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Il 3D al cinema, le (quattro) vite di una persistente eccentricità

Da oltre 120 anni il 3D prova a cambiare il nostro rapporto con lo spazio del film invadendo la distanza 'sacra' che ci separa dallo schermo.
di Roy Menarini

Il delitto perfetto di Alfred Hitchcock è uno degli oltre 20 film in onda dall'8 ottobre su SKY 3D Vintage per raccontare la storia del cinema in 3D. Tra gli altri film in programma: La piccola bottega degli orrori, Baciami Kate!, La maschera di cera, Amytiville, Il mostro della laguna nera e Top Gun.
sabato 1 ottobre 2016 - Focus

Senza capire che la storia del cinema corrisponde in larga parte alle trasformazioni tecnologiche che lo hanno investito, si rischia di valutarne erroneamente la natura. Il 3D - ovvero il sogno di sfondare la bidimensionalità dell'immagine in sala (e ora anche a casa propria) - è forse la più persistente delle eccentricità che il cinematografo ha affrontato.

Nel corso dei suoi 120 anni di vita, infatti, questo mezzo espressivo ha visto modificarsi più volte lo statuto culturale: da divertissement per il pubblico meno istruito e privo di artisticità, a vero e proprio "occhio del Novecento" in grado di sperimentare linguaggi, imporre mode e stili di vita, trovare nuove forme d'arte e accompagnarci dalla modernità alla contemporaneità.
Roy Menarini

In mezzo, gli storici notano due tendenze contrapposte: da una parte, la continua rielaborazione tecnologica (dal muto al sonoro, dal bianco e nero al colore, dai formati stretti a quelli panoramici, dalla pellicola al digitale, solo per citare i più visibili); dall'altra, la sorprendente stabilità della magia della sala, dove - dal 28 dicembre 1895 in poi, e a dispetto di tutti i profeti di sventura - continuiamo a fare sempre la stessa cosa: pagare un biglietto, accomodarci al buio e perderci dentro un film su grande schermo.


Una scena del documentario SKY Viaggio nel Cinema in 3D.
Una scena del documentario SKY Viaggio nel Cinema in 3D.
Una scena del documentario SKY Viaggio nel Cinema in 3D.

Questa tensione tra innovazione frenetica e resistenza del rito è probabilmente il dato più significativo sulla natura del cinema, ancora oggi. Il 3D, che per certi versi sembrerebbe non aver "sfondato", è in verità un compagno di lunga data del cinema, se è vero che già i fratelli Lumière ne sperimentarono la portata, che si ebbe il primo boom degli anni Cinquanta, il secondo dei Settanta/Ottanta e infine quello degli anni appena trascorsi.

Parlando di mutamenti della tecnica, notiamo del resto che - mentre un tempo le invenzioni applicate al cinema tendevano a scalzare lo status quo preesistente - ora il mezzo espressivo sembra affiancare e alternare tutte le scelte a disposizione.
Roy Menarini

Anche solo in questi anni abbiamo assistito a numerosi film girati in bianco e nero (Frantz è l'ultimo caso), a film con formati extralarge ormai superati (The Hateful Eight), a film muti capaci di vincere un Oscar per il Miglior Film (The Artist), a film girati in pellicola invece che in digitale (Interstellar), al ritorno della stop motion (le produzioni Aardman Animations) o a quello delle telecamere anni Ottanta (No. I giorni dell'arcobaleno) a durate di ogni tipo, dai 70 minuti di un documentario alle 4, 6 o 8 ore dei film di Lav Diaz. Insomma, il cinema contemporaneo, pur segnato dagli standard del lungometraggio digitale, è in verità un crogiuolo di tutto quella che la storia del cinema e la storia delle tecniche hanno messo a disposizione, un tesoro di sperimentazioni oggi divenute strumenti di una tavolozza industriale potenzialmente infinita.


Una scena del film Frantz di François Ozon.
Una scena del film Interstellar di Christopher Nolan.
Una scena del film Avatar di James Cameron.

Il 3D va dunque considerato una delle frecce a questo arco, e se oggi la sua capacità di attrarre il pubblico per la sua novità (al culmine con Avatar) sembra appannata, è semplicemente perché non esiste più quella singola scoperta in grado di rivoluzionare per sempre il nostro modo di vedere i film. Che si cominci a storicizzare la storia del 3D è dunque un bene, poiché ci permette di scalfire l'atteggiamento un po' circense di chi considera la tridimensionalità un amo gettato in bocca agli spettatori di gusto troppo facile, e di riflettere seriamente sulle conseguenze estetiche che ne sono seguite.

Con il 3D non si modifica solamente la profondità dell'immagine: si tratta pur sempre di un'illusione, tanto quanto la ricerca di profondità di campo sullo schermo bidimensionale. Cambia proprio il nostro rapporto con lo spazio del film, che sembra invadere la distanza "sacra" che di solito ci divide dallo schermo. Oggetti e persone sembrano danzare letteralmente davanti al nostro naso. Per poterlo fare, esse sembrano rimpicciolirsi (il famoso "effetto miniatura" di chi osserva una foto o un filmato 3D per la prima volta), per poi assumere sembianze via via più abituali quando stabiliamo una certa consuetudine con la modalità del rilievo.
Roy Menarini

Di un altro aspetto ci si è occupati poco: gli occhiali. Molto discussi da chi non ama questa tecnica, rappresentano un diaframma inevitabile, che ha conseguenze tutt'altro che irrilevanti per il nostro comportamento di spettatori. Essi, infatti, ci isolano dalla sala e enfatizzano ancora di più l'immersione iconografica, senza più ombre che si muovono nella nostra fila o insegne luminose delle toilette che disturbano una scena emozionante.
Il sogno di entrare integralmente nel film, e dimenticare la realtà, altro non è che il potenziamento tecnico della promessa fatta dal cinema fin dalla sua nascita.


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