Pupi Avati è un attore italiano, regista, produttore, scrittore, sceneggiatore, montatore, musicista, è nato il 3 novembre 1938 a Bologna (Italia). Pupi Avati ha oggi 85 anni ed è del segno zodiacale Scorpione.
Timido, incerto e velleitario per tutti gli anni della giovinezza, trascorsi nella città natale e negli ambienti piccolo borghesi in cui è inserita la sua famiglia (a 12 anni perde il padre), frequenta la facoltà di Scienze politiche a Firenze, suona il clarinetto in un complesso jazz (del quale fa parte anche Lucio Dalla), affronta temerariamente il cinema con un curioso horror immerso in un'atmosfera grottesca (Balsamus, lwomo di Satana, 1968). Dopo un secondo tentativo, fallito (Thomas... gli indemoniati, 1969), si trasferisce a Roma e sviluppa, finalmente con continuità, il suo talento di tenero, fantasioso e un poco cupo favolista che lo condurrà da La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone (1974), Bordella (1975), La casa delle finestre che ridono (1976), Le strelle nel fosso (1978) - per citare solo alcuni titoli - alla scoperta della sua vocazione autentica attraverso un gruppo di film sospesi fra nostalgia (di un passato e di un mondo «piccolo», appartato) e aspro pessimismo di matrice cattolica con venature perfino gianseniste: il patetico, felice Una gita scolastica (1983), che lo rivela al grande pubblico, il simpatico cammeo mozartiano Noi tre (1984), i desolati e precisi Impiegati (1985) e Festa di laurea (1985), il feroce Regalo di Natale (1986) che, oltre a proporre due attori di grandi qualità, praticamente da lui «inventati» (Carlo Delle Piane, Diego Abatantuono), introduce nel cinema italiano un tono dissacratorio che fa il paio, ma sul versante drammatico, con i «graffi» più crudeli della commedia nazionale. Dopo una lieve, graziosa Storia di ragazzi e di ragazze (1989), sulla scia della sua inclinazione più patetica e borghese, tenta un'avventura americana girando a Davenport (Iowa) una biografia del mitico jazzista Beiderbecke (Bix - Un'ipotesi leggendaria, 1991) e a Saint Louis un'altra delle sue storie familiari (Fratelli e sorelle, 1992). Rientrato in Italia, applica a un tenebroso e fiabesco Medioevo il suo radicale pessimismo sulla sorte umana, (Magnificat,1993), indulgendo a effetti visivi di crudezza atroce.
Fernaldo di Giammatteo, Dizionario del cinema. Cento grandi registi, Roma, Newton Compton, 1995
«Questo Paese è messo proprio male. I politici sono prevedibili, lo spettacolo è noioso, sono annoiato. Ci vorrebbe, per salvarlo, un grande progetto. Un pacificatore, un leader politico capace di rimettere assieme gli italiani. La divisione in due eserciti contrapposti non si adatta a noi. Sono sicuro che, sulle venti domande fondamentali che interessano i cittadini, quasi tutti risponderemmo allo stesso modo. Stiamo perdendo tempo nelle stupidate, crisi, controcrisi... Mi dispiace che Berlusconi abbia perso l’energia e la grinta dei primi anni, quando era un personaggio fantastico, in grado di mobilitare energie.»
Via del Babuino, tardo pomeriggio, i negozi stanno per chiudere e la strada torna a essere uno scenario unico. Secondo piano di un palazzo borghese del Settecento. In queste stanze abita, da trentacinque anni, Pupi Avati. Entri, e sembra di essere in uno dei suoi film. Mobili e tessuti appartengono al passato, scopro che siamo nell’esatta riproduzione della antica casa di famiglia bolognese: quadri dell’Ottocento alle pareti, divani piccoli e comodi con cuscini ai lati, pareti colorate di azzurro per creare un’atmo-~ sfera accogliente. Lui ama parlare sottovoce, quasi sussurrare. «Sono un cane sciolto, da sempre. Non appartengo alla cultura di sinistra e non c’è, nel senso che non è mai Pupi Avati esistita in Italia, una cultura di destra. Mi danno sempre, anche nelle sue interviste sul “Corriere”, l’etichetta di cattolico. Ebbene sì, lo sono. Ma non per finta, sul serio. E con orgoglio. Lo so che è strano, per un artista, andare in chiesa. Vado a messa, prendo la comunione, mi confesso dal mio parroco di San Giacomo in Augusta, in via del Corso, ho perfino rischiato di girare una storica intervista al papa, a Giovanni Paolo II. A Castelgandolfo era tutto pronto, avevamo già scritto sceneggiatura e domande, le macchine da presa erano accese e... saltò all’ultimo minuto. Di quella vicenda mi resta un bellissimo ricordo: una colazione a tre, io, Lui e Navarro Valls. Non potrò mai dimenticare la grande cordialità del papa, il suo buon appetito, intingeva perfino le ciambelle nel vino.» Di Benedetto XVI parla in termini cinematografici. «L’abbraccio fraterno, la stretta di mano, i sorrisi che abbiamo visto scambiare fra il papa di ieri e l’allora cardinale Ratzinger lo indicavano già come il prescelto alla successione. Della conoscenza degli uomini di Giovanni Paolo Il non possiamo diffidare».
