Dopo un progressivo avvicinamento (dal british Il segreto di Vera Drake a I segreti di Brokeback Mountain del taiwanese Ang Lee ma con radici americane) Marco Müller ha potuto guardare nelle pupille il Leone e vederlo come più lo ama: con gli occhi a mandorla. Bisogna dire che la mutazione genetica aveva già cominciato a realizzarsi tra critici e cinefili che avevano avuto a disposizione una programmazione che non dimenticava mai di ricordarci che il sole (anche quello cinematografico?) sorge molto a Est. Ogni giorno ci trovavamo con gli occhi sempre un po' più stretti a fessura e non avevamo bisogno di chiederci il perché. Ecco allora che una Giuria, molto probabilmente divisa, non ha trovato di meglio che far felice il Direttore conferendo la massima onorificenza al film che era stato così atteso da collocarlo come 'sorpresa' in quanto aspettato fino all'ultimo. La vittoria di Still Life non ha nulla, sia ben chiaro, dei caratteri della pressione da parte della direzione artistica (non è e non è mai stato nello stile di Müller) quanto piuttosto della soluzione che evita gli strappi e accontenta tutti al vertice. Un po' meno chi il Concorso lo ha seguito da spettatore e critico e propone alcune riflessioni.

Se non c’è nulla da obiettare sul Leone del Futuro assegnato alla fiaba in bilico tra passato e futuro di Khadak (a parte l’omessa citazione del fatto che si trattava di un film proposto dalle “Giornate degli Autori”) e al Premio Speciale della Giuria andato all’intenso Daratt, qualcosa da dire c’è a proposito del premio alla miglior attrice emergente attribuito a Isild Le Besco. La quale ha sicuramente attratto l’attenzione erotica del regista ma si è trovata a fare da musa a un film la cui pochezza è tale da vanificare la sua performance. Cosa che invece non è accaduta a una Helen Mirren che ha rivendicato la cura che ha di sé, affermando di non tenerci per nulla ad assomigliare nella realtà alla Queen Elizabeth. Battute a parte, la sua è una prestazione da conservare negli annali della recitazione al cinema. Non degna di memoria è invece quella del vincitore della Coppa Volpi per il miglior interprete maschile andata a un Ben Affleck che ci ha regalato un’interpretazione incolore come la tuta del Superman che andava in onda sulla tv in bianco e nero del film Hollywoodland. Ben altri avrebbero potuto essere gli attori premiati, a partire da Toby Jones, protagonista di Infamous, che ha retto benissimo il confronto con Philip Seymour Hoffman vincitore dell’Oscar nello stesso ruolo di Truman Capote.

Se poi il Leone d’Argento ad Alain Resnais suona come un ineludibile omaggio a un grande del cinema e soprattutto al miglior film in Concorso, restano però due dubbi, anzi tre. Partiamo dall’ultimo. Perché non considerare Bobby di Emilio Estevez? Perché è un work in progress (manca solo la canzone dei titoli di coda)? Se è così non andava messo in concorso. Perché ha un cast all stars che si integrano alla perfezione? È da considerarsi un difetto? Crediamo proprio di no. Gli altri due dubbi sono più pesanti. Il Leone speciale a Jean-Marie Straub e Danièle Huillet viene assegnato nel momento in cui uno dei due autori versa in non facili condizioni di salute e quindi merita rispetto. Sarebbe però stato importante che si fosse maggiormente rilevata l’attribuzione del premio alla passata carriera dei due autori piuttosto che non al decisamente ‘vecchio’ film proposto in Concorso come innovativo e al delirante comunicato che lo ha accompagnato in conferenza stampa.
C’è poi stato, e con questo chiudiamo, l’atteso ‘miracolo’ italiano. Emanuele Crialese, già rivelazione nel 2002 a Cannes con Respiro distribuito in mezzo mondo si è visto gratificare di un Leone argentato in tutta fretta come (udite udite) Rivelazione con Nuovomondo. Nel passato solo Carmelo Bene poteva dichiarare di ‘essere apparso alla Madonna’. Ora abbiamo il Crialese ‘birivelato’.