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Arrival tra Kubrick e Fincher: il cinema che esplora l'universo

L'esordio nello sci-fi di Denis Villeneuve (da oggi al cinema) rimanda ad altri 4 grandi capolavori di genere. Ecco quali.
di Andreina Di Sanzo

Arrival

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Amy Adams (Amy Lou Adams) (49 anni) 20 agosto 1974, Aviano (Italia) - Leone. Interpreta La dottoressa Louise Banks nel film di Denis Villeneuve Arrival.
giovedì 19 gennaio 2017 - Focus

Denis Villeneuve ci riporta al cinema in un viaggio celestiale e drammatico avvicinandosi per la prima volta alla fantascienza (mentre si attende impazienti il suo Blade Runner 2049) con Arrival, il film presentato alla 73. Mostra del Cinema di Venezia. Quante volte il cinema ha tentato di esplorare l'universo e i suoi quesiti più profondi, cercando afflati e risposte in galassie o pianeti proibiti, attraverso cunicoli spazio-temporali, da soli persi nello spazio profondo o rivolgendosi a imperscrutabili oceani dalla natura ignota. L'indagine di natura filosofica attraverso lo "schermo d'argento" utilizza il genere fantascientifico ma ben poche volte ha saputo essere denso e profondo. Non bastano soltanto gli eccessivi e pirotecnici effetti speciali o le teorie astronomiche sciorinate in dialoghi estenuanti e pretenziosi, Arrival sa bilanciare bene tutti gli ingredienti: la spettacolarità con il rimando alla riflessione. Villeneuve aggiunge così un altro piccolo tassello a un universo più grande, quello di un cinema che si pone certi interrogativi.

Sul pianeta Terra compaiono 12 astronavi misteriose, l'esperta di linguaggio Louise Banks (Amy Adams) viene chiamata insieme al fisico teorico Ian Donnelly (Jeremy Renner) ad analizzare questi alieni e cercare un contatto cercando di tradurre il loro linguaggio. Per la donna inizierà un viaggio senza precedenti in cui la questione della maternità e soprattutto dell'amore materno si estende come una sostanza avvolgente ed enigmatica, visioni di immagini passate e future compariranno come lampi nella sua mente facendole prendere coscienza di ciò cui già conosceva la risposta.
Andreina Di Sanzo

Quest'ultimo lavoro di Denis Villeneuve rimanda a diversi capolavori del genere fantascientifico, partendo da Arrival, attraverso delle parole-chiave o elementi tratti dal film, ripercorreremo una piccola lista di capisaldi di questo genere intramontabile.


RECENSIONE
In foto una scena di Arrival.
In foto una scena di Arrival.
In foto una scena di Arrival.
 

Le gigantesche astronavi che fluttuano a mezz'aria in diversi punti del Pianeta rimandano a quello che resta uno dei maggiori capolavori, non solo di fantascienza, ma dell'intera storia del cinema: 2001: Odissea nello spazio.

L'enigmatico monolite nero, magnetico, inquietante, simbolo di passaggio tra le tante interpretazioni, rappresenta e scatena le transizioni, proprio come le 12 navicelle sparse per la Terra sanciscono l'arrivo e perciò la partenza verso una nuova conoscenza.
Andreina Di Sanzo

Se il monolite di Kubrick resta ancora oggi oggetto di studi e interpretazioni più disparate, le astronavi di Villeneuve creano subito quell'atmosfera impenetrabile e allo stesso tempo seducente: ciò che ci è sconosciuto e lontano ci attrae pur spaventandoci.


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In foto una scena di 2001: Odissea nello spazio.
In foto una scena di 2001: Odissea nello spazio.
In foto una scena di 2001: Odissea nello spazio.
Maternità
Alien 3 (1992)
 

Tra i film più uterini di sempre, la saga di Alien, in particolare l'episodio girato da David Fincher, ha in comune con Arrival la questione della maternità che nel film sembra prendere forma sin dall'inizio: le astronavi che rassomigliano a enormi ventri fluttuanti e il sentimento drammatico e portante che mai abbandona la protagonista, l'amore per la figlia prematuramente scomparsa.

