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La politica degli autori: Kim Jee-woon

Con L'ultima sfida approda a Hollywood un cineasta versatile ed estremo.
di Mauro Gervasini


mercoledì 30 gennaio 2013 - Approfondimenti

Sul finire degli anni 90 del secolo scorso Hollywood chiamò a sé i maggiori talenti della cosiddetta Generazione 97 di Hong Kong (dall'anno fatidico dell'addio britannico all'ex colonia). John Woo, Ringo Lam, Kirk Wong, Jackie Chan e altri si appropriarono del cinema d'azione americano portando in dote il dinamismo loro proprio ma perdendo la freschezza e l'originalità degli esordi (salvo le solite, rare, eccezioni). Oggi capita lo stesso con un'altra cinematografia asiatica, più di "tendenza" rispetto a quella cinese. Dalla Corea (del sud, ovvio) sono approdati in America Park Chan-wook, di cui si attende il thriller Stoker scritto sotto pseudonimo (Ted Foulke) dall'attore protagonista di Prison Break, Wentworth Miller, e Kim Jee-woon, che ha diretto The Last Stand - L'ultima sfida con Arnold Schwarzenegger, nelle sale dal 31 gennaio.

Un coreano al servizio del Governator dunque, per un western contemporaneo dove ritroviamo l'attempato protagonista sceriffo di una sperduta cittadina al confine con il Messico, scelta da una banda di narcotrafficanti come luogo migliore per far fuggire verso casa il capo del cartello di Sinaloa. Nessuno dei cattivi ha però fatto i conti con il residuato bellico degli anni 80, Schwarzenegger appunto, che con una massiccia dose di ironia risolve il problema a modo suo. Di fronte a una produzione simile, basata sulla figura centrale dell'attore, sul suo ritorno e soprattutto sul suo passato, è davvero difficile trovare traccia del tocco stilizzato del regista, che pure dimostra una certa versatilità nelle scene d'azione. Certo, le lunghe sequenze di corse in auto contromano già abbondavano in I Saw the Devil (2010), il suo capolavoro, ma basta questo per rinvenire un autore? Certamente no. L'impressione anzi è che Hollywood individui altrove il talento, ne sfrutti l'espressione tecnica ("gira bene" Kim Jee-woon, non c'è dubbio) normalizzandone però la creatività.

Perché Kim è cineasta estremo. Lo dimostra il suo primo film di successo, Two Sisters (2003), horror di fantasmi campione di incassi in patria (rifatto dagli americani qualche anno dopo con il titolo The Uninvited) ma soprattutto Bittersweet Life (2005). Un neonoir iperrealista, magari un po' furbetto nel voler essere sopra le righe ma certamente interessante per come rilegge stereotipi diversi. Dalle dinamiche gangsteristiche del film Yakuza giapponese a certi toni rarefatti, dolenti, tipici di Melville (ma forse il riferimento più vicino al regista è Johnnie To). Motore dell'azione la vendetta, quella di un giovane bandito torturato dai complici per avere coperto il tradimento della ragazza del capo, di cui è innamorato. Kim Jee-woon, anche sceneggiatore, non si ferma davanti a nulla, quanto a violenza e sua rappresentazione, ma l'incombere tragico del fato noir rende tutto sommato coerente la saturazione visiva, con un epilogo a suo modo romantico e originale. È però I Saw the Devil il miglior film del Nostro. Insolita caccia all'uomo: da una parte un agente dell'Intelligence addestrato come 007, dall'altra un serial killer (interpretato da Choi Min-shik, il protagonista di Old Boy) ferocissimo, reo di avere squartato la fidanzata incinta del primo. Arti marziali e thriller, toni horror e poliziesco corale per un revenge movie questa volta sì molto originale, dove la figura tragica è quella dell'agente segreto costretto a fare i conti con la propria inestinguibile sete di vendetta, incurante degli effetti mortali per gli altri. Da vedere ad alto volume.

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