sabato 30 gennaio 2016 - Celebrities
Affilate le armi in Hunger Games e affinata la pratica trasformista con gli X-Men, Jennifer Lawrence è il nuovo volto del cinema hollywoodiano. Eccentrica borderline (Il lato positivo - Silver Linings Playbook) o eroina nell'arena, l'attrice americana infiamma Bradley Cooper sulla pista da ballo e Panem dentro un futuro distopico (Hunger Games), quello scritto da Suzanne Collins e diretto da Francis Lawrence. Semplice omonimia, perché il padre di Jennifer non dirige ma edifica nella provincia americana da cui, a soli quattordici anni, la teenager scappa a gambe levate e idee chiare. Raggiunta New York e rivelata dai primi ruoli televisivi (Detective Monk, The Bill Engvall Show), otto anni dopo vince un Oscar a Los Angeles. E pensare che alle audizioni di Twilight le preferiscono Kristen Stewart, che con la sua Belle rimedia più modestamente un Razzie Award.
Il capitale 'simpatia' la incorona star diletta e la piazza al secondo posto sul podio delle attrici più pagate di Hollywood, dietro all'irriducibile Sandra Bullock e davanti all'inossidabile Jennifer Aniston.
Presenza sfacciata e mercuriale, Jennifer Lawrence mutaforma, frequenta i generi e spariglia il gioco, sperimentando l'introspezione drammatica (Un gelido inverno, Joy) o il registro brillante (Il lato positivo - Silver Linings Playbook), 'sostenuta' dal 'bipolarismo' di Bradley Cooper, ballerino-porteur sull'orlo di una crisi di nervi. Svitata, isterica e innamorata la sua Tiffany è uno di quei personaggi che non si dimenticano e che dichiarano un talento rotondo, vivace, ribadito. Gatta e tigre nello stesso corpo, sbuca di colpo nell'inquadratura centrata su Bradley Cooper e ne diventa il centro, il cuore, lo scopo (Il lato positivo - Silver Linings Playbook). La bella intuizione di David O. Russell 'guarda' il lato biondo e positivo delle cose, recuperando 'in corsa' la disfunzione emotiva del protagonista.
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Guance piene, zigomi alti e occhi scavati colmati di azzurro, Jennifer diventa autentico punctum visivo della messinscena. Concreta e sfumata, erotica e ginnica, figlia del Kentucky affezionata a quel suo pronunciato accento del sud, l'attrice morde il freno e gli hamburger, biasimata dal regime (alimentare) hollywoodiano. Provocante non meno che provocatoria, il suo fascino è imperturbabile coi partner ma precipita in asprezza davanti alla stampa con cui ama 'fare la commedia' e in cui è professionista smaliziata. L'obiettivo è chiaro: dissimulare e poi rilanciare. Scruta i giornalisti, analizza i loro comportamenti, ascolta le loro domande e poi reagisce, rimbalzando le questioni stupide, seccandosi davanti a un chewing-gum masticato o a un paio di occhiali da sole dimenticati sul naso.
Americana media, le origini modeste e le esuberanti performance in press-conference non fanno che incrementare il capitale 'simpatia' che la incorona star diletta e la piazza al secondo posto sul podio delle attrici più pagate di Hollywood, dietro all'irriducibile Sandra Bullock e davanti all'inossidabile Jennifer Aniston.
Designata 'miglior attrice emergente' a diciotto anni alla Mostra del Cinema di Venezia (The Burning Plain - Il confine della solitudine), nominata agli Oscar (Un gelido inverno - Winter's Bone) a venti, premiata con l'Oscar a ventidue, apprezzata dalla critica e 'garantita' da Jodie Foster (Mr. Beaver), Jennifer Lawrence ha argomenti (e riconoscimenti) sufficienti a far impallidire i suoi coetanei e a sollecitare i media. Non soltanto per le prestazioni artistiche. Nel curriculum (non) si contano le défaillance da cui esce sempre disinvolta, inciampando sull'ex di Gwyneth Paltrow, Chris Martin leader dei Coldplay, o sulle scale del Dolby Theatre mentre ritira la statuetta alla 'migliore interpretazione femminile' annunciata da Jean Dujardin. Ma è solo nelle pieghe di un abito immacolato che s'impunta l'esuberante vitalismo di un'attrice che altrimenti ha passo sicuro sulla scena e conquista quello che vuole nella vita. Perché Jennifer Lawrence ha la capacità sorprendente di esistere davanti alla macchina da presa, che condivide senza (troppe) riverenze con Mel Gibson o Robert De Niro.
Bellezza calda e imperfetta, Jennifer Lawrence è regina dei e nei blockbuster (Hunger Games, X-Men) ma 'resiste' nelle produzioni a basso budget che nel 2013 la ripagano con un Golden Globe e un Oscar (Il lato positivo - Silver Linings Playbook).
Affamata di pizza e ambizione, l'attrice afferma la sua singolarità nel mondo calibrato di Hollywood, che non la coglie mai impreparata. Non a caso è l'eroina implacabile di un gioco al massacro, che biasima la società dello spettacolo e riconquista la propria immagine (Hunger Games). Oggetto scopico passivo, la sua Katniss (ri)diventa soggetto di visione a colpi di arco. Come il suo personaggio dietro il sorriso paffuto cova una determinazione a prova di bomba e di meccanismo ludico.
Attrice tra le più dotate della sua generazione, Jennifer Lawrence con Joy abbandona la scioltezza libertina di Tiffany, che vuole solo vivere la sua vita, e la sua vita comprende molti uomini, e abbraccia di nuovo il ruolo 'combattente' e la sfida fisica imposta dalla 'causa'. Dono di David O. Russell alla sua musa, Joy è il coronamento della loro collaborazione dopo Il lato positivo - Silver Linings Playbook e American Hustle - L'apparenza inganna. Biopic feel good, ispirato alla vita e al successo imprenditoriale di Joy Mangano, il film è abitato in ogni piano da Jennifer Lawrence, ieri presenza obliqua, vedova ninfomane, moglie caricaturale, figura di espiazione romantica. Variazione ripetitiva, artificiosa e appariscente degli ultimi successi dell'autore, Joy pesa sulle spalle dell'attrice che ancora una volta, dentro il cinema di David O. Russell, incarna il passaggio da uno stato all'altro di sé, marcando la linea sottile che separa l'afflizione dalla gioia. Gioia nonostante tutto e nonostante tutti. Perché nessuno come Jennifer conosce la resilienza fuori norma delle donne e dei working class heroes.