Ex-ballerino e anche domatore di leoni al circo, sullo schermo quasi sempre criminale, debosciato, perverso, non ci si poteva aspettare altro: «Mi è piaciuto quest'uomo provato, con poco tempo per fare quello che vuol fare. E poi non ho figli, è stato interessante lavorare con un bambino».
Cattivo nei film, Walken, nella vita, si descrive come un tipo serafico: «Sempre stato assolutamente diverso dai miei personaggi. Ho la stessa moglie, Georgianna, da 37 anni, quando non lavoro mi piace starmene a casa tranquillo: vivo in un bel posto, mi godo il panorama». Dopo il ruolo dannato nel Cacciatore di Michael Cimino-Oscar come miglior attore non protagonista - è rimasto intrappolato in una veste che, in realtà, gli va a pennello. Dal mercenario dei Mastini della guerra al sensitivo della Zona morta allo spregevole padre di Sean Penn in A distanza ravvicinata al boss corrotto di King of New York e via enumerando, sembra che i registi, anche i più grandi, non possano fare a meno della sua maschera inquieta. Tarantino l'ha voluto in Pulp fiction, Spielberg in Prova a prendermi; tra i suoi «scopritori» c'è addirittura il Woody Allen di Io & Annie, che all'epoca gli affidò il ruolo del fratello della protagonista. «Ho fatto tante cose», commenta Christopher, «grandi e piccole, ma certo Il Cacciatore è stato la molla della mia carriera».
Ai film si prepara sempre allo stesso modo: «Cerco di arrivare alle riprese già pronto, per non dover pensare troppo alle battute. Mi piace non perdere tempo». Problemi? Solo roba concreta, niente manie da star: «I cavalli, per esempio. Sono spesso bizzarri. Quando ci sono dimezzo i cavalli, chiedo sempre gli stuntmen». Negli anni, dice, Hollywood è rimasta più o meno la stessa: «L'unica grande differenza sta nello sviluppo delle tecnologie, oggi si fanno cose che prima erano impensabili, per il resto tutto è uguale a sempre». Comprese le indelebili etichette piazzate sugli attori: «Sa qual è uno degli aspetti negativi del fare sempre il cattivo? Che si finisce per lavorare molto con gli uomini e poco con le donne». Per questo girare La donna perfetta, con Nicole Kidman, Bette Midler e Glenn Close, per lui è stata una festa: «Attrici stupende, bravissime, ci siamo divertiti da matti, sul set era come stare a scuola, in quelle classi dove c'è un grande affiatamento».
L'altra esperienza che fa brillare gli occhi trasparenti di Christopher Walken è quella di Man on fire, dove ha conosciuto Giancarlo Giannini: «Un grandissimo attore, molto affascinante, mi piacerebbe poter recitare di nuovo con lui». Con l'Italia, d'altra parte, c'è un feeling di vecchia data: «Da ragazzo, per un certo periodo, ho fatto l'autista; stavo in Italia e andavo spesso avanti e indietro tra Roma e Venezia. Il problema è che, quando vengo nel vostro Paese, metto su un bel po' di chili, da voi si mangia troppo bene».
Della vita privata di Christopher Walken si sa poco. L'unico episodio non cinematografico che fece molto parlare di lui risale al 1981, anno del terribile incidente in cui, durante la navigazione al largo dell'isola di Santa Catalina, l'attrice Nathalie Wood perse la vita. A bordo, oltre a lei e suo marito Robert Wagner, c'era anche lui. Fu l'unica volta che finì in cronaca. Per il resto, niente pettegolezzi, nessuna foto rubata. «Vivo per conto mio, in campagna; è molto difficile trovarmi nei posti dove vanno quelli del mio ambiente», spiega, «con me i paparazzi non hanno occasioni per fare affari».
Gratta gratta, magari viene fuori l'aspirazione mancata, il cruccio inconfessato. E invece niente. A dispetto di tutto quello che è riuscito a fare sul grande schermo, di quell'aria minacciosa, di quei ghigni raggelanti, Walken sembra davvero in pace con se stesso: «Passare dall'altra parte della macchina da presa? No, non ci ho mai pensato. La regia richiede un grande impegno, devi saper fare un mucchio di cose e soprattutto devi saper spiegare i ruoli agli attori, quindi i sentimenti, le emozioni. Non è roba per me, io non riesco a spiegare niente neanche a me stesso, figuriamoci un po' agli altri». Quello che gli piacerebbe, invece, sarebbe poter lavorare con Martin Scorsese, Bernardo Bertolucci e Sidney Pollack. In che tipo di storie? Be', inutile chiederlo: «Vorrei fare almeno per una voltala persona normale, un padre, con una moglie, dei bambini, magari anche dei cani. Il fatto è che per cose del genere non mi chiama mai nessuno».
Da Lo Specchio, 7 maggio 2005