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La politica degli autori: John Hillcoat

Un regista dallo sguardo sofisticato ma mai univoco.
di Mauro Gervasini

In foto il regista John Hillcoat.
John Hillcoat - Leone. Regista del film Lawless.

mercoledì 28 novembre 2012 - Approfondimenti

Time Is Running Out. Proprio la canzone dei Muse, una delle hit di maggior successo degli anni Zero. Il videoclip, quello con la band sulla tavola rotonda e la coreografia marziale intorno, è di John Hillcoat. Classe 1961, australiano d'origine ma canadese d'adozione, è uno di quei cineasti (alla David Fincher) che proprio nel campo musicale si è fatto le ossa. Anzi, lo sguardo, piuttosto sofisticato ma mai univoco, capace quindi di adattarsi con gusto moderno a esigenze narrative diverse. Dal rock una forte ispirazione, il dono della sintesi e soprattutto la collaborazione con un altro grande australiano, Nick Cave, non solo impegnato nella composizione di colonne sonore ma coautore dei copioni. Insieme, John Hillcoat e Nick Cave scrivono La proposta (2005), un western anomalo perché girato nell'Outback australiano e non nelle praterie del sud ovest americano. Intrigante la vicenda con al centro un ufficiale di polizia interpretato da Ray Winstone (attore superbo) che fa al fuorilegge Guy Pearce una proposta feroce: sarà libero da qualunque pendenza giudiziaria se riuscirà ad ammazzare suo fratello, assassino psicopatico che pare uscito da un sogno lisergico alla Jodorowsky. Da qui il titolo originale (The Proposal). La diversa prospettiva sul concetto di selvaggio, e il cambio tutto sommato discreto di iconografia (deserti, montagne rocciose, prigioni e revolver si assomigliano anche se ci sono aborigeni invece di apache), arricchiscono un film volutamente scarno ed essenziale. La proposta, in Italia pubblicato solo in home video, vince molti premi internazionali e affranca Hillcoat dalla sua dimensione di "regista di videoclip". Il passo successivo è un best seller, vale a dire The Road dal libro postatomico di Cormac McCarthy. In un indefinito domani che potrebbe anche essere un allarmante oggi si aggirano un padre (Viggo Mortensen) e il suo bambino sopravvissuti nella devastata terra di nessuno che è diventato il mondo. Il film è controverso: da una parte il nobile tentativo di Hillcoat e dello sceneggiatore Joe Penhall di restare fedeli al testo di McCarthy già "cinematografico" di suo per sostanza visiva, nonostante l'inserimento di un flashback con la madre Charlize Theron estraneo al libro; dall'altra però un'algidità di fondo che nuoce al respiro del racconto. Formalmente ineccepibile ma anaffettivo, come i personaggi.

Questa sorta di distanza si ritrova anche nel nuovo film, Lawless, presentato in concorso all'ultimo Festival di Cannes e nelle sale italiane dal 29 novembre. Ancora scritto insieme a Nick Cave, Lawless racconta dei fratelli Bondurant che negli anni del proibizionismo distillano bourbon clandestino e sono per questo perseguitati da uno sbirro corrotto. L'epica violenta dei cosiddetti moonshiner, appunto i distillatori di frodo, viene rivisitata con un tocco di maniera, la stessa che si percepiva guardando The Road. Inoltre non giova un commento fuori campo didascalico e poco efficace ai fini del coinvolgimento. Lo stile di Hillcoat, molto attento alle scene madri e che non arretra di fronte alla violenza, è nitido, marcato ma stranamente poco empatico e i primi a subirne le conseguenze sono gli attori. Pur bravissimi, Tom Hardy, Shia LaBeouf e Jason Clarke, i fratelli Bondurant, sono come svuotati di spessore, neutri. Se è una scelta (e può benissimo esserlo) è senz'altro interessante ma anche molto rischiosa.

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