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Appuntamento a Edimburgo

Intervista a Sylvain Chomet, regista di L'Illusionista.
di Marianna Cappi

Sylvain Chomet al photocall.
Sylvain Chomet (60 anni) 10 novembre 1963, Maisons-Lafitte (Francia) - Scorpione. Regista del film L'illusionista.

giovedì 21 ottobre 2010 - Incontri

Arriva in Italia in macchina, Sylvain Chomet, per l'apertura questa sera a Firenze di France Odeon, il festival che prosegue la lunga tradizione di France Cinéma, creato 22 anni fa da Aldo Tassone. Sulla strada, fa tappa a Roma, all'Ambasciata di Francia, per incontrare la stampa al termine della proiezione del suo secondo lungometraggio L'Illusionista, tratto da una sceneggiatura originale di Jacques Tati e dedicato alla figlia del grande maestro, Sophie Tatischeff. Il film, candidato agli European Film Awards come miglior film d'animazione, uscirà in Italia il prossimo venerdì, 29 ottobre, in 30-35 copie distribuite dalla Sacher di Nanni Moretti, mentre in America debutterà il giorno di Natale, distribuito dalla Sony.

Come e quando è nato il progetto di portare sullo schermo il copione inedito di Tati?
Il progetto è nato durante Appuntamento a Belleville. Nel film c'erano dei manifesti dei film di Tati e alla televisione passava Giorno di festa. Per questo avevo dovuto chiedere a Sophie le immagini del film e, nel farlo, le ho mostrato qualcosa del mio film in lavorazione. È stato allora che lei mi ha detto "Ho una sceneggiatura di mio padre che voglio assolutamente che venga alla luce ma non con degli attori in carne ed ossa, ma con qualcosa di più poetico, come un disegno animato" e mi ha fatto sapere che era convinta che il mio universo fosse consono allo scopo. Sfortunatamente Sophie è morta qualche mese dopo, per cui non l'ho mai conosciuta. Ma andando a Cannes per il primo film ho letto la sceneggiatura e mi sono innamorato subito, soprattutto della fine, per cui, anche se non avevo voglia di fare un film di qualcun altro, specie di un uomo così famoso come Tati, alla fine ho accantonato le altre idee e mi sono concentrato su questo, perché volevo davvero che venisse fatto.

Cos'ha cambiato rispetto alla sceneggiatura originale di Tati?
Quando vivevo in Canada ho fatto un film nordamericano, quando vivevo in Scozia ho pensato che sarebbe stato bello spostare l'azione del copione di Tati là. Dovevo farlo mio, non potevo eseguirlo in modo scolare. Il progetto originale era ambientato a Praga ma a me Praga non diceva nulla, mentre volevo mostrare la Scozia, dove abitavo. Poi, nel casting ipotizzato da Tati, la ragazza era una donna-bambina, una specie di Brigitte Bardot, io invece volevo una relazione padre-figlia diversa e ho disegnato un personaggio diverso. Infine, ho aggiunto i miei "mostri", personaggi di contorno che servono anche a far vedere come il protagonista non sia caduto in basso come loro, proprio grazie alla presenza della ragazza.

Non ha voluto il confronto diretto con Tati ma Tati rimane un confronto necessario per un cineasta francese, essendo stato, stilisticamente, uno spartiacque. Come si è posto lei, in questo confronto?
Questo non era un film con protagonista Monsieur Hulot, per cui era diverso rispetto a tanta cinematografia di Tati e mi lasciava un po' più libero. Tati è stato molto innovativo ma non è stato seguito, il suo universo è rimasto suo e solo suo.
Ho guardato molto Mio zio, il film precedente, e ho notato che inquadrava sempre i piedi dei personaggi, metteva la macchina da presa alla sua altezza (era molto alto) e inquadrava tutto da lì, il che dà un lato un po' teatrale e intimista alla visione. Ho scelto di rispettare questa scelta, di vivere con i personaggi, come se fossimo in piedi davanti a loro e li stessimo guardando da vicino: c'è un aspetto un po' voyeuristico in questo film. Tati non nasce come regista, all'inizio non si preoccupava moltissimo della macchina da presa, veniva dal cabaret ed era un distruttore di attori: esigeva da loro un movimento preciso, non li lasciava liberi, proprio come fa l'animatore con i suoi collaboratori. Per far vedere ad una hostess come fare, si vestiva da hostess con i tacchi alti e eseguiva ogni singolo gesto per poi farsi imitare. È molto raro nel cinema tradizionale: non ci sarebbero più attori se tutti li trattassero così. Io per fortuna lo posso fare, e senza dover torturare nessuno.

Che uso ha fatto del digitale nel film?
Ho utilizzato lo stesso metodo di Appuntamento a Belleville: gli esseri umani, gli animali, tutto ciò che è vivo è disegnato a mano, i miei collaboratori si possono prendere tutto il tempo di cui hanno bisogno per farlo al meglio, ma poi la città, le automobili, le navi vengono sostituite benissimo dal digitale. Anche il fumo, di solito, anche se qui è stato fatto a mano, con un effetto più grafico. Il digitale allarga le possibilità del disegno, aggiunge qualcosa. L'unica differenza con Appuntamento a Belleville è che, proprio perché qui le inquadrature sono molto più lunghe (alcune durano addirittura un minuto), ho voluto dare più vita alla scenografia, perché non restasse un disegno rigido, per cui ho mostrato i cambi di luce, la polvere, il passaggio delle nuvole, le ombre che creano a terra.

