Call My Agent

Film 2023 | Commedia 50 min.

Regia di Luca Ribuoli. Una serie con Matilda De Angelis, Pierfrancesco Favino, Stefano Accorsi, Paola Cortellesi. Cast completo Genere Commedia - Italia, 2023, STAGIONI: 3 - EPISODI: 18

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Ultimo aggiornamento martedì 11 novembre 2025

Le vicissitudini di una potente agenzia di spettacolo e le storie dei suoi soci, alle prese con le carriere delle più grandi star del cinema italiano, per un viaggio ironico e dissacrante dietro le quinte del nostro showbiz.

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venerdì 21 novembre 2025 ore 21,15 su SKYCINEMACOMEDY

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Il remake del cult francese Dix pour cent.
a cura della redazione
mercoledì 21 febbraio 2024
a cura della redazione
mercoledì 21 febbraio 2024

Una commedia brillante che mantiene il nucleo narrativo dell'originale, un'agenzia di spettacolo composta da diversi colleghi e molti prestigiosi clienti, attori e registi. Mantenendo simili alcune trame orizzontali, la serie adatta però al mondo dello spettacolo romano le dinamiche: i protagonisti sono gli agenti della CMA, Claudio Maiorana Agency, sempre sull'orlo dell'esaurimento per accontentare i loro clienti. E qui sta la parte più gustosa, i tanti cameo di celebrità del cinema nella parte di versioni ironicamente eccessive di loro stessi: tra gli altri Paola Cortellesi, Paolo Sorrentino, Pierfrancesco Favino, Stefano Accorsi. Tra stress, rivalità e dinamiche del successo e del fallimento, si sbircia dietro le quinte dello show business italiano, in un clima dell'assurdo non poi così lontano dalla realtà.

Episodi: 6
Regia di Simone Spada.

Cast stellare per una terza stagione al limite della verosimiglianza

Recensione di Gabriele Prosperi

La terza stagione di Call My Agent - Italia riparte rimettendo in moto la CMA orfana di Elvira: l'assenza pesa sulle routine d'agenzia mentre alcuni casi a orologeria portano in campo nuovi ospiti che interpretano sé stessi. Luca Argentero si misura con la gabbia del personaggio televisivo che lo ha reso pop, Michelle Hunziker arriva in coppia con Aurora Ramazzotti per un progetto meta-televisivo a base di musical, Stefania Sandrelli insegue una sfida artistica fuori dalla sua comfort zone; poi una reunion della serie Romanzo Criminale, il rientro-lavoro dopo la maternità per Miriam Leone e un nodo identitario per Ficarra e Picone.

La cornice di questa terza stagione resta quella del caso della settimana incastrato nell'arco orizzontale di crisi e rinegoziazioni interne: la macchina dell'ufficio, tra telefonate, location romane e riunioni-lampo, è ancora il set primario, mentre i camei ampliano il gioco meta.

Dentro questo perimetro produttivo rimane chiara la doppia natura del progetto: remake dell'originale francese Dix pour cent e serie Sky Studios/Palomar che mira a un'identità domestica. La stagione arriva dopo alcuni cambiamenti concreti a livello tecnico: una nuova regia, a cura di Simone Spada, e la sceneggiatura di Federico Baccomo, che affida alcuni episodi di questa stagione a Camilla Buizza e Tommaso Renzoni. Il tutto segnato dal lutto reale che ha colpito il cast con la scomparsa di Marzia Ubaldi, trasformato in un motore narrativo di presenza-assenza.

Sul piano tecnico la messa in scena persegue il ritmo comico-ansioso che abbiamo conosciuto (e riconosciuto) nelle prime due stagioni. È una confezione che continua a intrecciare frontstage e backstage e che mantiene l'effetto di una leggerezza organizzata, in cui lo spettatore sente il tempo industriale caratterizzato da scadenze, mentre la regia orchestra l'andirivieni fra le linee narrative degli agenti.

È però sul piano artistico che si decide la verosimiglianza del gioco meta che caratterizza questo prodotto di derivazione, e in cui emergeva l'originalità di Dix pour cent, nonché la sua coerenza con il contesto produttivo, quello francese. Al contrario, Call My Agent - Italia accentua, purtroppo, alcune criticità già emerse nel passaggio dalla prima alla seconda stagione: la struttura francese, mantenuta quasi intatta (seppur muovendosi a zig zag tra i capitoli della serie madre), si irrigidisce proprio mentre la serie tenta di accogliere le specificità italiane.

