"Sono 21 anni che gli X-Men popolano la mia vita. Ma X-Men: Apocalisse è diverso dagli altri". Dal 18 maggio al cinema.
di Emanuele Sacchi
"È il mio quarto o quinto film sugli X-Men. Ho firmato il contratto nel 1996, sono 21 anni che gli X-Men popolano la mia vita. Ma X-Men: Apocalisse è diverso dagli altri: un villain che crede di essere un dio, che non fa distinzione tra umani e mutanti. Il confronto tra Raven e Prof. X e due visioni opposte del mondo: la prima che guarda al sottobosco oscuro dei mutanti reietti e il secondo che ha una visione ottimistica delle cose e crede che il mondo possa essere reso un posto migliore".
Difficile riscontrare nel mutevole mondo attuale hollywoodiano un esempio di attaccamento a dei personaggi pari a quello di Bryan Singer per i mutanti resi celebri dalla Marvel.
E che ha contribuito in maniera sostanziale a rendere nuovamente la Marvel la Casa delle Idee, quella che oggi macina blockbuster supereroistici come se piovesse, sotto il logo Disney o quello Fox: "Non parlo per arroganza" - spiega Singer - "ma ho vissuto da vicino una situazione in cui la Marvel era vicina alla bancarotta. Quella stessa società che oggi ha le quotazioni alle stelle. X-Men ha fornito la spinta decisiva e senza X-Men oggi il panorama non sarebbe questo. Puoi chiamare Sam Raimi e chiederglielo, se non credi a me".
Prima di firmare quel contratto Bryan Singer era una delle ultime opzioni ipotizzabili alla guida di un film di supereroi.
Il suo nome era legato indissolubilmente a I soliti sospetti, folgorante opera seconda basata sul geniale script di Christopher McQuarrie, che consegnò alla leggenda il nome di Kaiser Soze.
Dopodiché L'allievo, del 1998, con un incredibile Ian McKellen negli ambigui panni di un gerarca nazista che ha cancellato la propria identità e oggi vive in America, sembra proiettare Singer nell'empireo degli autori hollywoodiani.
"Non vedo come un limite il fatto di occuparmi ancora di supereroi, né di essere obbligato a farlo in un certo senso. Penso che l'universo degli X-Men apra miriadi di possibilità e di generi differenti in realtà, è davvero un mondo parallelo in cui ritrovare gli incredibili pregi e difetti della natura umana, solo aumentati esponenzialmente".
X-Men rappresenta una svolta duplice per il regista: Singer si metterà sempre più al servizio del cinema mainstream, ma saprà rivoluzionarlo dall'interno. Specie con l'escalation supereroistica di X-Men 2 e con il reboot della saga - dopo il deludente terzo episodio, non diretto da lui - sotto forma di gustoso prequel.
"Quando abbiamo deciso di lavorare sui prequel l'idea era di raccontare la storia di Magneto e Xavier e delle loro diverse vicissitudini, introducendo a poco a poco come nuovi personaggi quelli che poi sarebbero diventati gli X-Men o i loro rivali. Ma soprattutto di rappresentarli in una maniera molto diversa da come il pubblico li ha conosciuti la prima volta. Lavorare sulle gelosie e i sentimenti di divisione e unione tra loro, alla base di come ognuno svilupperà poi la rispettiva personalità".
Forse l'ultimo atto di Singer in questo universo, X-Men: Apocalisse rappresenta un passo indietro in termini di ambizioni narrative rispetto a X-Men: giorni di un futuro passato e uno in avanti in favore del tonitruante potere della computer graphics e di esplosioni e devastazioni sempre più impressionanti. Una sindrome che pare accompagnare il cinema americano dall'11 settembre in avanti, in una continua escalation: "Non saprei quanto questo sia correlato: di certo queste immagini sono devastanti per l'America e hanno un impatto profondo. Per qualche ragione alla gente piace vedere immagini di cose che esplodono e vanno a pezzi, non saprei dire il perché. In Brasile ho assistito a migliaia e migliaia di persone su una spiaggia che guardavano semplicemente fuochi d'artificio, che alla fine sono cose che esplodono nel cielo. Alla gente sono sempre piaciuti i fuochi d'artificio, anche molto prima dell'11 settembre, anche prima che facessero esplodere la Morte Nera. E, wow!, pure quello fu un botto mica da ridere, dopotutto parliamo di una luna che esplode".
Il delirio di onnipotenza ha colpito un po' tutti nel cast, fino a Oscar Isaac, calatosi fin troppo nella parte di Apocalisse:
"Oscar Isaac doveva recitare questo monologo" dice Singer, "ma perché tirasse fuori il massimo gli chiesi di procedere in 'modalità Skeletor' (si riferisce a I dominatori dell'universo, di Gary Goddard)."
Lo dico con tutto il rispetto possibile per Mr Frank Langella, perché ha dato tutto per quel film, che peraltro è diretto da un mio amico. Oscar, Michael e io abbiamo pensato che quanto fatto da Langella con Skeletor fosse l'ideale. Quindi per stimolarlo in questo senso avevamo scritto un monologo con una frase del tipo "Puoi tirare frecce dalla torre di Babele ma non potrai mai colpire un dio". E Oscar rispose: "Scusa? Ho capito bene, cosa intendi con UN dio, cos'è quell'"un"?" Lì ho capito che la sua immedesimazione nei deliri di Apocalisse aveva abbondantemente fatto il suo corso..."