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Sanctuary, una lotta all’ultimo sangue e all'ultimo sguardo con due performance davvero formidabili

Il film di Zachary Wigon è un ottovolante di emozioni in cui c’è desiderio, ma anche disperazione, e disprezzo. Il tutto, sostenuto dalle ottime interpretazioni di Margaret Qualley e Christoper Abbott, in cui finzione e verità si mescolano in un viluppo indissolubile. Al cinema.
di Giovanni Bogani

sabato 27 maggio 2023 - Focus

Dramma, thriller, commedia, tutto in una notte, tutto addosso a due volti. Eppure – come in Locke, che era tutto girato dentro un’auto, e con un personaggio solo – non ci si annoia, al contrario. Si segue una lotta all’ultimo sangue, all’ultimo sguardo, all’ultima parola fra due esseri, in una suite d’hotel. Lei, Margaret Qualley, è una mistress, una dominatrix; lui, Christopher Abbott, è il suo cliente pieno di soldi, tanto da non sapere che farsene. Ha ereditato dal padre una fortuna, una catena di alberghi, un patrimonio enorme. E adesso sta per prendere il ruolo che era stato del padre. Ma prima, l’ultimo gioco. L’ultimo gioco con la sua mistress. 

Fra i due attori, c’è una chimica percepibile in ogni istante, in ogni sguardo, in ogni parola. C’è desiderio, ma anche disperazione, e anche disprezzo, da parte di lei: per il suo cliente miliardario, viziato, bello, che gode nell’essere umiliato. 

Potremmo vedere Sanctuary, presentato lo scorso autunno alla Festa del cinema di Roma e ora al cinema, in due modi: come un thriller che cambia le carte in tavola ogni dieci minuti, e come una commedia romantica ben mascherata. E in entrambi i casi, lo si può amare o meno. Nel mio caso, ho amato sia il thriller mentale che le dinamiche sentimentali. Con tutte le implicazioni sulle questioni di classe, sulle dinamiche fra i sessi, sul potere del denaro. Ho amato il lavoro della macchina da presa di Ludovica Isidori, la colonna sonora sorprendente, densa di rumori, di crac inattesi del silenzio, creata da Ariel Marx

È un film che parla di controllo, controllo sugli altri e controllo su se stessi. E senti che il controllo più totale ce l’ha il regista: lo senti in ogni fotogramma, in ogni momento di questo ottovolante di dinamiche emotive che è il film. Il movimento delle dita di Rebecca, la dominatrix, che scivolano sul bordo di un mobile per controllare la polvere: un momento che pare casuale, ed è invece rivelatore. Margaret Qualley che entra nella suite leggermente sfocata, per poi avanzare ed essere perfettamente a fuoco. E lo script, che permette alla ragazza di attraversare tutta la gamma delle emozioni, dalla ferocia alla vulnerabilità più assoluta.

C’è tanto sesso, ma non vedi neppure un centimetro di pelle di troppo. C’è tanta tensione, ma è tensione psicologica,  è un gioco del gatto col topo. Rebecca arriva, finge di essere una avvocatessa arrivata per una intervista di lavoro. I due iniziano a giocare il loro gioco abituale: lui è lo schiavo, lei la padrona. Ma quando hanno finito, Hal annuncia che è il momento, per lui, di prendersi delle responsabilità nella azienda. E dunque, quel gioco deve finire. Per lei, c’è in regalo un costosissimo orologio. 

Non sarà così semplice. Rebecca sa di non essere stata soltanto una ragazza da chiamare per soddisfare certi inconfessabili piaceri. Sa che, senza di lei, lui non avrebbe mai acquisito la sicurezza, la padronanza di sé necessarie per gestire la sua società. E lei si trasforma. La lotta di classe emerge, come in un film di Ostlund, in forme moderne e imprevedibili

Soprattutto, scopri che la relazione è una relazione di dipendenza. E non in un senso soltanto. Ti chiedi se non sia una storia d’amore sporcata dal denaro; ti chiedi se tutto non finirà con un uomo rovinato dallo scandalo, o con il cadavere di una donna trovato nei sotterranei di un hotel di lusso. Ti chiedi chi è il più forte, chi è che fa violenza a chi. Il tutto, sostenuto da due performance formidabili, in cui finzione e verità si mescolano in un viluppo indissolubile.

Potremmo anche dire che situazioni del genere flirtano con alcuni sottogeneri del porn, quelli in cui c’è un mistress che decide i ritmi, le pause, gli stop and go del desiderio del maschio: e non saremmo lontani dal vero. Ma trasformare tutto questo in un film è un lavoro delicato, e – in questo caso – ottimamente riuscito


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