Ne è un esempio l'episodio del format originale con Nathalie Baye e Laura Smet, rispettivamente madre e figlia, che le vedeva scontrarsi in una dinamica professionale credibile e fondata su un'aderenza biografica molto forte, caratterizzata dalle loro carriere cinematografiche. Nella versione italiana, l'episodio ricalcato diventa la partecipazione a un musical per Michelle Hunziker e la figlia Aurora Ramazzotti: l'idea è divertente, ma il ponte tra industria reale e finzione si assottiglia fino a sembrare un pretesto, perché la cornice produttiva italiana - per economia, tempi e storico televisivo dei talenti coinvolti - non offre lo stesso ancoraggio di plausibilità del modello francese con le due attrici. Allo stesso modo, la traiettoria incisa dall'icona cinematografica che forza il proprio personaggio pubblico per una parte inattesa e fuori dalle sue corde, rimanda al quarto episodio della seconda stagione della serie francese in cui Isabelle Adjani rincorreva un giovane autore.

Ecco che però la traslitterazione con Stefania Sandrelli di questo plot, per quanto nobilissimo nella premessa, fatica a produrre la stessa necessità narrativa: il riferimento è chiaro, l'urgenza molto meno. Ancora più spiazzante il caso di Ficarra e Picone: l'innesco narrativo che coinvolge i fratelli Coen è un amo brillante sul piano del gossip immaginario, ma rischia di spezzare il patto di verosimiglianza che rendeva irresistibile Dix pour cent, dove l'iperbole restava ancorata a un possibile. Quando il meta si distacca troppo dalla realtà percepita dello show business, l'ospite smette di funzionare da detonatore di senso e scivola verso la caricatura.

L'avevamo già un po' riconosciuto questo rischio nelle precedenti stagioni; qui diventa, in alcuni episodi, realtà. La produzione italiana ha dovuto decidere se aderire al reale - mostrando la meccanica dei contratti, la paura di restare incasellati in un ruolo, il ritorno alle scene post-maternità - oppure rincorrere la finzione, cioè il plot originale francese, senza rimodellarne la logica. E ha scelto questa seconda via: le specificità italiane emergono, infatti, come accenti caricati, non come materia drammaturgica, ed è qui che il cuore del progetto stesso che si sta adattando - cioè il piacere di guardare star amatissime "fare sé stesse" con intelligenza - si annacqua: l'ospite da specchio diventa satellite.

Resta una macchina ben oliata e spesso godibile, con interpreti principali sempre più affiatati e un tono che sa alternare cinismo e tenerezza; ma per davvero rispettare l'originalità del prodotto da cui deriva serve forse rischiare di più sul terreno della verosimiglianza industriale, lasciando che il remake diventi davvero una traduzione: una riscrittura dove il caso reale della perdita di un membro del cast possa aprire a delle nuove prospettive narrative e diventare un'opportunità per raccontare il contesto nazionale, anziché rintracciare l'elemento del plot originale più ricongiungibile e giustificabile da quella perdita (ovvero l'innesco della linea proprietaria nel secondo episodio di Dix pour cent). O, ancora, rispettare lo spettatore che sì, riconosce sullo schermo il noto rischio di confondere chi, del duo, sia Ficarra o Picone, ma che è anche in grado di riconoscere l'assurdità di un possibile interessamento dei fratelli Coen ai loro personaggi.

Call My Agent - Italia resta un congegno piacevole ma in bilico, che vive del talento del cast fisso e dell'energia dei set romani, però paga ogni volta che scambia l'omaggio per la fotocopia. Se la serie vuole davvero parlare al nostro presente, deve forse rimettere al centro la realtà dell'industria italiana (i suoi budget, i suoi tempi, le sue filiere), e usare gli ospiti non come scintille isolate, ma come stress test del sistema narrativo, ancorandoli a conflitti plausibili. Tradurre, non traslitterare insomma: partire dai nodi che qui esistono (il ricambio generazionale, le filiere indipendenti contro gli streamer, la precarietà dei reparti, lo star system intermittente, le discriminazioni nel settore) per inventare casi della settimana che nascano da quei vincoli e li trasformino in un racconto.

Episodi: 6
Regia di Luca Ribuoli.

