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La politica degli autori: Luc e Jean-Pierre Dardenne

Due registi il cui corso poetico è inevitabilmente politico.
di Mauro Gervasini

In foto Luc e Jean-Pierre Dardenne.
Luc Dardenne (70 anni) 10 marzo 1954, Awirs (Belgio) - Pesci. Regista del film Due giorni, una notte.

martedì 11 novembre 2014 - Approfondimenti

Brothers in Arms, parafrasando i Dire Straits. Fratelli dietro la macchina da presa. Non valgono quelli che fanno lo stesso mestiere ma separati (tipo Nikita e Andrej Michalkov detto Konalovskij), solo quelli che firmano insieme. Tipo i Coen, i Taviani, i Larrieu e ovviamente i Dardenne. Classe 1951 Luc e 1954 Jean-Pierre, due Palme d'oro vinte a Cannes (è successo solo per loro, Coppola, Imamura, Kusturica, August e Haneke), la prima con Rosetta (1999) la seconda con L'enfant - Una storia d'amore (2005). Cosa importante: sono belgi. Non è solo un dato geo-anagrafico, ma politico. Lontano da Parigi, pensano a un cinema che non sia esclusivamente francocentrico, e in questo senso si muovono come produttori (ad esempio, in Italia, realizzando l'apprezzabile La prima linea di Renato De Maria). Bruxelles, Liegi e più in generale il Belgio vallone come microcosmo di conflitti sociali in divenire. In fondo quando La promesse (1996) li rivela al pubblico internazionale certi argomenti come l'immigrazione clandestina o lo sfruttamento dei migranti "in nero" mancano totalmente di una narrazione. Il film contribuisce a segnare il duplice corso poetico degli autori, un po' il loro marchio di fabbrica. Da una parte la sfera pubblica, con lo sfruttamento degli umili o la mancanza di una efficace rete sociale; dall'altra quella privata, dove più risaltano, ad esempio, tensioni generazionali e i dificili rapporti ta genitori e figli. Inoltre si segnalano i due attori feticcio dei Dardenne, il maturo Olivier Gourmet (padre) e il giovane Jérémie Rénier (figlio).
Lo schema viene ribadito nel più celebre e osannato dei loro film, Rosetta. Émilie Dequenne interpreta un'operaia diciottenne rimasta disoccupata, costretta a un'esistenza quasi da clochard e con il fiato sul collo della madre alcolizzata. La ricerca di un lavoro diventa per la ragazza un'ossessione, al pari del desiderio di avere una vita come quella degli "altri", normale. Contesto altoborghese in La promesse, proletario in Rosetta, ma non cambia la conformazione della famiglia, dominata da assenza e disgregazione. A radicalizzarsi è lo stile: macchina da presa a mano, cinema verità, estetica come funzione ideologica di una adesione alla realtà. Il passo successivo, meno celebrato dai festival (ma il protagonista Gourmet, gigantesco, vince a Cannes), rappresenta in verità il punto più alto della loro filmografia (almeno per chi scrive): Il figlio (2002). Un educatore impiegato in un centro di recupero per minori è costretto ad accogliere il giovane che causò la morte del suo bambino. Senza rivelarsi, sceglie di farlo lavorare, gli insegna. Ne invoca addirittura la tutela. Cerca nella manualità e nel mestiere una possibile redenzione per il ragazzo, e pace per sé. Un capolavoro autentico, di rara complessità, dove l'umanesimo di fondo è lontano da qualunque declamazione e passa solo attraverso i gesti e i comportamenti. Il termine bressoniano è spesso abusato, ma non in questo caso.
Nonostante L'enfant - Una storia d'amore abbia ancora molti motivi d'interesse, il cinema dei Dardenne perde poi in originalità. O meglio, le storie dei successivi Il matrimonio di Lorna (2008) o Il ragazzo con la bicicletta (2011) ripetono schemi di perlustrazione sociale ai quali siamo ormai abituati, dando l'impressione che si cerchi di rappresentare, del disagio, una sorta di campionario (dopo la morte sul lavoro, la disoccupazione, l'immigrazione clandestina, tocca in questi due film a determinismo, tossicodipendenza, criminalità), senza però che risulti più innovativo l'approccio cinematografico. Forse è il destino del cosiddetto "impegno": persino nei casi migliori (capita anche con Ken Loach, diciamolo) finisce per ipotecare il risultato.

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