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Il Farinotti 2015 - Dizionario di tutti i film

Il cinema dalla A alla Z, in collaborazione con MYmovies.it.
di Pino e Rossella Farinotti


mercoledì 17 dicembre 2014 - News

Più di 35.000 titoli, oltre 2.600 pagine, 19 edizioni: i numeri di "il FARINOTTI 2015" sono imponenti! È il cinema dalla A alla Z, un panorama completo che censisce tutti i film distribuiti in Italia, costantemente aggiornato grazie alla collaborazione con MYmovies.it. Sono presi in esame tutti i generi, nessuno escluso: i classici e i capolavori, i thriller e la fantascienza, i drammi e le commedie romantiche, l'horror e il western, i road movie e i film d'animazione, i film d'autore come i "cinepanettoni". Perché il punto di osservazione per l'assegnazione delle 5 stelle di "il FARINOTTI" è situato a metà strada tra l'intransigenza del critico, attento ai valori estetici e formali, e il gusto del pubblico, capace di decretare il successo o l'insuccesso al botteghino, pur con le sue altalenanti preferenze per questo o quel fenomeno. E uno spazio d'onore ha il cinema italiano, tornato alla ribalta internazionale con il recente Oscar per il miglior film straniero a La grande bellezza di Paolo Sorrentino e il Grand Prix Speciale della Giuria di Cannes a Le meraviglie di Alice Rohrwacher. Questa edizione è aggiornata con le schede di tutti i film presentati alla 71ª Mostra del cinema di Venezia.

Momenti. Colgo, con memoria immediata, senza ragionamenti o speculazioni, alcuni momenti chiave, strettamente personali, della stagione "cinematografica". Le virgolette saranno spiegate più avanti. Leggenda. Roy Andersson, nel discorso dopo aver ricevuto il Leone d'oro di Venezia col suo Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza, non si è limitato a ringraziare i soliti, ha evocato una parte di antica, magnifica leggenda italiana, Ladri di biciclette. Ha ricordato una sequenza: quella dove i coniugi Ricci impegnano le lenzuola per riscattare la bicicletta già impegnata. Lenzuola e bicicletta, simboli della vita domestica più intima e del lavoro. Gli addetti stipano le lenzuola su uno scaffale altissimo, spaventoso, dove non c'è più posto. E prelevano la bicicletta da un magazzino a sua volta stipato. Era la condizione di un Paese di allora, un'istantanea della miseria alla De Sica. Una sequenza senza parole, un racconto perfetto. Andersson non ha detto che marito e moglie assistono sorridendo. Era il 1948, in attesa e nella speranza di tempi migliori.

Vicino. Era tanto tempo che non mi sentivo così vicino al cinema italiano. Per i segnali pervenuti di recente, coi Premi, importanti, a cominciare dal più importante, l'Oscar, che abbiamo vinto. Assistendo alla serata dei "David" mi sono sentito offeso, come addetto e appassionato. Quando tale Paolo Ruffini, che presentava, ha inanellato una gaffe dopo l'altra, grottesche, ad essere generosi. Premessa: quest'anno la qualità dei film era alta, non ricordo, nell'era recente, un'altra annata così. Meritava una confezione all'altezza. Ruffini è un comico da corsa, "Colorado", cinepanettoni, roba alla "Amici" di Maria alla "Grande fratello". Vocabolario e pensiero corti e deboli, adeguati a quelle situazioni. È quello che è. Non ne ha colpa. E non vede cosa c'è intorno. Intorno c'era gente come Rosi, Montaldo, Scola, Bellocchio, modelli di Storia, persino di nobiltà. C'era Rondi, il patriarca dei "David", impietrito come un'effige dell'hichcockiano monte Rushmore. Ruffini ha dato della "topa" alla Loren, signora ottantenne, eroina italiana del Novecento e oltre. Quando Sophia gli ha dato del bischero, il "bischero" ha risposto che essere sgridati dalla Loren lo rende felicissimo. Invece dovrebbe renderlo invisibile, sepolto. Ruffini ha detto, presentandolo, che Bellocchio, è stato finalmente accolto dagli americani. Il regista ha risposto "guardi che gli americani mi accolgono da cinquant'anni". Virzì, con stile, ha detto al "conduttore": guarda che io parlo le lingue, ma non ti capisco, fatti mettere i sottotitoli. Poi è stata la volta di Mastandrea, che, certo col sorriso, ha accusato il "comico" di "non avercela fatta", a fare il cinema, cioè roba seria. Sì, il cinema si è arrabbiato. E anch'io.