Un timido processo di adattamento (rispetto all'originale francese), che mina l'intera impalcatura della serie. Tra alti e bassi, la serie è comunque godibile

Recensione di Gabriele Prosperi

La seconda stagione di Call My Agent - Italia segna il ritorno degli intrighi e delle sfide all'interno della CMA, agenzia di rappresentanza di star che naviga tra le acque turbolente della produzione cinematografica e televisiva italiana. Con un plot che si addentra nei drammi personali e professionali dei suoi protagonisti, questa stagione tenta di affrontare le complessità del mondo dello spettacolo, rivelando allo stesso tempo le sue peculiarità e i suoi limiti. Non possiamo dire molto sulla trama, ma le guest star sono già note; preparatevi allora a vedere Valeria Golino e Valeria Bruni Tedeschi alle prese con una sceneggiatura "cieca", un crudele Gabriele Muccino, un tenebroso e coatto Claudio Santamaria, Serena Rossi e Davide Devenuto che se ne dicono di ogni, una Elodie che fa miracoli (in tutti i sensi) e una impacciatissima Sabrina Impacciatore.

La serie cerca di affermare una propria identità rispetto all'originale francese Dix pour cent - che, ricordiamo un dato importante, andava in onda quasi 10 anni fa su France 2 - e ci prova tramite una narrazione più concentrata sulle vicende orizzontali dei personaggi, che vengono esplorate con maggiore profondità rispetto alla stagione precedente.

Da Lea (Sara Drago), che cerca un equilibrio tra vita affettiva e lavorativa, a Vittorio (Michele Di Mauro), che affronta cambiamenti significativi nella sua esistenza personale, ogni figura emerge con le proprie sfide, evolvendo in un contesto che mescola realtà e finzione. Fino a qui tutto previsto, o prevedibile: le trame orizzontali sono le stesse (o quasi) della serie originale.

Non possiamo però ignorare le criticità che emergono da questa (non reale) scelta di approfondimento. A fronte di un tentativo lodevole di italianizzare la serie - che era stato efficace nella prima stagione di Call My Agent - Italia con le superbe partecipazioni di Cortellesi, Sorrentino, Favino, Accorsi, Guzzanti (ogni episodio brillava di autenticità, malgrado fosse un adattamento) - il tentativo è meno riuscito in questa seconda stagione. Nel momento in cui si cerca di rendere la serie più aderente alla realtà del settore nel nostro Paese, ecco che questa realtà sfugge dalle mani per via di alcuni vizi "indicibili" i quali, appunto, non vengono detti e portano - in particolare nell'ultimo episodio "femminista" - a momenti di riscatto improbabili o, potremmo dire, di pura fantasia.

In generale, si percepisce una certa mancanza nel valorizzare le potenzialità intrinseche del format originale. In Dix pour cent la mescolanza tra le trame dei personaggi fittizi dell'agenzia e quelle realistiche delle guest star contribuiva a creare una dinamica ricca e complessa, che permetteva di riflettere sul rapporto tra personaggio pubblico e privato. In Call My Agent - Italia, invece, questa interazione appare ridimensionata, con le due linee narrative che tendono a procedere in parallelo senza mai intrecciarsi veramente. Questo aspetto non solo denota una certa reticenza nell'esplorare le relazioni tra i personaggi, ma limita anche la capacità della sceneggiatura di riflettere sulle dinamiche del mondo dello spettacolo italiano con la stessa incisività con cui l'originale "sparlava", in maniera acuta, di quello francese.

Questa mancanza balena agli occhi in un momento importante della trama orizzontale: come dicevamo, vengono riprese le dinamiche interne dell'agenzia; tra queste, lo svelamento di un rapporto famigliare tra un agente e una stagista. In seguito a questa scoperta, Elvira (interpretata dalla compianta Marzia Ubaldi) esordisce ricordando che siamo in Italia e, non solo in Italia, ma a Roma. Un inciso che viene detto a mezza bocca, silenziosamente, ma che in questa riflessione è altisonante. Se in Francia scoprire una potenziale raccomandazione è sconvolgente, in Italia sicuramente ne avrebbero già sparlato tutti sin dal primo episodio e, a sconvolgere, sarebbe forse stata la mancanza di pre-esistenti raccomandazioni... Moralismi a parte, questo è solo uno dei molti casi che esemplificano il problema di questa stagione: non è forse questo che dovremmo raccontare? Dove sono le dinamiche del nostro contesto produttivo? Dov'è René Ferretti? Assistiamo, in altre parole, a un timido processo di adattamento, che purtroppo mina l'intera impalcatura della serie.

Altrettanto significativa è la figura di Luana Pericoli, interpretata con maestria da Emanuela Fanelli, che con il suo carattere e la sua presenza scenica incarna l'essenza di una certa italianità, mescolando umorismo e critica sociale. Un personaggio ideale, quindi, e funzionale per garantire l'adattamento. Tuttavia, la sua singolarità rischia di renderla un'eccezione piuttosto che un esempio di un approccio più ampio e articolato nella rappresentazione dei personaggi, e in assenza di una compenetrazione tra realtà e finzione narrativa nel resto della serie, Luana Pericoli rischia di apparire eccessivamente caricaturale, trasformando l'ottima interpretazione di Fanelli in una maschera comica e la critica ironica in gratuita retorica.