Uno dei temi portanti è l'alba della società del consumo e la morte di un mondo più artistico e libero. La riguarda personalmente?
Ho avuto la possibilità, fino ad ora, di non dover scendere a compromessi artisticamente. Se no credo che farei un altro mestiere, forse il ceramista, che è fabbricante, artista e distributore. Quando si fa un film non si è mai sicuri di poterne fare un secondo e ci vuole talmente tanto tempo a fare un film di animazione che se non fossi libero non ne varrebbe la pena. Sono venuti gli studios americani con un sacco di soldi ad offrirmi di fare un film con loro. Ho detto che si poteva fare con molti meno soldi e non gli è andato bene, volevano che facessi cose che non so fare.
Tati, nel '59, sentiva che il Music Hall stava morendo ed era arrabbiatissimo: per lui era la madre di tutte le arti, c'era varietà, si andavano a vedere artisti bravi e meno bravi, era uno spettacolo per tutta la famiglia. Non credo che giudicasse, che dicesse "È male", ma credo che dicesse "È un peccato". Era stata la sua vita per 25 anni.

Come ha scelto le musiche?
Appena ho letto la sceneggiatura ho sentito che la parte musicale finale, che dura 8 minuti, doveva essere una sorta di battito cardiaco dell'intero film. All'interno ho optato per musiche diverse: quelle rock sono state fatte da un musicista scozzese che suonava in una rock band negli anni '80 a cui ho chiesto 3 pezzi sul genere di quel che facevano gli Shadows, poi ci sono musiche celtiche tradizionali e il resto l'ho fatto io. Contrariamente a Appuntamento a Belleville non volevo lavorare con un musicista unico, la sensazione che avevo riguardo alla musica delle immagini era talmente personale che avrei dovuto passare degli anni a farmi capire da un altro musicista. Specie per la parte finale la musica era parte integrante del disegno. Non a caso, molte persone che lavorano nell'animazione sono musicisti o hanno comunque un buon orecchio musicale, un gran senso del ritmo. L'animazione, d'altronde, storicamente, ha cominciato con la sola musica di supporto, per cui il rapporto è sempre stato molto forte.

Cosa ne pensa dei grandi successi dell'animazione odierna, per esempio i film Pixar?
Non sono un fan dell'animazione in 3d ma è vero che Wall-E e Up sono due film bellissimi. Dopo Cars temevo una deriva della Pixar invece questi sono due film d'autore, su temi complicati. Wall-E è un film molto cupo, oltretutto.

Tati non ha eredi ma Rowan Atkinson ha più volte affermato di essersi ispirato a lui per il personaggio di Mr Bean. Le piace?
Sì, ma Mr Bean è – per sua stessa ammissione - un M. Hulot cattivo, mentre il personaggio di Tati era inequivocabilmente simpatico. Però è vero che in Inghilterra c'è un rapporto con il mimo e con il silenzio più sviluppato, tant'è che il film è andato meglio là che in Francia o altrove. In Inghilterra e anche nei paesi dell'Est ci sono nuovi mimi e nuove scuole, in Francia è tutto fermo. Però c'è da dire che il Presidente della Repubblica ha notevoli qualità di mimo.

Ha fatto uno studio sul costume dell'epoca?
Abbiamo fatto una ricerca d'archivio sulla moda in Scozia nell'anno 1959. Ma con l'animazione il problema è che bisogna scegliere un taglio e un colore se no diventa difficile. Fare il kilt, infatti, è stato complicato: c'è voluto del tempo per inserire il disegno sopra la tinta. I completi di Tatischeff sono ispirati ai tagli eleganti del vero Tati, tutti su misura, mentre il vestito che la ragazzina prende dalla vetrina è un classico modello di quell'anno, ciò che andava più di moda.

Un film del passato fatto solo oggi. Crede che il suo messaggio sia ancora un messaggio di modernità?
Tati ha cominciato a pensare questo film nel '53. È una traccia di qualcosa che non è mai stato visto e scopriamo adesso, come un pezzo di cinema inedito che ci permette oggi di capire meglio alcune cose. Se fosse uscito nel '59 il film sarebbe stato distrutto, come fu per Giorno di Festa, che fu accusato di essere retrogrado e anti-progressista. Oggi ci siamo accorti che la modernità non ha portato con sé solo cose positive, per cui facciamo maggior tesoro di questo film. Il messaggio finale - i maghi non esistono - è un messaggio di morte, ma una magia c'è stata: quando la ragazza scende dalla scale è completamente trasformata. Per fedeltà a Tati ho filmato tutto in maniera teatrale, tranne il finale, col quale voglio dire che il cinema si può e si deve nutrire di tutto.

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