Tutti i film della saga di Alien (escludendo i crossover Alien vs Predator) sono attraversati da una sorta di forte pulsione materna che, seppur vista da occhi maschili, si estende nel bene e nel male: dalla bambina Gnut che diventa come figlia adottiva di Ellen Ripley (Sigourney Weaver), alla Regina xenomorfa che la protagonista scopre di portare dentro di sé.
Andreina Di Sanzo

L'unico scopo della terribile Regina sembra essere quello di una riproduzione incontrollabile, mentre per Ellen Ripley la questione dell'amore materno va oltre il fattore biologico. Il femminile è la forza che muove tutta la saga così come in Arrival l'amore materno (che è stato e che tornerà a rinascere) muove i fili di un percorso verso l'ignoto.


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In foto una scena della saga di Alien.
In foto una scena della saga di Alien.
In foto una scena della saga di Alien.
Immagine mentale
Solaris (1971)
 

Il ritorno dalla morte, sebbene angosciante e disperato, è uno dei fulcri dell'inarrivabile Solaris di Andrei Tarkovsky.

Così come l'immagine di Harey riappare al protagonista Kelvin, forse ricreata dalla massa oceanica presente sul pianeta Solaris, l'immagine di Hannah, la figlia morta prematuramente, ritorna nelle visioni di Louise in Arrival.
Andreina Di Sanzo

Le immagini di queste due donne appaiono nelle menti di entrambi i protagonisti come cristalli che superano le barriere del tempo e dello spazio. La perdita, in entrambi i casi tragica, non viene colmata dal ritorno sotto forma di immagine pura, non vi è una resurrezione dei corpi, ma solo un parziale ritorno che le sospende tra la vita e la morte. La visione nasce dalla vicinanza con altre forme di esistenza, con altri mondi e altre forme di vita. L'immagine è perciò frutto della mente di Kelvin e di Louise, proiezioni oniriche e fantasmi di loro stessi che li legano al passato e li lanciano verso un qualcosa di sconosciuto, Harey e Hannah, stessa iniziale, stessi spettri che fluttuano in un aldilà che è (forse) solo la mente umana.


RECENSIONE
In foto una scena di Solaris.
In foto una scena di Solaris.
In foto una scena di Solaris.
Contatto
Contact (1997)
 

Se la comunicazione con questi esseri alieni, enormi ectapodi, è l'obiettivo della protagonista di Arrival, uno dei film a cui sicuramente riconduce il lavoro di Villeneuve è il magnifico Contact di Robert Zemeckis, del 1997.

Decifrare un codice, comprendere un linguaggio diverso dal nostro, cercare di avvicinarsi ancora una volta all'ignoto e allo sconosciuto, è ciò che desiderano le protagoniste dei due film in questione.
Andreina Di Sanzo

La scienziata Ellie Arroway (Jodie Foster) capta dei segnali provenienti da forme di vita extraterrestre cercando di decifrare un messaggio che conterrà un progetto per un viaggio interstellare, mentre Louise Banks tenta esplorare un linguaggio "alieno", totalmente differente dal nostro nella sua struttura. Avvicinandosi all'inesplorato le due donne aspirano a una vicinanza con ciò che è nascosto, remoto e completamente diverso da quello che l'uomo finora ha conosciuto. Etimologicamente parlando la parola contatto deriva dal latino "Contactus", participio passato di contingere ovvero toccare insieme, vicendevolmente. Il contatto dunque non è soltanto qualcosa di immateriale e intangibile, Louise disegna (letteralmente) quel nuovo linguaggio, quel nuovo codice, su una sorta di schermo lattiginoso che tanto ricorda quello cinematografico.


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In foto una scena di Contact.
In foto una scena di Contact.
In foto una scena di Contact.

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