Kolossal. Le riprese televisive del Tour quest'anno sono state un autentico kolossal, che sorpassa la televisione. I francesi, nelle prime tappe - la corsa è partita dall'Inghilterra - era come se competessero con una nazione che storicamente hanno amato, poco, e odiato, molto. Francia e Inghilterra se le sono date, nei secoli, di santa ragione, anche con paradossi estremi: succedeva che un re o una regina lo fosse contemporaneamente dei due regni. E comunque, la tivù francese ha onorato quel territorio. Le riprese dall'alto raccontavano tutto, al meglio. E così i corridori attraversavano la campagna inglese, fra colline e campi di grano freschi di mietitura.
L'inquadratura cadeva, molto spesso, su un castello medievale. Non mancano da quelle parti. Valgono come segnali della potenza, e della prevalenza, per tanto tempo, dell'impero inglese su tutti i continenti. E quando appariva Cambridge, l'università fondata nel 1209, coi suoi 31 college e 89 premi Nobel, con la sua architettura nobile e immane, ecco che quel segnale si consolidava. E valeva in questo senso un passaggio sui palazzi neri, diversi e inquietanti, della City, centro economico. E il "segnale" si perfezionava con la visione di Buckingham Palace, residenza ufficiale della famiglia reale, e di Westminster, sede delle due camere del Parlamento del Regno unito. Due edifici della Storia più alta, che se non erano un happy end erano certo un finale degno. "That's Entertainment" direbbe Sinatra. Io dico che non è facile trovare un kolossal, di Storia, di cultura, di bellezza come Cambridge-Londra, segmento del Tour in Inghilterra.

Kolossal 2. La finale di Rio della Coppa del mondo del 14 luglio fra Germania e Argentina è stata ripresa da una ventina di telecamere, compresa quella sopra lo stadio, altissima, dinamica e suggestiva. Il regista e i suoi collaboratori hanno lavorato con tutti quei monitor, che riprendevano il campo, quasi ogni singolo giocatore, la panchina con l'allenatore, la tribuna con le autorità. Ecco dunque fotogrammi di una donna che piangeva, di un tifoso che esultava, di un bambino che non capiva, di una ragazza che si sistemava il trucco perché disinteressata al resto. Tutto questo era già stato inventato, dalla grande Leni Riefenstahl che riprese le olimpiadi del 1936 a Berlino. Quelle dove il Führer vide un nero dell'Alabama, Jesse Owens, togliere quattro medaglie d'oro ai "suoi" ariani. La Riefensthal fu la prima a rendere protagonista il pubblico, coi fotogrammi detti sopra. Ma ci mise due anni a montarli. Adesso è tutto in tempo reale ed è perfetto, nei tempi e nelle inquadrature. Il tutto, visto sui teleschermi di adesso, grandi quasi come schermi del cinema, è stato un altro spettacolare "film" (ecco le virgolette). Un kolossal.

Grandissimo. Un altro momento della stagione è stato il grande cinema, anzi grandissimo. C'erano giorni in cui tutte le testate riportavano l'uscita di un titolo, al quale, rigorosamente attribuivano 5 stelle di giudizio, il più alto. Erano tutti d'accordo gli addetti, me compreso. E non accade spesso. I film erano, ne dico alcuni: Vogliamo vivere!, Il gattopardo, Amanti perduti, La grande illusione, Il terzo uomo. Le firme erano: Lubitsch, Visconti, Carné, Renoir, Reed. Film ri-distribuiti quest'anno nelle sale grazie al lavoro di restauro della Cineteca di Bologna. Che bel ripasso, che bella passata di ossigeno puro. Certo, con una controindicazione, impietosa: il confronto col cinema di adesso.

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