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Nadia Tereszkiewicz racconta Rosalie: «Un film che cerca un erotismo non codificato»

L’attrice condivide la sua esperienza con un ruolo non facile ma che fa molto riflettere anche sull’attualità. Al cinema dal 30 maggio.
di Giovanni Bogani

mercoledì 22 maggio 2024 - Incontri

Siamo nella seconda metà dell’Ottocento, la guerra – tra Francia e Prussia – è appena finita. A un uomo viene data in sposa una giovane. L’uomo è un brav’uomo, semplice e gentile. La giovane ha degli splendidi occhi azzurri. Ma l’uomo avrà una sorpresa, difficile da digerire.  

Esce il 30 maggio nelle sale italiane Rosalie di Stéphanie Di Giusto: un film potente e delicato, che esplora la vicenda di una “donna barbuta”, a partire da una storia realmente accaduta. Un film che poggia tutto sulla straordinaria interpretazione di Nadia Tereszkiewicz, ventotto anni, attrice franco/finlandese dalla pelle chiarissima, che riesce ad accogliere nel suo corpo, nel suo viso i segni di questa diversità, di questa difformità e trasformarla in forza. 

Nadia in questi giorni sta girando alcune città italiane per presentare in anteprima il film al pubblico: domani sarà a Firenze, al cinema Alfieri. Sarà l’occasione per scoprire un film che sa raccontare la diversità, la vergogna, il coraggio di affrontare gli altri e l’amore con una precisione e una freschezza straordinaria. E sarà l’occasione per conoscere un’attrice travolgente, nel suo entusiasmo, nella sua voglia di comunicare tutte le emozioni che ha dentro. La raggiungiamo al telefono: siamo pronti a spremere tutto il francese che riusciamo a mettere insieme, ma Nadia parla un italiano perfetto, fluente e tumultuoso, come se le parole corressero nella sua testa, e volesse regalarcele tutte. 

Nadia, come racconterebbe Rosalie?
È un film che cerca di trovare un erotismo nuovo, non codificato nelle regole della società. Racconta un amore che nasce con il tempo, un amore improbabile, che sovverte tutti i codici della sua epoca. Perché il desiderio, alla fine, non può essere codificato.
 

Impersonare la protagonista non deve essere stato semplice. A cominciare dal trucco.
Sì! La barba – e anche tutta la peluria, sulla schiena – mi veniva applicata letteralmente ‘pelo per pelo’, da un artigiano che lavora in questo modo. Servivano quattro ore per questa operazione: significava alzarsi alle quattro di mattina, e sottoporsi ogni mattina a questa procedura. Ancora oggi, la mia pelle ‘ricorda’ questi innesti, perché è una pelle delicatissima. Non potevo neppure dormire con tutto il resto della troupe, perché ogni minuto era prezioso: dormivo letteralmente sul set, per essere subito pronta al trucco, prima dell’alba. 

Si legge in alcune interviste che Benoît Magimel, suo marito nel film, all’inizio ha mostrato la stessa distanza che mostra il personaggio. 
Esatto. Benoît ha scelto questo tipo di atteggiamento, e io non capivo perché. Non ci parlavamo, fuori dalla scena. Praticamente ci siamo ‘conosciuti’ sul set. Io sentivo una distanza, con lui, che non capivo. Come mai non mi parlava? Come mai era così distante? Inconsapevolmente, sviluppavo in me gli stessi sentimenti di Rosalie: mi sentivo sola, volevo essere amata, volevo essere accettata da lui. Soltanto dopo ho capito che Benoît lo aveva fatto coscientemente, proprio perché io fossi spinta, emotivamente, verso lo stesso stato d’animo del personaggio.


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Rosalie è un racconto di emarginazione di una donna che non ha più voglia di nascondersi.

Come vivrebbe, oggi, Rosalie? Si parla molto di inclusività, di accettazione di ogni differenza. Ma è poi vero?
Oggi Rosalie vivrebbe con difficoltà, forse più ancora che un secolo e mezzo fa. Si parla molto di body positive, ma ci sono molte contraddizioni nella nostra società. La differenza ancora oggi è discriminante. Parliamo tanto di parità, del fatto che abbiamo tutti la stessa dignità, sì. Ma c’è anche una società che vive di apparenza, di bellezza secondo canoni codificati. Ti faccio un esempio…

Prego…
C’è una donna barbuta che io seguo su Instagram, si chiama Harnaam Kaur. Ha molti follower, ma anche molti haters. E persone che le dicono, anche in modo poco delicato, ‘ma perché non ti togli la barba?’. Lei risponde: ci ho messo venticinque anni a stare bene con me stessa, ad accettarmi, ad accettare la mia barba, perché adesso devo toglierla? Eppure con i social ci sono milioni di persone che ti possono attaccare, che ti possono ferire da dietro una tastiera. Prima gli sguardi erano solo quelli del villaggio: ora sono quelli di un immenso villaggio social, di una platea infinita di persone che possono attaccarti.

Per lei come è stato, nel film, portare la barba?
Credevo di essere forte, indipendente dallo sguardo degli altri. Invece non è vero. All’inizio, istintivamente, sul set di fronte a tutti mi vergognavo di avere la barba, anche se era un ‘trucco di scena’. Poi piano piano mi sono abituata, sono andata al catering con la barba, a girare per il set, senza nessun problema. 

Stéphanie Di Giusto la ha fatta esordire nel cinema, con un ruolo in Io danzerò (guarda la video recensione). E ha scelto lei come protagonista del suo secondo film. Come è stato il rapporto fra di voi?  
Mi ha aiutata molto, mi ha capita. Ha capito che io non sono molto tecnica, che ho bisogno di vivere le cose, su un set. Abbiamo anche cambiato qualche cosa insieme. Ad esempio, la prima scena di intimità, fra me e Benoît. Nel copione era scritto che dovessimo essere uno di fronte all’altra: ho suggerito che sarebbe stato più credibile se mi fossi avvicinata  a lui da dietro, perché lui non provasse repulsione, distanza, distacco. E lei ha accettato il cambiamento. Era interessante vedere come Stephanie fosse aperta ai suggerimenti.

Lei ha già vinto il César come miglior promessa femminile per Les amandiers di Valeria Bruni Tedeschi. In pochi anni, ha conosciuto un successo prepotente, un attenzione crescente da parte del pubblico. Come vive lo sguardo degli altri addosso?
Beh, per fortuna tutto ciò riguarda solo la Francia! Se passeggio per Roma, non mi guarda nessuno! E comunque, so benissimo che solo una cosa conta, nel mio mestiere: l’umiltà. Lavorare, avere sempre dubbi, interrogarsi. Adesso ho solo una enorme fortuna: posso scegliere di fare solo i film che mi piacciono. E fino ad ora, ho avuto la benedizione di essere scelta per film che mi piacevano.


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