In attesa di Banat - Il viaggio, domani in streaming su Nuovo Cinema Repubblica e dal 7 aprile al cinema, ecco i migliori viaggi cinematografici che hanno portato gli italiani fuori dall'Italia, alla ricerca di una felicità da scoprire.
di Marianna Cappi
In Banat - Il viaggio, opera prima di Adriano Valerio, milanese a Parigi (oggi in programma al Bif&st, domani alle 21.00 in streaming su Nuovo Cinema Repubblica e da giovedì 7 aprile al cinema), Edoardo Gabbriellini è Ivo, trentenne italiano che in Italia non riesce a fare il suo lavoro, ciò che lo appassiona e per cui si è preparato, ossia l'agronomo.
Per poter finalmente lavorare come agronomo, e perché nel suo paese "stava male", Ivo ha accettato di mettersi in macchina e fare migliaia di chilometri per raggiungere una campagna povera e sperduta della Romania, nella regione di Banat, dove c'è tanto freddo quanta terra fertile.
Una storia di emigrazione al contrario, o forse no, perché sono tanti gli italiani che hanno delle piccole imprese agricole oltre i Balcani, non solo imprenditori che delocalizzano, e perché il viaggio di Ivo è solo uno dei tanti viaggi cinematografici che hanno portato gli italiani fuori dall'Italia, alla ricerca di una felicità da scoprire o di un'identità da ritrovare. Così tanti, che è un viaggio anche il loro racconto, e queste sono le nostre tappe.
"Mi sono trovato al confine francese - dichiarò Germi - e alcuni finanzieri che avevo conosciuto, mi raccontarono che qualche giorno prima avevano salvato dal congelamento e dalla morte alcune famiglie calabresi, le quali in scarpe di tela e giacchette striminzite, tentavano di espatriare clandestinamente ed erano rimaste bloccate dalla neve". Da questa cronaca nasce il racconto, sceneggiato da Fellini e Pinelli, degli abitanti di Favara, Sicilia, rimasti senza lavoro per la chiusura di una solfara, che si mettono in viaggio, impegnando i loro pochi risparmi, per emigrare in Francia.
Un'odissea sociale, sul modello di Furore di Steinbeck, e una prova della grande capacità narrativa di Germi. Osteggiato da Andreotti, come altri capolavori neorealisti, per l'immagine poco attraente che offriva della condizione sociale degli italiani.
Mario è un giovane di Grosseto emigrato ad Hannover. Sta per ritornare in Italia, quando incontra casualmente il romano Totonno, che lo introduce nel suo ambiente dI magliari: imbroglioni che vendono per buoni tessuti scadenti. Le cose si complicano quando Mario si innamora di Paula, moglie di un industriale tedesco, e quando una banda di polacchi reclama il proprio spazio nel giro dell'illecito.
Il film tratta alcuni temi cruciali legati all'emigrazione italiana all'estero, tra cui l'ombra delle organizzazioni criminali, ed è splendidamente fotografato da Gianni Di Venanzo, in un bianco e nero a metà tra noir americano e Nouvelle Vague alle porte. Rosi, per Mario, aveva pensato a Mastroianni, ma l'attore non era disponibile. La scelta di Renato Salvatori verrà ripresa da Visconti poco dopo per un altra storia di emigranti: Rocco e i suoi fratelli.
L'emigrato italiano Eddie Carbone, portuale, vive a Brooklyn con la moglie Beatrice e la nipote diciottenne Catherine, della quale è morbosamente geloso. Tanto che, quando ospita a casa sua Marco e Rodolfo, immigrati clandestinamente negli USA, non riesce a sopportare che tra la nipote e Rodolfo nasca una simpatia reciproca e decide di denunciare il compaesano. Sfocerà in tragedia.
Il film di Lumet adatta per lo schermo il dramma teatrale del 1955 di Arthur Miller, A View from the Bridge, che Raf Vallone aveva già interpretato con grandissima fortuna a teatro, a Parigi, per la regia di Peter Brook.
Alberto Sordi è Amedeo Battipaglia, emigrato in Australia da vent'anni. Cerca una compagna e contatta per corrispondenza la bella e fiera Carmela, calabrese, spacciando per propria la fotografia del collega Giuseppe. Lei, a sua volta, gli nasconde il suo passato di prostituta.
Scritto da Rodolfo Sonego e girato quasi interamente in Australia, fra autentici emigrati italiani, il film è un viaggio movimentato e tinto d'assurdo, dove gli equivoci maggiori non nascono dalla diversità culturale ma dalle bugie tra gli stessi italiani e dove convivono divertimento e nostalgia, commedia e dolore.
Nino, cameriere ciociaro alla ricerca di un lavoro dignitoso in Svizzera, dopo tre anni di lontananza dagli amici e dalla famiglia, sta per ottenere l'agognato posto fisso, ma la sfortuna ha la meglio. Espulso, resiste nel paese da clandestino inanellando una serie di patetici tentativi di integrazione. Sta per mollare, ma un inatteso colpo di fortuna e un fiero moto d'orgoglio lo spingono a riprendere la sua battaglia. In piena crisi, il Nino Brusati abiura alla propria identità nazionale e si finge dunque cittadino elvetico, salvo poi tradirsi di fronte ad un gol dell'Italia.