Bolognese, sessantasei anni, trentacinque film, Avati nasce dall’unione fra Angelo, antiquario e collezionista d’arte, e Ines, di famiglia operaia e socialista, «che realizzò il sogno delle giovani dattilografe di allora: sposare il figlio dei padrone». Angelo era «uno che ha fatto fuori una fortuna, si è mangiato un impero. Pensi che due dei suoi Morandi sono esposti al Guggenheim di New York, i De Pisis finiti all’estero, e ricordo ancora i due pittori spesso a casa da noi, quando ero bambino». Nella Bologna rossa e laica, quella dei sindaco Dozza e del cardinal Lercaro, di Peppone e don Camillo di Guareschi, la famiglia Avati è divisa. «Le zie erano comuniste, la zia Dma si convertì di botto: restituì all’improvviso il rosario e i santini e si iscrisse al Pci. Mia madre, che fu anche consigliere Dc a San Lazzaro, mi portava ai comizi di Fanfani: il duello dialettico in casa era forte, aiutato dal lambrusco e dal calore umano. Da bambino fui impressionato dal miracolo della cugina Sultana, proprietaria di un bar a Sasso Marconi. Era moribonda, pesava trentadue chili. Mia madre le portò l’acqua della Madonna di Loreto, la segnò sulla fronte e quella alle tre di notte si alza e dice: “Zia, voglio le tagliatelle!”. Resuscitata, si è sposata, ha avuto un figlio, è morta da poco. E stata dichiarata ufficialmente miracolata. Da allora, mi sono affidato alla Provvidenza, dai e ti sarà dato, si chiude una porta e si apre un portone, ho cercato di trasferire questa filosofia ai figli. Credo nella parabola dei talenti: ciascuno di noi è portatore di un sogno, deve scoprirlo e coltivarlo. Mio figlio Alvise lavorava come inventore di cartoni animati al computer. Ha scritto in Nuova Zelanda al regista del Signore degli Anelli, Peter Jackson, e gli ha mandato i suoi prodotti. Jackson ha risposto e l’ha chiamato a collaborare nella squadra che sta preparando il nuovo kolossal, King Kong, negli studi più moderni del mondo».
Nella città capitale del comunismo all’italiana, Avati resta cattolico democristiano. «Ho sempre avuto ottimi rapporti con i sindaci, da Zangheri a Imbeni, con Vitali siamo ancora molto amici e così con Guazzaloca. Oggi, confesso di non sopportare il duo formato da Sergio Cofferati e Angelo Guglielmi, sindaco e assessore alla cultura mandati dai salotti buoni romani a commissariare la mia città, due estranei. Mi pare che anche i loro sponsor mostrino segni di pentimento.»
