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Appaloosa, il western ci riprova

Col nuovo western Appaloosa è in atto l'ennesimo rilancio del genere.
di Pino Farinotti

Un genere morto e risorto più volte
Viggo Mortensen (65 anni) 20 ottobre 1958, New York City (New York - USA) - Bilancia. Interpreta Everett Hitch nel film di Ed Harris Appaloosa.

martedì 13 gennaio 2009 - Focus

Un genere morto e risorto più volte
Col nuovo western Appaloosa è in atto l'ennesimo rilancio del genere. Il film è diretto da Ed Harris e presenta nomi importanti come Viggo Mortensen, Jeremy Irons e Renée Zellweger. È la storia di due uomini di legge che cercano di portare la legalità in una cittadina di minatori dominata dal cattivo. Il tema è squisitamente western e tutti ci si sono messi con impegno, ma riproporre, rigenerare, reinventare, davvero non sarà semplice. Il western, dagli anni Sessanta, cioè dal suo declino, è morto e risorto più volte: va detto che ogni resurrezione era sempre meno vitale. È stato trattato e maltrattato, aggiornato, rivisitato, adattato alle epoche. Il western è qualcosa di molto serio e anche semplice. Si sarebbe volentieri fermato agli anni Cinquanta, quando i codici erano univoci e ingenui, del tutto lontani dalla realtà di quella landa lontana. Il west non è mai stato il western. Quando i due concetti sono venuti a contatto, il genere è stato ferito a morte. Nei film gli eroi erano eroi, le donne belle, l'onore era l'onore, non si sparava alle spalle, il bianco era civile, l'indiano era un selvaggio, i bottoni brillavano sulle divise blu, la colt era cromata, la tesa dello Statson stirata, la criniera del cavallo lavata con lo shampoo, l'iride sempre azzurra. Tutto questo era un abnorme, magnifico imbroglio. Gli autori western avevano un alibi di ferro, e se lo giocavano: la Frontiera. Parola magica detta (da Kennedy) e ridetta (da Obama). Frontiera significava civiltà che avanzava da est a ovest e un ostacolo alla civilizzazione erano gli indiani, appunto. E dunque loro impedivano il progresso, loro erano i cattivi. Tutto semplice. Il west era altra cosa. Genti venute da tutti i continenti, cacciata via e fuggita per fame. Classi di scarsa educazione. Avevano lo stesso odore delle mandrie che trasferivano, non duellavano in velocità, se c'era da sparare si sparava, davanti o dietro. Le donne lavoravano la terra e mettevano le trappole. Non assomigliavano a Rhonda Fleming o a Jane Russell. Ci sono delle immagini di Calamity Jane, non era come Doris Day, era un mostro mascolino.

Gli indiani buoni
Poi arrivò la stagione dei valori capovolti, delle differenze, delle minoranze, delle rivendicazioni, dell'ecologia. Erano i primi anni Settanta, i titoli erano Piccolo grande uomo, Un uomo chiamato cavallo, Soldato blu. Con quei film gli indiani divennero i buoni, Custer divenne un assassino di donne e bambini, Gary Cooper una favoletta, John Wayne un fascista, Errol Flynn un cretino, Alan Ladd un buono grottesco. L'amicizia virile diventava omosessualità latente. Cooper e gli altri erano il cinema, il nuovo western voleva essere il west, la verità, la storia. E con la verità e la storia, è una questione di termini, moriva la leggenda. Ne I comanceros il ranger Wayne dice a un ricercato che cerca di corromperlo: "io ho quella che tu consideri una debolezza, sono onesto". Ne Gli invincibili un'elegante signora dell'Est dice a Gary Cooper: "se ti guardo negli occhi non vedo mai la mia immagine...vedo orizzonti, vedo montagne inesplorate e l'infinito. La tua vita è là, come quella dell'aquila è nel cielo". In Shane Alan Ladd dice al bambino "cerca di diventare forte e leale." Massime , indicazioni, davvero ridicole, oggi. E si capisce come il western, quello vero, non trovi più cittadinanza nel cinema del nostro tempo e nel nostro tempo.

