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Thor: Ragnarok, ironia e commedia: una scelta spiazzante

Leggerezza è la parola d'ordine, e francamente non si vede chi possa dare torto ai realizzatori del film. Al cinema.
di Roy Menarini

Thor: Ragnarok

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Chris Hemsworth (40 anni) 11 agosto 1983, Melbourne (Australia) - Leone. Interpreta Thor nel film di Taika Waititi Thor: Ragnarok.
sabato 28 ottobre 2017 - Focus

Va dato atto ancora una volta a Joss Whedon di aver intuito, insieme al responsabile del Marvel Cinematic Universe (Kevin Feige), che le forme dell'ironia e della commedia erano le più flessibili e adatte per armonizzare un mondo narrativo altrimenti a rischio di affollamento. Il primo Avengers ha in buona sostanza dimostrato che una buona chimica tra i vari supereroi la si raggiunge attraverso la commedia dei caratteri, e che l'aspetto epico può convivere con questo atteggiamento scanzonato.

È questo il vero progetto narrativo della Marvel, e non è solamente l'ottimo esito dei due episodi di Guardiani della galassia, con il loro portato di slapstick e clownerie multicromatica interspaziale, ad aver funzionato.
Roy Menarini

Ciò che piace in Thor: Ragnarok - che dal titolo invece faceva presagire toni cupi e apocalittici - è proprio la scelta di spiazzare le attese e gettarsi apertamente dalle parti della commedia (a volte vien da chiedersi se - con le dovute proporzioni - gli sceneggiatori della Marvel non abbiano visto di sfuggita L'armata Brancaleone). Leggerezza è la parola d'ordine, e francamente non si vede chi possa dare torto ai realizzatori del film. Persino l'aspetto teatrale, con Thor ridotto a cosplay di se stesso, che compariva nel molto faticoso capostipite diretto da Kenneth Branagh, diventa in questo nuovo capitolo un motivo di divertimento, come mostra la myse-en-abyme su palco con il cameo di Matt Damon.


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In foto una scena del film.
In foto una scena del film.
In foto una scena del film.

A risultare scombinato e divertente, in questo film dai personaggi riusciti anche se talvolta fin troppo autoironici, è tutto l'universo esplorato, i pianeti con dittatori cialtroni e i buchi colabrodo tra un cielo e l'altro. La scelta di restare pochi minuti sulla Terra - giusto il tempo di un altro siparietto comico con Dr Strange - è vincente, poiché permette allo spettatore di essere sballottato in giro per un tour caleidoscopico dove si celebrano un meticciato simile al bar di Guerre stellari e un immaginario da discarica in stile Wall-E.

Ma quel che conta di più è come al solito comprendere che cosa si muove dietro le maglie del blockbuster, forma di intrattenimento tra le più sottovalutate dalla critica (forse perché di intrattenimento si tratta, appunto).
Roy Menarini

Niente ci toglie dalla testa che Marvel (e DC) continuino a modo loro a raccontare anche del nostro mondo, persino quando si racconta di valchirie, mostri di fuoco e superpoteri metafisici. Enormi masse che migrano da un pianeta all'altro, straccioni che vivono alle periferie cibandosi di scarti (umani), rivolte che nascono per motivi poco chiari, complotti di potere che si consumano in famiglia, pianeti (leggi: nazioni) che si scontrano gli uni con gli altri minacciando distruzione: niente che la storia non ci abbia abituato a conoscere, ma tornate drammaticamente di moda. E del resto che altro sono gli Avengers se non il sogno secolare di una ONU che funzioni veramente e con efficacia?

Suggestioni, null'altro che suggestioni, innestate in un kolossal determinato a far sorridere più che a destare interrogativi. È La natura del blockbuster. Le interpretazioni seguono, a buona distanza.


RECENSIONE

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