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Quelli 'on the road'

Il road movie non passa mai.
di Rossella Farinotti

Il foto una scena del film On the road di Walter Salles.
Garrett Hedlund (39 anni) 3 settembre 1984, Roseau (Minnesota - USA) - Vergine. Interpreta Dean Moriarty nel film di Walter Salles On the Road.

martedì 16 ottobre 2012 - News

Il road movie non passa mai. La scorsa settimana è uscito nelle sale l'atteso On the Road, tratto dal romanzo (al liceo ti dicevano che era di formazione, insieme ai "classici" italiani come Pavese, Calvino e Vittorini ...) di Kerouac. Lo scrittore prediligeva il viaggio, la scoperta del nuovo attraverso oggetti e pratiche dettate dal puro istinto. E attraverso rapporti sempre, all'estremo, istintivi. Era un modo per scoprire il mondo e l'umanità. Umanità varia che infatti si ritrova tangibile nel film, partendo dal protagonista stesso. Nell'ultimo mese mi è capitato di imbattermi più volte nel "road movie" che, ripeto, qualche eco, qualche segnale e qualche eredità le rimanda sempre. Mi rifaccio, per esempio, al "nostro" Paolo Sorrentino in This must be the place: opera che esula per narrazione dalle sue corde, non certo per estetica, sempre rigorosa e appropriata. Anche il regista napoletano ha scelto la strada e l'America. Ma dal film con Sean Penn è già passato del tempo. Recentemente, sono stata chiamata a far parte della giuria di un Festival del cinema giunto alla quinta edizione: "I've seen films". International film festival ideato da Rutger Hauer e in questi giorni presentato in vari sedi di Milano. I film da visionare, già precedentemente scremati, erano circa 200 tra cortometraggi e lungometraggi, e, tra film buoni e medio buoni, film di animazione e film impegnati, il road ogni tanto tornava. The strange ones di Lauren Wolkstein e Christopher Radcliff è una breve storia "on the road" narrata in maniera pulita e misteriosa che racconta il viaggio, anzi, la fuga, di un giovane padre con suo figlio, in cerca di qualcosa che non sapremo, o appunto, in fuga da qualcosa. Dunque gli incontri, la strada, il paesaggio, i boschi, le brevi conversazioni tra due persone che cercano di ri-costruire un rapporto perduto, senza conoscerne il motivo. Ecco il road movie americano, velato di mistero. Meno misterioso il mini racconto di strada di Un giorno speciale firmato da Francesca Comencini, presento al Festival di Venezia. Un giorno speciale racconta una giornata particolare, da mattina a sera, di una ragazza di borgata romana, Gina, che deve recarsi a un incontro con un onorevole per una raccomandazione come attrice/soubrette nel mondo televisivo. L'appuntamento viene rimandato di continuo e Gina è costretta, alla fine con piacere, a passare la giornata in macchina in giro per Roma con un nuovo amico, Marco, autista al suo primo giorno di lavoro. Un road movie romano in una giornata. Certo il film della Comencini non presenta la mitologia dei "padri fondatori", alla Kerouac o la globalità della vicenda del cantante interpretato da Sean Penn. È un road italiano, magari provinciale, come ha detto Michael Mann, presidente della giuria di Venezia che... non ha dato il Leone agli italiani.

Kerouac non può non richiamare il suo omologo Ginsberg, altro maledetto del "road". È una faccia della stessa medaglia. Due anni fa Epstein e Friedman, hanno diretto Urlo, il film su Ginsberg che riprende nel titolo la sua più importante composizione. Una sorta di testamento di quella generazione. Ginsberg era corrosivo col suo Paese. Amava e raccontava i diseredati, i drogati, gli emarginati, i diversi, li raccontava con arroganza e violenza. Il suo è un urlo autentico di rabbia, un'esplosione che arriva dal cuore e che non fa prigionieri "Io sono questo, se mi vuoi capire mi capisci". Ma non tutto è comprensibile. E molti non compresero e il poeta venne processato per la violenza e la pericolosità dei suoi versi. Nell'arringa finale il suo difensore disse: "L'America è un paese liberale, un riferimento del mondo, aperto a tutte le intelligenze. Non ci devono essere limiti, non ci deve essere censura. Il poeta si è valso del proprio linguaggio, che è pertinente ai contenuti che ha voluto esprimere".

Nel pezzo di lunedì, dal titolo "On The Road: e il cinema cede alla (grande) scrittura" che MYmovies ha dedicato al film di Walter Salles, veniva proposto il paragrafo finale del romanzo. A fronte di quel momento di narrativa storico e altissimo propongo proprio l'"Urlo" di Ginsberg. Momento di poesia altrettanto alto.

Ho visto le migliori menti della mia generazione
distrutte dalla pazzia, affamate, nudem isteriche
trascinarsi per strade di negri all'alba in cerca di droga rabbiosa
hipster dal capo d'angelo ardenti per l'antico contatto celeste
con la dinamo stellata nel macchinario della notte,
che in miseria e stracci e occhi infossati stavano su partiti a fumare nel buio soprannaturale di soffitte a acqua
fredda fluttuando nelle cime delle città, contemplando jazz
che mostravano il cervello al Cielo sotto la Elevated
e vedevano angeli Maomettani illuminati barcollanti su tetti di casermette
che si accucciavano in mutande in stanze non sbarbate bruciando denaro nella spazzatura e ascoltando il Terrore attraverso il muro
Ho visto le migliori menti della mia generazione che mangiavano fuoco in hotel ridipintio bevevano trementina in Paradise Alley, morte, o si purgatoriavano il torace
notte dopo notte con sogni, con droghe, con incubi a occhi aperti, alcol e cazzo e balle-sballi senza fine, che vagavan su e giù a mezzanotte per depositi ferroviari cheidendosi dove andare, e andavano, senza lasciare cuori spezzati,
Ho visto le migliori menti della mia generazione
che trombavano in limousine col cinese di Oklahoma su impulso invernale mezzonotturno illampionata pioggia di provincia,
che ciondolavano affamate e sole per Houston cercando jazz o sesso o zuppa,
e seguivan quel brillante spagnolo per coversar d'America e d'Eternità, tempo sprecato, e poi via per nave in Africa.

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