Una trasposizione degli anni '20 che per anni era stata creduta perduta. Online grazie a Ermitage.
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di Giancarlo Zappoli
È noto che Charles Dickens sin da bambino ha dovuto cambiare spesso abitazione a causa del lavoro del padre ma anche, e soprattutto, che all’età di dodici anni, su decisione della madre, è stato mandato in una fabbrica di lucido da scarpe grazie a quello che definirà come “un lucido complotto per precipitarlo nel mondo”. La ‘fabbrica’ è un edificio diroccato infestato dai ratti. In quello stesso anno il padre viene rinchiuso nella prigione per debitori di Marshalsea.
Non è difficile quindi capire come “Oliver Twist”, pubblicato a puntate in venti fascicoli mensili a partire dal 1837, non manchi di note biografiche. Il cinematografo coglie le potenzialità narrative adatte al nuovo mezzo e, tra il 1906 e il 1922, ne propone tre versioni di cui due molto brevi. Nei decenni successivi seguiranno sei lungometraggi di cui tre americani, due britannici e uno ungherese.
Quello di Frank Lloyd si avvale di una star da poco consacrata sul grande schermo. Si tratta di Jackie Coogan che nel 1921 è stato protagonista (facendo piangere e ridere il pubblico come da didascalia iniziale) del Il monello di Charlie Chaplin. Ha l’innocenza dipinta in volto ma anche la vivacità e la prontezza di reazione necessarie.