Nonostante ciò, alcuni episodi brillano per originalità e approfondimento, in particolare quello che vede la partecipazione di Elodie e Dario Argento. La presenza del maestro del cinema italiano non è solo un omaggio alla sua filmografia, ma diventa un efficace strumento narrativo che, attraverso l'utilizzo dei suoi stilemi, arricchisce la trama di ironia e complessità. Similmente, il carisma riconoscibile e iconico di Elodie rianima una trama già esplorata in Francia. Questi momenti rappresentano un esempio di come avrebbe potuto essere sviluppato il potenziale della serie, sfruttando maggiormente le peculiarità del panorama culturale italiano.

La stagione è comunque godibile grazie alle boutade di alcune guest star, ma soprattutto grazie a Luana Pericoli che, diciamolo, meriterebbe uno spin-off tutto per sé!

Episodi: 6
Regia di Luca Ribuoli.

Il dietro le quinte dello show business italiano in un remake fedelissimo che crea dipendenza

Recensione di Gabriele Prosperi

La serie mostra il dietro le quinte della produzione audiovisiva italiana attraverso l'attività degli agenti della CMA. Le vicende personali di Lea (Sara Drago), Gabriele (Maurizio Lastrico), Vittorio (Michele Di Mauro) ed Elvira (Marzia Ubaldi) si intrecciano a quelle delle assistenti Monica (Sara Lazzaro), Pierpaolo (Francesco Russo), Camilla (Paola Buratto) e Sofia (Kaze), alle prese con le vite e i capricci dei loro clienti (nei panni di sé stessi): Paola Cortellesi, Paolo Sorrentino, Pierfrancesco Favino, Matilde De Angelis, Stefano Accorsi e Corrado Guzzanti, per i quali sono manager, amici e confidenti.

Remake, reboot, revival, franchise: viviamo in tempi di inflazione di idee... ripristinate, rimediate, rieditate, al punto da trasformare un intero decennio (il 2010) nel revival di un altro (gli anni '80).

Internet e i media digitali hanno portato a un tale accumulo di informazioni, dati e idee che è come se dovessimo sempre avviare il ripristino del sistema: il nostro computer mediale va costantemente in crash.

Ed ecco che, con un sonoro ritardo - molto annunciato, molto desiderato - Sky porta finalmente in Italia un grande esempio di originalità narrativa europea. Dix pour cent (Chiami il mio agente!, ideata da Fanny Herrer) è andato in onda per France 2 nel lontano 2015, e per ben quattro stagioni ha mostrato il dietro le quinte del sistema produttivo, di scouting e di gestione della maestranza cinematografica e televisiva francese.

Tra le guest star che si sono prestate a interpretare sé stesse, auto-ironicamente, troviamo figure di grande levatura internazionale: Christopher Lambert, Isabelle Adjani, Juliette Binoche, Monica Bellucci, Isabelle Huppert, Charlotte Gainsbourg, Sigourney Weaver, Jean Reno, per fare i nomi di maggior spicco. Soprattutto ciò è avvenuto in una parabola ascendente: man mano che le stagioni proseguivano, i grandi nomi internazionali aumentavano, a testimonianza di un eccelso lavoro di sceneggiatura, di intreccio tra realtà e finzione che prende nota e apprende da un lato le peculiarità del sistema francese e dall'altro le caratteristiche intrinseche della guest star dell'episodio, in un complesso processo di mediazione tra finzione e realtà.

L'operazione svolta da Sky e Palomar è difficile e perciò, a discolpa di alcune pecche, doveva essere raffinata: da un lato è necessario mantenere l'intento narrativo, quello di raccontare il mondo dello show business europeo, le sue incrinature, i complessi processi di definizione della celebrity di un divo o di una diva.

A tal scopo viene in soccorso di Lisa Nur Sultan (Sulla mia pelle, Studio Battaglia, Beata te) e Federico Baccomo (Abbi fede, Studio Battaglia, Improvvisamente Natale) che scrivono la sceneggiatura di questi primi 6 episodi, e di Luca Ribuoli (Speravo de morì prima, La mafia uccide solo d'estate, Noi) che ne firma la regia, il simile peso specifico della storia cinematografica delle due nazioni a confronto, così come alcune similitudini nei processi gestionali dello stardom francese con quello italiano. La CMA potrebbe essere facilmente associabile ad alcune grandi, storiche, agenzie romane, ovviamente portando all'eccesso (sia nella quantità di personaggi gestiti da una sola agenzia, sia nelle modalità di relazione con i propri clienti) alcuni caratteri.

