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Ultimo aggiornamento lunedì 19 gennaio 2015
Un documentario sull'autore di alcune tra le foto più celebri della diva per eccellenza. In Italia al Box Office Bert Stern - L'uomo che fotografò Marilyn ha incassato nelle prime 12 settimane di programmazione 3,4 mila euro e 1,1 mila euro nel primo weekend.
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Il newyorkese Bert Stern (1929- 2013) è stato uno dei fondatori dell'iconografia dell'America postbellica. Insieme ai quasi coetanei Richard Avedon e Irving Penn ha lasciato immagini potenti, di seducente persistenza, sintesi ed eleganza. A parte gli innumerevoli ritratti di attori e modelle - dalla coppia Taylor/Burton a Twiggy (sulla quale girò anche 3 film) - è da ricordare per gli annali del cinema almeno il suo scatto di Sue Lyon con occhiali rossi a cuore che diventò la locandina di Lolita (1962) di Kubrick, che Stern, che lì iniziò da fattorino, conobbe a "Look". Nello stesso anno di Lolita si svolse anche il mitico photoshooting di Stern a Marilyn Monroe per "Vogue", poche settimane prima della sua morte. Episodio centrale del film (che diede luogo anche a un volume fotografico a sé, accompagnato da testi di Norman Mailer) ma al quale il titolo italiano, sensazionalista e fuorviante, si aggrappa un po' disonestamente. Quanto a marketing, molto meglio quello originale, ovvero Bert Stern: Original Madman. Perché ripercorrendo la scalata, partita da un sostanziale analfabetismo visuale e tecnico di questo self made man («non sapevo neanche usare l'esposimetro», confessa) s'intravede un mondo, quello dell'advertising, in cui ancora la creatività e il gusto e l'intuito prevalevano sul resto. Proprio nel momento in cui la partita tra desideri inappagati e offerta smisurata plasmò l'american way of life (non a caso si ricorda l'apporto di Stern alla campagna promozionale di un noto superalcolico).
La cosa più ripugnante e insieme attraente di questo documentario è l'operazione ai limiti del cinismo. Una exploitation, una sorta di rivincita della "musa" sul mentore: la regista infatti è Shannah Laumeister, l'ultima compagna in ordine di tempo di Stern, che lui ritrasse quando lei era ancora adolescente. E anche una confessione spudorata, senza briglie, in cui un anziano che si proclama riluttante in realtà svela generosamente dipendenze, tradimenti, errori, disagi psichici ed economici. Stern sembra schiavo e insieme molto consapevole di quell'obiettivo - che per una vita ha dominato e usato come sublimazione del desiderio erotico - in un rapporto non equilibrato e a tratti eccessivamente autoreferenziale con la regista. L'oggettivo parallelismo da lui provato tra macchina fotografica e relazione sessuale è sottolineato a più riprese. Fatti narrativamente rilevanti come la sua permanenza in Corea come fotografo durante la guerra vengono accantonati, mentre si indugia sulle relazioni morbose e drammatiche con le compagne precedenti, Dorothy Tristan e Allegra Kent (madre dei suoi tre figli, che lo definisce «il mio donatore di sperma») e, a parte l'advertiser Jerry Della Femina, pesa molto l'assenza di altri testimoni autorevoli.
Di valore invece le considerazioni, lucide nella loro malinconia, sul potere della bellezza e sull'essenza del gesto fotografico: un atto che ferma il tempo e perciò è fonte di desiderio e insieme frustrazione. E sul set come luogo di scontro di altri desideri, indicibili e invisibili, ma comunque colti dall'obiettivo. Sfilano, ovviamente, decine di scatti affascinanti e parecchi aneddoti, come la soggezione di Spike Lee per Jazz in un giorno d'estate (1959), che Stern girò come reportage del Festival jazz di Newport del '58.
Ma anche i ricordi di Marilyn di un ottantenne molto vissuto e l'impietoso confronto coi due tentativi (anche se se ne vede solo uno, quello con Lindsay Lohan) di rimettere quel set in scena. Pruriginoso, troppo poco evocativo di un'era e molto sbilanciato su traumi intimi, è un tentativo palesemente di parte di nobilitare al mondo l'immagine di un professionista schiacciato dal meccanismo rutilante e narcisista che ha contribuito a creare, dietro il quale affiora un uomo incrinato dalle proprie ossessioni.
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