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Nadine Labaki: «Cafarnao? Spero possa aprire le menti»

La regista spiega la sua visione del Cinema, la drammatica realtà dei bambini in Libano e cosa l'ha spinta a realizzare il film. Premiato al Festival di Cannes e dall'11 aprile al cinema.
di Claudia Catalli

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Nadine Labaki (50 anni) 18 febbraio 1974, Baabdat (Libano) - Acquario. Interpreta Nadine nel film di Nadine Labaki Cafarnao - Caos e miracoli.
domenica 31 marzo 2019 - Incontri

«Vengo da un Paese che è un punto invisibile sulla mappa, dove non esiste alcuna industria cinematografica». A parlare è la regista e attrice Nadine Labaki, gli occhi scuri e profondi, lo sguardo sicuro da pioniera. Prima autrice libanese, futura Presidentessa di Giuria di Un Certain Regard a Cannes, intanto il suo nuovo film Cafarnao ha compiuto il suo trionfale cammino - dallo scorso Festival di Cannes fino ai Golden Globes e agli Oscar - portando a casa premi, applausi e candidature.

Labaki ha fatto della lotta all'invisibilità la sua cifra artistica, e nel suo ultimo film ha scelto proprio i più invisibili di tutti per protagonisti: i bambini delle baraccopoli libanesi, come Zain Al Rafeea, nato nel 2004 in Siria.
Claudia Catalli

Considera il cinema come mezzo di riflessione sociale e politica. Perché?
È per me ormai una missione e una responsabilità: il cinema può, se non cambiare le menti delle persone, sicuramente alimentare il dibattito, creare domande. Sa dare un volto a termini che sentiamo ripetere, come "guerre", e guardare chi le vive e le attraversa con empatia, comprendere le loro emozioni, le loro paure. Il cinema serve a questo, a capire meglio la natura umana. Tutti conoscono la realtà, è sotto gli occhi di tutti. Ma guardarla attraverso gli occhi di un bambino stra-ordinario come Zain è un'altra cosa.

Non dev'essere stato facile girare una storia come questa, in primis per gli stessi bambini.
No, infatti. Il protagonista Zain era in una situazione complicatissima nella vita reale, solo il set era un posto sicuro, ma fino al giorno successivo tutti stavamo in pensiero per lui. Situazioni fragili e pericolose che mettevano ansia a ognuno di noi. La nostra soddisfazione oggi è che tutti i bambini che hanno partecipato al film sono salvi e vanno a scuola... Anche solo per questo fare il film ha avuto senso.

È per questo che si è ritagliata il ruolo di avvocatessa, per stare vicino al suo protagonista e difenderlo anche sullo schermo?
Ho tagliato moltissimo di quel personaggio perché mi sembrava l'unico finto, rischiava di togliere forza e verità al film, che doveva avere e ha per protagonisti esclusivamente i bambini.

Con loro ha girato in maniera tutt'altro che classica, archiviando centinaia di ore di materiale, lasciandoli piena libertà di espressione...
Avevano bisogno di totale libertà. Non potevo permettermi una lavorazione classica, o avrei paralizzato la storia. Poi i bambini ovviamente non avevano un copione in mano: li abbiamo seguiti per mesi, chiedendo loro di reagire, non di agire, creando intanto attorno a loro il giusto contesto per esprimersi. Ecco perché ho chiesto a mio marito di produrre il film, o non avrei avuto la libertà che mi serviva.

Una libertà che ha pagato, guardando tutto il percorso che ha fatto il film finora, i premi e i riconoscimenti ricevuti. È soddisfatta?
Molto, anche se per me l'importante era portare all'attenzione di tutti la problematica di questi bambini, ce ne sono davvero tanti come i nostri Zain e Sahara. A Cannes, come agli Oscar, sapevo di essere di fronte a una platea che poteva e può davvero fare la differenza e cambiare le cose. Solo questo era importante, ci pensavo ad ogni singolo incontro. Steven Spielberg per dire ha visto due volte Cafarnao e mi ha invitato a cena con pochi altri filmaker per parlare del film, di come l'avessi fatto, di come fossi riuscita a renderlo così, parole sue, emozionante.


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In foto una scena del film Cafarnao.
In foto una scena del film Cafarnao.
In foto una scena del film Cafarnao.

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