Ciò però non giustifica l'assenza, quasi totale, di intervento sulla narrazione: le storie sono esattamente le stesse; gli intrecci che uniscono il racconto dietro le quinte con le vite dei volti noti italiani chiamati a partecipare non si svincolano mai dalla struttura originale. Poco si fa dal punto di vista caratteriale: gli agenti della CMA (Claudio Maiorana Agency) sono sostanzialmente una copia carbone degli agenti francesi della ASK (Agence Samuel Kerr), addirittura a livello fisiognomico.

Ne deriva così una minimizzazione evidente, problematica, spiacevole delle eccelse capacità di attori e attrici, che prendono le vesti degli agenti, come Sara Drago, Michele Di Mauro e Manuela Mandracchia (che meritano una menzione d'onore) in ruoli purtroppo già visti, già sviluppati, e perciò poco arricchiti di specificità.

Dall'altro lato l'Italia conta una storia cinematografica e caratteristiche uniche, che rendono così l'operazione di rilocazione oggettivamente squisita. La fascinazione di Call My Agent: Italia è l'intrinseco fascino della nostra specificità produttiva e caratteriale; gli elementi che emergono dalla serie sono più dovuti al portato di ogni guest star.

La visione si fa così duplice: da un lato trascuriamo le vicende degli agenti - al punto da poter tranquillamente mandare avanti fino alla scena successiva in cui ricompare la guest star - dall'altro siamo attratti dalla fascinazione per la celebrità, vogliamo entrare voyeuristicamente nella sua intimità, scavarne la personalità. Anche da questo punto di vista la serie risente del poco lavoro fatto sulla specificità del personaggio ospite.

È palese il lavoro del casting alla ricerca del volto più adatto per prendere le parti, ad esempio, di un'attrice troppo agée per il ruolo, Paola Cortellesi, che così si ritrova a interpretare sia sé stessa, sia Cécile de France, attrice francese che nel primo episodio di Dix pour cent subiva lo stesso smacco. Pierfrancesco Favino interpreta prima di tutto Jean Dujardin e solo in secondo luogo l'attore camaleontico, quale sicuramente è, di Hammamet e de Il traditore.

È la fascinazione del nostro show business il vero polo attrattivo di Call My Agent: Italia; chi è dietro questa macchina replicante ne è consapevole e mette in atto un lavoro - questo, sì, ragguardevole - di promozione, di vero e proprio branding - e non a caso l'agenzia coglie le sue iniziali, in maniera originale, dal titolo della serie. Qui possiamo rintracciare il valore di questo adattamento: nelle operazioni di connessione (interessanti i crossover con la serie madre, il riferimento all'agente francese Andréa, interpretata in Dix pour cent da Camille Cottin), di meta-narrazione (l'esorbitante attrice Luana Pericoli - interpretata da Emanuela Fanelli - che rompe la quarta parete) e di citazione, posizionando Sorrentino nel secondo episodio, intento a realizzare The Lady Pope e affidando il ruolo da protagonista della sua terza stagione seriale a una cantante italiana che dobbiamo vedere, a tutti i costi. Le intuizioni, da questo punto di vista, sono geniali, esilaranti, e consapevolmente ci viene data l'opportunità, alla fine di ogni episodio, di vedere gli esiti di questi eccessi improbabili.

Ripetitivo, scopiazzato, affidato a una narrazione pre-esistente, è tutto vero... ma la voglia di vedere Paola Cortellesi nei panni di una regina etrusca o un'icona del pop italiano in quelli di una papessa è impareggiabile! Lo vogliamo, lo desideriamo, ne siamo affamati nel corso di ogni racconto. Gli episodi di Call My Agent: Italia creano, ognuno, dipendenza, un desiderio: il bisogno di vedere questi risultati. E creare un desiderio nel cliente è la base di ogni operazione di marketing.

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RECENSIONI DALLA PARTE DEL PUBBLICO
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JonnyLogan

Riprendendo il solco della serie transalpina, ancora disponibile sulla piattaforma Netflix, Dix Pour Cent, titolo che deriva dalla percentuale che spetta all’agente di ciascun artista, per il nostro paese la serie è stata riscritta da Lisa Nur Sultan e Federico Baccomo, ex avvocato e scrittore prolifico. I due riescono a migrare la narrazione da Parigi a Roma, trattando anche in tal [...] Vai alla recensione »

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