Pensato per Ugo Tognazzi, il ruolo va invece a Manfredi, che apporta modifiche significative. La sua prova d'attore, nella quale alterna magistralmente i registri comico, drammatico e sentimentale, gli vale il David di Donatello. David anche al miglior film e Orso d'Argento a Berlino.
Il futuro regista di Gangs of New York dialoga con la madre Catherine e con il padre Charles davanti alla macchina da presa, all'ora di cena, nel loro appartamento di Elizabeth Street. L'argomento della conversazione e del documentario è la loro esperienza da immigrati italiani a New York: la famiglia, la fede, le origini, la vita in Italia e le condizioni di vita degli italiani negli Stati Uniti.
Mentre Catherine insegna a cucinare le polpette, scorrono nelle loro parole i temi e le scene di vita che hanno fatto e faranno il cinema di Martin Scorsese. Catherine Scorsese, già apparsa in Mean Streets, tornerà davanti all'obiettivo del figlio per Quei bravi ragazzi e Casinò.
Matteo, un barbiere romano separato e pieno di debiti, raggiunge la sorella Angelina a Rio de Janeiro. Qui conosce la giovane mulatta Giorginha, fidanzata con il nipote Rocco, capoccia del luogo. La seguirà nel cuore del Brasile, dove si è rifugiata dopo la rottura della relazione. Verrà, però, rintracciato da Rocco e convinto a tornare in Italia. Ma solo per poco.
Veronesi e lo sceneggiatore Ugo Chiti vorrebbero forse fare di Abatantuono un Alberto Sordi trent'anni dopo, ma la loro commedia non ha profondità sociale né si cura di ironizzare sulle differenze culturali. Siamo piuttosto nel territorio della farsa, del turpiloquio e del luogo comune.
Sicilia. Inizi del Novecento. Salvatore vende tutto: la casa, la terra, gli animali, per portare i figli e la vecchia madre dove ci sarà più lavoro e più pane per tutti. Il viaggio via mare verso il Nuovo Mondo e la prima accoglienza, con gli esami fisici e psicologici presso Ellis Island (The Golden Door è il sottotitolo internazionale del film) sono al centro della visione spesso sognante e metaforica di Crialese.
L'emigrazione diventa rito d'iniziazione, dolorosa e necessaria metamorfosi. La Gainsbourg è una splendida traghettatrice verso la mitizzata terra dell'abbondanza, ma non si dimenticano nemmeno il destino contrario dell'anziana madre e del fratello sordomuto. Opera seconda, attesissima all'epoca dell'uscita, dato il favore con cui era stato accolto il debutto cinematografico di Emanuele Crialese, Respiro.
Toni Servillo è Rosario Russo, un uomo fuggito dal passato, che in Germania si è rifatto letteralmente una vita, dando per morto il suo vecchio sé. Quindici anni dopo, il figlio Diego, camorrista, si presenta al suo ristorante, in compagnia di un amico, per assassinare un industriale tedesco. Diego, di rifarsi una vita tranquilla, non ha alcuna intenzione, e la situazione sfugge a Rosario di mano.
Cupellini confeziona un riuscito film di genere, attuale, livido e impietoso. Recitato in tre lingue -tedesco, italiano e napoletano - e musicato da Teho Teardo con Blixa Bargeld. Premio per il miglior attore a Toni Servillo al Festival Internazionale del Film di Roma.
Il racconto di un viaggio dall'Italia alla Germania, nel 1962. A compierlo è Pietro, un bambino di 9 anni orfano di madre, partito per ritrovare il padre emigrato, di cui da tempo non si hanno notizie. Con lui, un sedicente amico del padre, Benito, un giovane dai trascorsi dubbi in cerca di un riscatto personale.
Sul loro percorso i due incontrano mondi diversi: quello della fabbrica di Bochum, della comunità italiana in città (gli itaker, "italianacci", uno dei tanti appellativi degli emigrati italiani in Germania), quello del contrabbando- fatto di valigie ed espedienti- e quello dell'incontro non sempre pacifico tra italiani e tedeschi. Diverse piccole patrie in cerca di identità.
Tanti, infine, i progetti sul fronte del documentario, che ha fatto dei racconti e dei ricordi degli emigrati una materia d'elezione. Segnaliamo, tra gli altri:
La Deutsche Vita (2013)
Racconto tragicomico dei nuovi italiani a Berlino, in guerra pacifica contro il freddo, la nostalgia, il pregiudizio e il caffè tedesco.
Ritals - Demain Je M'En Vais (2011)
Le sorelle Chiarello ripercorrono la piccola saga familiare dei genitori, Maria e Vincenzo, che a metà degli anni '50 emigrarono a Parigi. Divertito e malinconico, famigliare e collettivo.