Nella Bologna degli anni Sessanta, quella che fa da sfondo alle storie di famiglia che Avati ha filmato, sua madre subisce il tracollo del marito e sceglie di rifarsi sui figli, «utilizzando le sue conoscenze clericali», racconta sorridendo il figlio viziato. Pupi è predestinato a essere miracolato. Il ragazzo, innamorato dei mestieri «esteticamente belli da vedere», prima si iscrive a scienze politiche a Firenze per fare l’ambasciatore, poi alla facoltà di veterinaria a Bologna. Finisce «a vendere bastoncini Findus in giro per le Standa d’Italia». Un po’ poco, per un predestinato. Nel 1968, Ines vende la casa di Bologna e compra una casa in via dei Babuino, apre la pensione For You, rifà. i letti e porta la colazione agli studenti, uno stratagemma per consentire a Pupi di frequentare il cuore della città del cinema e di realizzare l’ennesimo sogno (quello di diventare jazzista, raccontato in Ma quando arrivano le ragazze?, si era nel frattempo dissolto). Laura Betti, anche lei bolognese, adotta il giovane aspirante regista e lo introduce nel giro degli artisti che gravitavano fra via Margutta e piazza del Popolo. A cena con Moravia, Bertolucci, Bellocchio, Patroni Griffi, Avati incontra Pier Paolo Pasolini, con cui poi scriverà Salò. Miracolo avvenuto, Ines-Provvidenza entra in tutti i film del figlio Pupi, prodotti dall’altro figlio Antonio. Alla sera, per grazia ricevuta, va a ricompensare il suo Dio recitando il rosario insieme a Giulietta Masina. «Mi mancano tanto le passeggiate con Federico Fellini, che ho frequentato negli anni della fine: mi fece vedere in anteprima i suoi ultimi tre film, noi due da soli. Soffriva quando la gente per strada lo fermava e gli parlava soltanto di quelli vecchi, quelli degli anni Sessanta. Ho una passione per i personaggi in difficoltà. Sono diventato amico di Giulio Andreotti quando tutti io attaccavano, quando era in difficoltà...»
Il sogno di oggi è un film su Dante Alighieri, «personaggio misterioso, inquietante, con qualità profetiche ed esoteriche tutte da indagare». L’ultimo film, La seconda notte di nozze, è una storia anni Quaranta, come sempre autobiografica. «Mia madre rimase vedova molto presto e spesso le volevano presentare dei candidati-mariti. Lei, che voleva proteggersi, mi portava con sé a questi incontri buffissimi». Intanto, continua la collaborazione con la tv dei vescovi, Sat 2000, «abbiamo prodotto dei documentari sull’Africa, ma non quella della mosca sul viso, le storie degli africani che aiutano il loro Paese a uscire dall’emarginazione». Qualcuno mi ha raccontato che, all’indomani della vittoria elettorale della Casa delle Libertà, fu chiesto ad Avati di realizzare una pellicola o una fiction sull’eroe della Lega Nord, Alberto da Giussano, progetto fallito per le incomprensioni fra Bossi e il regista. Chiedo conferma. Lui sorride, si accartoccia sulla poltrona come un gattone, mi strappa di mano il blocco degli appunti e non risponde. Mi confessa, in cambio dell’omertà su Giussano, di avere pensato – nell’estate del 1993 – a un film la cui protagonista era ispirata a me. Una storia ambientata a Capalbio, una presa in giro della sinistra da spiaggia. «Lei si è salvata per miracolo» sussurra Avati con tono minaccioso. Mi ha convinto. La Provvidenza esiste.
Nasce a Bologna da famiglia borghese. Rimasto orfano a dodici anni, cresce con la madre, la sorella e il fratello minore Antonio, che sarà poi suo fondamentale collaboratore in molti film. Dopo il liceo scientifico, frequenta la facoltà di Scienze politiche. Durante gli studi scopre la passione per il jazz, che suona egli stesso al clarino. Per un certo periodo nel suo complesso suona anche Lucio Dalla. Per mantenersi fa il piazzista di tessuti e lavora alla Findus. L'ingresso nel mondo del cinema avviene nel 1967, come aiuto-regista di Piero Vivarelli per “Satanik”. Nel 1968 debutta nel lungometraggio con Balsamus, l'uomo di Satana e l'anno dopo conferma la sua vocazione verso storie fantastiche con Thomas, rimasto a lungo inedito in Italia. Trasferitosi a Roma con moglie e figli ottiene la fiducia di Ugo Tognazzi e realizza il suo terzo film, il cui successo gli spiana la via della professione. Nei primi anni romani lavora sovente “non accreditato” come sceneggiatore per film di altri registi. Con il fratello Antonio e Gianni Minervini fonda nel 1976 la A.M.A. Film e, nel 1983, dà vita, sempre con il fratello Antonio, alla casa di produzione “Due A Film”. Dal 1996 diventa direttore artistico di Sat 2000, la tv dell'episcopato italiano.