Di cosa parliamo quando parliamo d'amore. In un teatro di Broadway Riggan Thompson è regista e protagonista di un adattamento del celebre testo di Raymond Carver.
Un attore di cinema prigioniero di un personaggio, specie se in costume, rischia di rimanere ancorato a vita al mondo dei blockbusters: non solo nella sua testa e in quella dei fan facili alla nostalgia, ma anche all'occhio severo della critica. E poco importa se quell'attore è anche (e davvero) capace pur non avendo una formazione teatrale, e se dopo i panni del supereroe ha ricoperto ruoli sottovalutati. Ma Keaton, a fine anni '80, ha vestito i panni del miglior Batman, l'unico davvero "interpretato": un po' come nel bipolarismo del compianto Reeve/Superman, il suo Bruce Wayne era uno squisito riccone svampito quanto il suo eroe mascherato impeccabile. Ma se questo non basta a farne un grande attore - concediamolo alla critica boriosa - è sufficiente gettare uno sguardo alle pellicole successive. Altro che attoruccio da sit - com , con cui Micheal Douglas (il suo vero nome all'anagrafe) ha esordito. Dallo sconosciuto My life a Soluzione estrema, Keaton ha invece dimostrato talento e versatilità, vestendo i panni del killer e del malato di cancro con l'efficacia di un trasformista, in grado di sostituire i canoni classici dell'espressività drammatica con una grande energia interpretativa. Senza mai dimenticare la sua verve comica al limite della frenesia, che lo porta a fare ben 4 ruoli diversi nel film di Harold Ramis.
Ma torniamo a Riggan. Il suo conflitto è identico a quello di Keaton, che, pertanto, non può non essere in parte. E lo è anche quando dimostra, nella prima parte di Birdman, di non avere in effetti la formazione di un gigante del teatro, soverchiato sul palco dalla primadonna Norton (ottima interpretazione da bravo e arrogante), e da una critica scettica. L'evoluzione del personaggio/attore è però il vero tratto geniale del film, che riesce ad essere tecnicamente esasperato con i suoi movimenti di camera ma sorprendentemente introspettivo. Il montaggio - quello che non c'è - scelto da Inarritu è un sunto di sit - com, screwball comedy e teatro vero e proprio, portato sul grande schermo grazie alla regia che offre un realismo visivo e sonoro che nemmeno il bellissimo Noises Off di Peter Bogdanovich aveva raggiunto.
Birdman è insomma un duello cinematografico, dell'attore contro se stesso, dell'intenzione contro la critica e, molto banalmente, tra realtà e rappresentazione. Si sprechino le metafore letterarie: il Don Chisciotte mostra come recitare la finzione sia intrinsecamente insensato. Lo è, almeno, per l'attore: ed ecco perché Riggan recupera la sua autenticità nel roboante finale, o meglio quella finzione originaria che mai lo ha abbandonato. In questo modo il suo testo, adattato da Carver, può considerarsi davvero vissuto e interpretato. Non a caso la severa critica, che a metà film promette di stroncarlo, definisce poi lo spettacolo di Thompson come "iper realismo".
Un capolavoro confezionato con originalità, i cui contenuti sono un effetto domino talmente riuscito da non necessitare elogi, meritati invece da regia e sceneggiatura dello stesso virtuoso Inarritu e dalla fotografia del solito Lubezki, già premio Oscar per Gravity.
Peccato per Keaton: sarebbe stato un premio alla carriera.
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