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La politica degli autori: Pedro Almodóvar

Tra dramma e commedia, un regista che sullo stupore ha costruito una poetica.
di Mauro Gervasini

In foto il regista Pedro Almodóvar.
Pedro Almodóvar (Pedro Almodóvar Caballero) (75 anni) 25 settembre 1949, Ciudad Real (Spagna) - Bilancia. Regista del film Gli amanti passeggeri.

mercoledì 20 marzo 2013 - Approfondimenti

Come ritrovare un vecchio amico che mai più avresti pensato di incontrare ancora. Succede così quando un artista amato in passato, dopo anni di delusioni, rifila un'opera all'altezza della propria storia e per questo sorprende. Il primo sentimento che suscita Gli amanti passeggeri di Pedro Almodóvar, dal 21 marzo nelle sale italiane, è proprio la sorpresa. Niente male per un regista che sullo stupore ha costruito una poetica, e persino uno stile visivo (ammesso che i due concetti non coincidano). Non originalissimo lo spunto narrativo (aereo con a bordo un campionario di varia umanità costretto a girare a vuoto sopra un aeroporto perché in avaria) e forse neanche la metafora (la compagnia di bandiera si chiama Peninsula, e viene da pensare che quel microcosmo forzatamente sospeso nel nulla sia la Spagna stessa) ma l'orchestrazione è di gran classe. Per il ritmo, i dialoghi, le situazioni. Torna folle e bravo il nostro Pedro, dopo il rischio corso con pellicole di pura epidermide ma senza anima, come il recente La pelle che abito (2011), o autoreferenziali e persino un po' statiche come La mala educacion (2004) e Gli abbracci spezzati (2009).

Oddio, con Almodóvar il rischio dell'autocompiacimento si corre sempre un po', ma se i personaggi, nella loro schematicità, sono azzeccati come quelli del nostro aereo la brillantezza dell'"almodramma pop" (rubiamo la definizione a Marzia Gandolfi) diventa una risorsa e non un limite. E poi torna sottotraccia il tema che dai tempi del folgorante, caotico esordio Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio (1980) rappresenta il valore aggiunto del cineasta, ovvero la trasformazione della (presunta) perversione in qualcosa di spontaneo, autentico, assolutamente normale. Come demolire secoli di senso di colpa attraverso una rappresentazione del sesso "costruttiva". Sulla cosiddetta Movida di Pedro si sono scritti fiumi di parole a sproposito: è stata una tendenza, una moda corrispondente al fascino pubblicitario delle notti madrilene. Oggi che le luci sono spente e la crisi attanaglia il Paese, piace constatare come il cineasta sappia usare gli stessi elementi di ieri (intersezioni di diversità feconde) in senso profondo, anche critico, senza rinunciare alla gioia (specie dello spettatore).

Secondo la vulgata almodovariana è Tutto su mia madre (1999) l'apice della sua produzione, anche per i premi (miglior regia a Cannes e Oscar come miglior film straniero). Certo nel ritratto composito di un gruppo di donne non più sull'orlo di una crisi di nervi, con altissimi momenti di mise en scène che guardano al melodramma cinematografico classico e al teatro, il film scorre perfetto e resiste alla prova impietosa del tempo. Un modello, forse, con al centro il transessuale Agrado che rivendica il coraggio (e persino i costi) del superamento dei "generi" (sessuali) guardando a una "città ideale" di sole donne. Il contraltare di Tutto su mia madre è forse Matador (1986), che invece è il nostro Almodóvar preferito, forse perché nel raccontare l'inevitabilità letale della passione tra un uomo e una donna ci infila dentro mille continui cambi di registro cinefilo fatti apposta per sedurre spettatori onnivori come noi. Il sottofondo, come in La legge del desiderio (1987) o Légami! (1990), altri classici del Nostro, è sempre tragico, ma i modi sono ludici, e Pedro quando vuole dimostra di essere un abilissimo giocattolaio.

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