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Giuliano Gemma, addio all'eroe

Non è solo un attore che se n'è andato.
di Pino Farinotti

In foto Giuliano Gemma in una scena del film Sella d'argento di Lucio Fulci.
Giuliano Gemma 2 settembre 1938, Roma (Italia) - 1 Ottobre 2013, Roma (Italia).

giovedì 3 ottobre 2013 - Focus

Un attore se ne va e ne veniamo toccati. Ci sono attori e attori. Ci sono quelli bravi, che possiedono tutti i registri della recitazione, ne abbiamo parlato e scritto, li abbiamo rispettati. Quando ne scriviamo per l'ultima volta lo facciamo con rispetto, appunto: ci mancherà la loro professionalità, ci mancheranno i virtuosismi, la grande tecnica che sapevano mettere in campo. Ma con Gemma è mancato un eroe. Nel mio lavoro di scrittore di cinema, credo di non essere mai riuscito a nascondere la mia prima passione, la mia attitudine "genetica", che è l'avventura. Ribadisco, il cinema di qualità, quello non discrezionale, quello assoluto, lo conosco e lo apprezzo, e lo insegno, ma l'avventura è il mio primo incanto. E anche la mia debolezza. Poche volte ho provato una commozione vera, semplice e profonda alla notizia della scomparsa di un attore, come con Gemma. Forse quando se ne andò Newman, che era un modello completo e complesso, portatore di valori e indicazioni profonde e importanti, e longevo. Ma Gemma ha fatto Ringo, uomo del west, ha fatto Corbari eroe partigiano della "bassa", l'Emilia, che era poi la terra di Gemma. E ha fatto Robin Hood. Oltre a tutto il resto, che sappiamo e ci viene raccontato i questi giorni.
Ho conosciuto Gemma a Venezia, nel 2008, quando compì settant'anni. Era nel mezzo di un gruppo di persone e svettava, con la sua testa bianca, sopra tutti, per prestanza e appeal. Cenammo insieme, c'era anche sua moglie Baba Richerme, supercompetente, storica della carriera del marito. Parlammo di carriera, appunto, e toccai due tasti che gli fecero brillare gli occhi. Uno era Corbari, appunto, la storia di un partigiano emiliano che dopo l'8 settembre, a modo suo, cerca di diventare un Robin Hood protettore dei deboli. Strettamente connesso al mitologico eroe inglese era l'altra citazione. Il film era L'arciere di fuoco, ancora Robin Hood. Gli dissi "scommetto che il quel titolo c'entra Burt Lancaster". Mi disse che sì, Lancaster era il suo attore preferito, con un passato circense, un po' simile al suo. Uno che non aveva bisogno di stuntman, come aveva dimostrato in quel film La leggenda dell'arciere di fuoco. Appunto. Gemma fa parte di quella che posso chiamare la generazione dell'avventura, di gente come Franco Nero, Terence Hill. Erano gli eroi della prima ingenua opzione del cinema, e del suo primo incanto. Il pubblico li adorava, la critica... molto meno. Il nostro cinema contemporaneo è pieno di grandi attori, quelli che descrivo nelle prime righe, ma Giuliano Gemma era un amico vicino e affascinante, di quelli in cui ti identificavi, perché facevano quello che tu non sai fare. L'eroe appunto. Non è solo un attore che se n'è andato.

Ripropongo il pezzo del 2008.
"Gregory Peck, Randolph Scott, Robert Mitchum, George Montgomery. Cosa c'entrano con Giuliano Gemma? C'entrano, solo che il rapporto è capovolto. I divi detti sopra sono stati gli ispiratori, nei vari decenni, di Tex Willer, Gemma gli ha dato corpo e volto al cinema (Tex e il signore degli abissi). Ho voluto cominciare col massimo ed eterno eroe dei fumetti, con qualcosa che fa parte di una mitologia consolidata, per introdurre un attore, un personaggio che ha frequentato, per lo più, un versante bello e ingenuo, pulito e avventuroso, del cinema.
Gemma è quasi sempre stato considerato un esemplare estetico da metter lì, un protagonista da favola cinematografica, ma niente di serio. Giovanissimo, ha impostato il suo personaggio su due attitudini che certamente possedeva: l'appeal e la fisicità. Stuntman, ottimo atleta, fisico armonioso, volto magnifico. Ma soprattutto, dopo le prime, brevi apparizioni, eravamo alla fine degli anni cinquanta, ha messo a fuoco il modello che più gli apparteneva, e lo seduceva: l'eroe. Sono tali tutti i personaggi dei suoi inizi. Duccio Tessari lo vuole protagonista, per la prima volta, in Arrivano i Titani (1962), un "peplum" magnificamente anarchico. Tessari sarà per Gemma il primo riferimento, ciò che Fellini è stato per Mastroianni e Monicelli per Gassman. L'eroe è Krios, il più giovane dei Titani, che ha l'incarico di punire Cadmo, il tiranno che si crede divino. Poco dopo Gemma è Erik il vichingo, il navigatore che... scoprì l'America mezzo millennio prima di Colombo. Altro che eroe, dunque. Gemma guarda da sempre a un esempio "artistico" strepitoso, Burt Lancaster. Lo ha visto, ragazzino, in un film irresistibile, La leggenda dell'arciere di fuoco, dove Lancaster, volteggiando (lui, non lo stuntman) fra alberi e mura di castelli, fa Dardo, una sorta di Robin Hood che protegge il popolo lombardo dal tiranno Barbarossa. Nel 1971, Gemma diventerà proprio Robin Hood nell'Arciere di fuoco, imponendo il titolo al regista Ferroni, che non ne era entusiasta. Robin Hood, dunque l'eroe degli eroi. Appunto. Ma c'è di più: sul set del Gattopardo, Gemma, nei panni di un generale garibaldino (ma guarda, un altro eroe) aveva incontrato proprio Burt Lancaster, l'attore-atleta che sapeva rappresentare alla perfezione anche un principe siciliano dell'epoca dei Mille. Quando Sergio Leone irrompe coi suoi western, ecco che Duccio Tessari si inserisce in quello spazio, con canoni diversi da quelli del maestro, ma di qualità. Il suo testimone non può essere che Giuliano, nel ruolo di Ringo. E Ringo diventa un sortilegio del cinema, un richiamo indispensabile a definire lo spaghetti western. Il ritorno di Ringo, con Gemma che fa un reduce della guerra civile, è un grande film anche fuori dal contesto del genere. Ringo, eroe del west. Anche se il richiamo arriva da lontano, dal western vero, da John Wayne che faceva appunto Ringo, in Ombre Rosse di John Ford. Eravamo nel 1939. Dunque un'altra parentela nobile per Gemma: dopo Lancaster, Wayne.
Gemma si toglie un'altra soddisfazione delle sue. Quando era tempo ha fatto il militare con un ragazzo, coetaneo, che vagamente gli assomigliava ed era, è innegabile, un atleta migliore di lui. Era Nino Benvenuti, che sarebbe diventato....sappiamo. Giuliano riesce a convincere Nino a fare l'attore. Il pugile si presta nel modo giusto: l'ironia, il prendersi in giro. Il direttore è ancora una volta Tessari che ha subito un problema tecnico, di ripresa. Il fatto è che Nino sa come si tirano i pugni sul ring, ma non sul set. Il suo braccio è talmente veloce che la macchina non riesce a riprenderlo. E allora è Giuliano che media. Sì, insegna al campione del mondo a boxare. Insomma ecco un altro capitolo della sua vocazione: come toccare le leggende."

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