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Il mio vicino Adolf, un ottimo Udo Kier in una storia forte di amarezze, solitudini, minuscole solidarietà

Il regista israeliano Leon Prudovsky si gioca la scommessa più forte possibile: immaginare - e fare immaginare allo spettatore - che Hitler non si sia ucciso nel bunker sotto il Reichstag, nel maggio 1945. Al cinema.
di Giovanni Bogani

Udo Kier (Udo Kierspe) (79 anni) 14 ottobre 1944, Colonia (Germania) - Bilancia. Interpreta Mr. Herzog nel film di Leon Prudovsky Il mio vicino Adolf.
giovedì 3 novembre 2022 - Focus

Un anziano ebreo polacco sopravvissuto all’Olocausto, e finito in Sudamerica. Uno strano vicino che parla tedesco, ha un cane lupo a cui è affezionatissimo, dipinge in modo dilettantesco. E, insomma, potrebbe essere…

Di vecchi criminali nazisti rifugiati in Sudamerica o negli Stati Uniti ne abbiamo visti, a cominciare da Laurence Olivier nel Maratoneta di John Schlesinger, proseguendo col dottor Josef Mengele interpretato da Gregory Peck ne I ragazzi venuti dal Brasile. Si va a caccia di un ufficiale nazista, in definitiva, anche in This Must Be the Place di Paolo Sorrentino.

Ma qui si va oltre. Qui non si parla di un criminale nazista, ma “del” criminale assoluto, del Male, del diavolo in persona: Adolf Hitler. Che ha la faccia di Udo Kier. Ed è lui – nato quando la Germania era sotto i bombardamenti della guerra voluta da Hitler, con i suoi genitori che morivano sotto le bombe poche ore dopo che lui era nato – è lui, dicevamo, che si porta gran parte del film sulle spalle. E sugli occhi inquietanti, magnetici. Che già avevano sedotto Rainer Werner Fassbinder, di cui Udo Kier fu il compagno, e Lars von Trier, che lo scelse come protagonista della sua macabra serie The Kingdom.

Il regista e co-sceneggiatore, l’israeliano Leon Prudovsky, si gioca la scommessa più forte possibile: immaginare – e fare immaginare allo spettatore – che Hitler non si sia ucciso nel bunker sotto il Reichstag, nel maggio 1945. E che un anziano ebreo polacco, sopravvissuto all’Olocausto e rifugiatosi in Sudamerica, riconosca negli occhi di un brusco, arrogante vicino gli spaventosi occhi azzurri del Führer, che aveva incrociato una sola volta nella vita, ad un torneo di scacchi a Berlino nel 1934.

L’anziano ebreo polacco – interpretato dall’attore britannico David Hayman – si trova così a giocare una partita a scacchi col vicino fatta di mosse e contromosse volte a svelarne l’identità. Con il vicino dagli occhi di ghiaccio arroccato nella sua casa.

È difficile fare una commedia sul nazismo, ancor più sull’Olocausto: ci sono riusciti Benigni, mescolando tragedia e comicità, ne La vita è bella (guarda la video recensione), Radu Mihaileanu in Train de vie; e, quando ancora del nazismo non si era scoperto tutto l’orrore, Ernst Lubitsch in Vogliamo vivere!. Ma ora l’impresa è sempre più ardua.

Il film corre sul crinale difficile fra commedia e dramma, o meglio tra farsa e tragedia. L’anziano polacco lo porta verso il dramma: con negli occhi e nei gesti la mestizia incancellabile, inconsolabile di chi ha conosciuto l’orrore della Shoah. Con i colori del film che sembrano quasi annullarsi, tendere infinitesimalmente verso il bianco e nero: il nero delle rose che l’anziano coltiva, e a cui è maniacalmente attaccato.

Ma chi spinge, chi porta all’estremo ogni effetto è Udo Kier: che rende memorabile ogni istante che è sullo schermo. Di volta in volta, prepotente, minaccioso, misterioso, patetico, ridicolo, fragile, autoritario, isterico, remissivo, esplosivo. Se il film è anche una commedia, se il film è spesso sorprendente, lo dobbiamo soprattutto a lui. Che, peraltro, si era già trovato in un’occasione precedente a interpretare un Hitler in incognito: nel mediometraggio del 2002 Mrs. Meitlemeihr, Udo Kier è un Hitler che si nasconde a Londra e si finge una drag queen. E ancora per rimanere in tema, sarà un criminale nazista fuggito negli Stati Uniti e mimetizzatosi nella società nella seconda stagione della serie Hunters (guarda la video recensione) per Amazon Prime.

Ma torniamo al Mio vicino Adolf. Che, se ci pensi, è quasi una versione in chiave nazi de La finestra sul cortile, con l’anziano polacco che spia il vicino con un teleobiettivo e una macchina fotografica. Con momenti di calcolata comicità, come quando Polsky tenta di accertarsi dell’identità del suo vicino di casa guardandogli gli organi genitali, in una scena dai toni velatamente omosessuali.

Quello che, però, alla fine invade il film, e colpisce lo spettatore, è il rapporto di ostilità/complicità, di pena mista all’odio, che si crea fra i due vicini. Alla fine, potresti anche togliere di mezzo l’Olocausto e Hitler. Rimarrebbe la storia di due vecchi che si detestano e che forse potrebbero trovare la strada di una riconciliazione, alla Jack Lemmon e Walter Matthau. In Due irresistibili brontoloni (Grumpy Old Men). E rimarrebbe ugualmente una storia forte di amarezze, solitudini, minuscole solidarietà.


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