ha fatto i capolavori che ha fatto, e non c'è luogo del grande cinema dove non sia a casa, ma soprattutto perché - lo ha ricordato Gianluca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna, presentandolo - è stato il primo cineasta ad affermare ad alta voce l'importanza del cinema del passato per i cineasti di oggi, e a fondare la Film Foundation, oggi World Cinema Project.
Intervistato da quattro registi italiani, protagonisti del nostro cinema del presente, Scorsese ha trasformato questo punto di arrivo in un punto di partenza, per un futuro d'impegno di tutti nella conservazione del cinema che più amiamo e abbiamo amato.

Matteo Garrone ha rotto il ghiaccio chiedendogli un parere su un argomento che lo tocca personalmente e dolorosamente, vale a dire il declino della sala. Fare il cinema "per il cinema" è sempre più un sogno romantico: la maggior parte delle persone vede e vedrà i suoi film sul televisore. Come vive Scorsese questa transizione?

"Vado al cinema dalla metà degli anni Quaranta e dunque da gran parte della mia vita, e posso dire che niente è comparabile alla visione di un film al cinema, con un pubblico, che si tratti di Lawrence D'Arabia o di Umberto D di De Sica, che ci siano cinquanta persone o cinquemila.
Martin Scorsese

Questo è un fatto. Ma come garantire quest'opportunità alle generazioni future? Come poter far fare loro questa esperienza? Occorre sostenere la possibilità di andare al cinema; le famiglie, i giovani e i vecchi, dovranno essere pronti ad uscire di casa per vedere film restaurati e pagare un biglietto per farlo, perché il restauro ha un alto costo e va supportato. A Los Angeles ho da poco invitato tutti ad andare a vedere 2001 Odissea nello spazio (guarda la video recensione) restaurato, perché i finanziatori vedessero che la gente affollava i cinema. L'esperienza deve essere trasmessa come irrinunciabile. Una volta la si faceva perché non c'era la tv, adesso coesiste con altri sistemi, ma sta a noi sostenerla. Dobbiamo lottare per questo, far vergognare chi non ci segue, e far capire alle generazioni più giovani la differenza tra i prodotti di consumo e l'arte. Adesso tutto è 'contenuto', ma vuol dire tutto e niente".

Garrone aggiunge che una soluzione potrebbe passare per l'insegnamento del cinema nelle scuole.
Scorsese: Giusto! Margaret Bodde ha organizzato con me questo programma nazionale di studi, The Story of Movie, per imparare a leggere il cinema. L'alfabetizzazione visiva è fondamentale quanto l'alfabetizzazione grammaticale: le immagini sono dappertutto, in un certo senso abbiamo vinto la lotta tipica degli anni Settanta tra parola e immagine, ma ora stiamo perdendo terreno perché queste immagini per lo più non sono significative. Bisogna insegnare a leggere l'immagine d'arte, far capire che la luce può fare la differenza, così come il punto in cui metti la macchina. E comunque qualcosa di nuovo è successo e continua a succedere: la tecnologia cambia e ci permette di fare cose che prima erano immaginabili; dopo cent'anni di cinema ci aspettano cent'anni di qualcos'altro. Se c'è la passione di raccontare può uscire qualcosa di entusiasmante, un nuovo Beethoven della realtà virtuale.
È anche una questione di percezione e di momento storico. Le statue greche, che oggi ci appaiono così eleganti, erano in realtà colorate in maniera piuttosto pacchiana, e Shakespeare, al suo tempo, veniva interpretato parlando in maniera velocissima, Amleto correva tra il pubblico nel suo monologo: se Shakespeare tornasse adesso e vedesse un attore sul palco, immobile sotto la luce, direbbe: "No, no, è tutto sbagliato!"

Valeria Golino riprende il discorso sulla percezione. Lavorando al suo secondo film racconta che, alla fine, non sapeva più se era bello o brutto, se funzionava o meno, fino a che il pubblico non ha cominciato a reagire positivamente. Come cambia la percezione del proprio lavoro dopo tanti film, tanti anni di lavoro e confronto col pubblico?


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Un momento dell'incontro con Martin Scorsese al Teatro Comunale di Bologna (foto di Samina Seyed).
Alice Rohrwacher e Matteo Garrone (foto di Samina Seyed).
Un momento dell'incontro con Martin Scorsese al Teatro Comunale di Bologna (foto di Samina Seyed).

Alice Rohrwacher commenta, scherzando, che la Cineteca di Bologna dovrà allora convertire in pellicola tutti i film girati in digitale. Poi passa a domandare del legame del maestro con l'Italia, passato per i racconti dei genitori e dei nonni e per l'immaginazione.
Scorsese: "In casa mia si parlava siciliano, i miei nonni non sapevano proprio l'inglese, i miei genitori invece sì. Erano grandi famiglie. Io avevo l'asma e il dottore diceva che non potevo fare sport, non potevo ridere troppo, dovevo prendere dei farmaci e dunque vivevo un po' di isolamento, e per questo mi portavano sempre al cinema.

Per me erano film che venivano da un altro mondo, un mondo chiamato America: erano i western a colori, che adoravo, o i film con gli animali, cani e cavalli, a cui dal vivo non potevo avvicinarmi.
Martin Scorsese

Negli anni Cinquanta c'è stato un grande cambiamento: ho capito che c'era una grande differenza tra la cultura contadina italiana da cui provenivo e quella del luogo in cui vivevo, la cultura americana. E c'era anche una grande differenza tra il cinema americano, e certo cinema inglese che vedevo soprattutto in televisione, e film come Sciuscià, Ladri di biciclette, Roma città aperta, Paisà soprattutto, che a New York cominciarono a mostrare il venerdì sera. Quelli erano film "reali", non modificati - come facevano gli americani- per rendere la realtà più accattivante. Non sono mai riuscito a mettere insieme l'amore per il cinema italiano degli anni '60 e '70, e il cinema di John Ford, Vincente Minnelli, Orson Welles, e quindi alla fine sono andato per la mia strada, perché è giusto così, fai la tua storia, anche se hai sempre in mente Pasolini o Jacques Tourneur.

Valeria Golino domanda se allora non sia lecito rubare qualcosa da loro, dai precedenti illustri.
Scorsese: "Ci si può lasciar ispirare ma poi quella suggestione devi farla diventare tua, reinterpretarla. Per tanto tempo mi sono divertito a fare dei riferimenti, nei miei film, a tante altre opere. Ma devi sempre sentire che stai creando qualcosa di tuo."

Garrone vuole sapere quale fase del lavoro del regista è la preferita di Scorsese e quale fase con maggior difficoltà.


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