Django Unchained |
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Un film di Quentin Tarantino.
Con Jamie Foxx, Christoph Waltz, Leonardo DiCaprio, Samuel L. Jackson, Kerry Washington.
continua»
Titolo originale Django Unchained.
Western,
durata 165 min.
- USA 2013.
- Warner Bros Italia
uscita giovedì 17 gennaio 2013.
MYMONETRO
Django Unchained
valutazione media:
3,66
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Non il miglior Tarantinodi pbshelleyFeedback: 383 | altri commenti e recensioni di pbshelley |
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giovedì 24 gennaio 2013 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Gli ingredienti del cinema di Tarantino non sono cambiati nel corso degli anni: straordinaria fluidità narrativa, dialoghi sferzanti e surreali, violenza abbondante e divertita, cinefilia quasi maniacale; peculiarità che non lo hanno abbandonato nemmeno allorquando ha manifestato un interesse crescente verso tematiche serie (nazismo, schiavitù nera). Sgombriamo il campo dai pregiudizi: non guardo con l'occhio dello storico, che certamente disapproverebbe il suo modo, impreciso e anacronistico, di raccontare la storia. “Django unchained” non è un film storico sulla condizione degli schiavi neri negli USA del 1858: molte, troppe cose non sarebbero chiare, a cominciare dal ruolo di Foxx e dalla sua conscientia sui come eroe dell'antischiavismo. Ignoro anche le critiche (risibili) di Spike Lee nonché, più in generale, chi nega che sia lecito trattare in maniera faceta un soggetto serio. Partire dagli stessi presupposti del cinema di Tarantino può essere più fruttuoso, tenendo presente che, nel suo cinema, la libertà d'invenzione regna sempre sovrana sulla logica e sulla morale: “Django unchained” è soprattutto un omaggio a una certa idea di cinema, nonché ad alcuni dei generi preferiti dal regista (qui spicca lo spaghetti-western, ma anche l'azione stile-Hong Kong); eppure, chi conosce Tarantino non può negare che manchi qualcosa. Manca l'abituale corrosività dei dialoghi, che si limitano ad essere poco credibili, senza per questo farsi memorabili (eccezione la bellissima scena coi membri del KKK); vari personaggi sono tirati via in maniera frettolosa (il cattivo di DiCaprio è abbastanza stereotipato, e avrebbe meritato un'attenzione più profonda, come anche i personaggi di Jackson e Washington), mentre altri sono costruiti persino troppo artificiosamente: è il caso del dr. Schultz (Waltz), la cui totale irrealtà (commistione di aspetti aulici e brutali), unita alla bravura e simpatia dell'attore austriaco, mirano a consegnarlo direttamente all'universo mitico; manca anche la classica fluidità narrativa, priva di cali di tensione, dei tempi di “Pulp fiction”: è questo il film più lungo di Tarantino, e non si manca di avvertirlo, per esempio durante la lunga permanenza a casa DiCaprio, una sorta di prolungata “quiete prima della tempesta”, in cui succede poco, a parte l'arricchirsi delle citazioni cinefile e delle inesattezze storiche. Quiete prima della tempesta che ci consegna un finale in cui esplode la violenza, la cui esibizione (nemmeno eccessiva) si ripete in maniera quasi stanca e autoreferenziale, più stile “Kill Bill” che “Pulp fiction”; si moltiplicano all'inverosimile i colpi di scena, ma non l'inventiva di Tarantino. Rimane il divertissment post-moderno di una ossessiva, continua citazione cinefila; i fan si divertiranno a trovarne a centinaia, da Leone a Scorsese, da Corbucci a Kubrick, allo stesso Tarantino: ma è un gioco fine a se stesso, non funzionale alla narrazione (diversamente da “Inglorious basterds”), e invece quasi sostitutivo della stessa (si veda la danza del cavallo nell'ultima scena); ed è un peccato, perché spreca un cast davvero eccezionale e ben assortito, nonché l'alta qualità del lavorìo tecnico (stupendo l'impasto delle musiche: come renderne conto in due righe?). Resta la sensazione di un film che vorrebbe puntare tutto sulla forza creativa, ma se ne rivela carente; cinema che si nutre di solo cinema: divertimento comunque superiore alla media, ma Tarantino ha fatto di meglio e (confidiamo) tornerà a farlo.
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