Il western adesso: non è facile
Va detto che molti divi, nell'era recente hanno toccato il western. Il genere fa parte dell'antropologia del cinema americano, dunque dell'antropologia dei divi. Kevin Costner ha fatto Balla coi lupi, una grande opera tragica, promemoria della cultura indiana nella sua purezza. Poi ha interpretato Wyatt Earp facendo dello sceriffo eroe una sorta di capo racket che estorce tangenti. Henry Fonda e Burt Lancaster lo avevano rappresentato come eroe tout court, grande simbolo dello spirito americano: un altro segnale di contrasto fra mito e realtà. Brad Pitt è Jesse ne L'assassinio di Jesse James, (2007). Ne fa un cialtrone psicopatico che ammazza senza pietà sparando alla schiena. Non stai dalla sua parte.
Nel western dell'età dell'oro, Tyrone Power ne aveva fatto una vittima delle ingiustizie costretto, suo malgrado, a diventare fuorilegge. Stavi dalla sua parte. È molto probabile che avessero ragione i... revisionisti. Verità west e leggenda western, appunto. Non sono mancati negli ultimi anni, tentativi di ripristino del genere, pure nel contesto detto sopra. L'ottimo Ron Howard nel 2003 ha diretto The missing, con Tommy Lee Jones e Cate Blanchett. E qui l'antropologia gioca davvero, perché Ron era il ragazzo al quale John Wayne dettava il suo testamento morale ne Il pistolero, il suo film d'addio. Era il 1977. Il 2006 è un anno ricco di west. Tre titoli interessanti. Lo specialista Walter Hill ha diretto, Broken Trail, con Robert Duvall. Tre cow boy conducono una mandria e un gruppo di ragazzine destinate a un bordello in un villaggio di frontiera. Persino le spericolate di moda Penelope Cruz e Salma Hayek si sono affacciate al western con Bandidas, memori delle performance di Brigitte Bardot e Claudia Cardinale ne Le pistolere. I divi Liam Neeson e Pierce Brosnan, caratteri davvero lontani dal western, si sono uniti in Caccia spietata di David Von Ancken. Il tema è quello del fuggitivo, Brosnan, e del cacciatore, Neeson, entrambi reduci, di parti diverse, dalla guerra civile. Grandi temi western dunque. Rivisti.
Nel 2007 Russell Crowe si è prestato per un remake suggestivo, Quel treno per Yuma. Il regista Mangold ha cercato di tenersi il più possibile vicino al sentiero tracciato da Dalmer Daves nel 1954 e al protagonista di allora Glenn Ford. Nel quadro dell'evoluzione naturale, maggiore violenza, maggiore 'verità', ritmi diversi, il compito è stato eseguito correttamente. Ecco, 'corretto' è il risultato massimo che può ottenere il remake di un classico. E anche il remake del western. In tutta questa contemporaneità, lo spirito e l'estetica vogliono essere quelli del west, della realtà, della non-leggenda. Il mito non può trovare cittadinanza. Il cinema, l'ambiente tutto, le culture tutte, non si adattano. Il vecchio eroico genere proprio non trova l'ossigeno sufficiente alla sopravvivenza. Poi c'è l'utenza. Chi era ragazzo e ha visto quei western nelle sale, e chi lo ha visti nelle rassegne o in televisione, e li ha amati, non può condividere lo stesso sentimento per questi western evoluti. Anzi, il sentimento diventa opposto: questi, proprio non riesci ad amarli. E a chi è legato a Brad Pitt attivo a New York o a Las Vegas, importa poco di vederlo in sella nella strada fangosa di un villaggio con baracche di legno a un piano. Il western adesso: non è facile.

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