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XX secolo. L'invenzione più bella, prosegue la maxi-rassegna al cinema La Compagnia di Firenze

I capolavori di Jean-Pierre Melville, Billy Wilder, Ann Sheridan e Howard Hawks tornano sul grande schermo, in più tranche, fino all’estate. 
di Pino Farinotti

Marilyn Monroe (Norma Jean Baker) 1 giugno 1926, Los Angeles (California - USA) - 5 Agosto 1962, Los Angeles (California - USA). Interpreta Zucchero "Candito" Kandinsky nel film di Billy Wilder A qualcuno piace caldo.
giovedì 14 aprile 2022 - Focus

Al Cinema La Compagnia di Firenze prosegue la maxi-rassegna XX secolo - L'invenzione più bella, promossa da CSC – Cineteca Nazionale con il sostegno del Ministero della Cultura. Una ricchissima selezione di film capolavoro che tornano sul grande schermo, in più tranche, fino all’estate. Sono quattro gli artisti protagonisti delle prossime rassegne in programma. Li vediamo qui di seguito in quattro focus che approfondiscono i personaggi citando i titoli che saranno presenti nelle rassegne.

JEAN-PIERRE MELVILLE (da sabato 16 aprile)
Jean-Pierre Grumbach, nato in Alsazia da famiglia ebraica dimostrò subito un carattere particolare. Era imprevedibile, scontroso e curioso. É legittimo dire la curiosità sia il mantra perfetto di Jean-Pierre, divenuto poi Melville per via della sua passione per il Melville americano, quello di "Moby Dick". Sì, il futuro regista, curioso, ha esplorato tutti i generi. Dunque era nato bene, in possesso dei mezzi per finanziare le sue idee. E così ci mise del suo per produrre il primo film, Il silenzio del mare, che assume una certa importanza, perché una certa critica lo considera uno dei precursori della Nouvelle Vague. Il neoregista si rese conto che quel genere di cultura aristocratica e letteraria non era per lui. Jean Pierre ambiva a un altro genere di successo. Gli interessava il botteghino. E allora guardò al cinema americano, quello d’azione. Lo studiò e lo mise a frutto adattandolo alla cifra francese del poliziesco che era importante, per molti versi originale. Non erano solo rapine, sparatorie e inseguimenti in macchina, ma attenzione ai rapporti interni della malavita, come la solitudine, l’amicizia e il rispetto di certi codici d’onore.
Titolo esemplare in questo senso è Lo spione (1962). Si giocano la storia un gangster e un balordo che, forse, fa il doppio gioco. Trattasi di Belmondo e Piccoli. Il gangster crede di essere tradito dal complice, ma nella mala non si tradisce. Quando emerge la verità è troppo tardi.

Per il suo racconto sulla malavita francese Melville assunse i personaggi dal più alto profilo. Alain Delon e Jean Paul Belmondo, Yves Montand e Lino Ventura, perfetti villain per il genere. E poi dark come Simone Signoret e Catherine Deneuve. Dunque il botteghino era assicurato. Ma lo era anche la qualità. Delon era il suo (anti)eroe preferito. Alain è perfetto in Frank Costello faccia d’angelo, ha trentatré anni, è nel suo momento migliore. Cappotto nero lungo, borsalino, crea un modello preso e ripreso. Fa la parte di un killer spietato, che non parla mai e che, incredibilmente per Delon, viene tradito da una donna. Ne I senza nome (1970) Alain organizza la rapina di un gioielliere parigino. Suo partner è Yves Montand. Anche qui tradito, non da una donna, Delon viene ucciso dalla polizia. Un dolore, per gli spettatori.
In quello stesso anno Melville cambia registro. Non più mala ma Resistenza. Il film è L’armata degli eroi, storia di resistenti francesi. Il capo, (Lino Ventura) catturato dai tedeschi, viene salvato da una donna che poi, ricattata dai collaborazionisti, lo tradirà.

Delon è ancora con Melville nel 1973 in Notte sulla città. É un commissario, stanco e disilluso, che agisce contro una banda comandata da un capo che sa tenergli testa. Ma c’è di più, i due sono innamorati della stessa donna, comprensibile, trattandosi della Deneuve. Complicazione non da poco. 

BILLY WILDER (da lunedì 18 aprile)
Se ti chiedono, e a me è successo spesso, quali sono i più grandi registi di tutto il cinema, e il nome deve stare nelle dita di una mano, Billy Wilder ci sta.
Era perfetto per diventare un gigante. Faceva parte di quel gruppo di geni transfughi dalla Germania dopo l’avvento di Hitler nel 1933. Erano artisti figli della magnifica Scuola di Weimar che aveva reinventato il cinema, il teatro, l’architettura e le arti figurative. Arrivarono in California accolti come gli americani sanno accogliere ospiti quando ritengono di poter imparare da loro. E così quella nobile cultura tedesca, applicata alla vocazione dello spettacolo di qualità di Hollywood, concentrò una chimica “nucleare”, che produsse molti capolavori e qualcuno lo è in assoluto. Alcuni di quei transfughi: Preminger, Siodmak, Lang, Lubitsch.

E Billy Wilder (1906-2002). Nacque a Sucha Beskidzka, Austria Ungheria, oggi Polonia. Studiò senza grande profitto, giurisprudenza a Berlino, fece un passaggio in Francia per poi approdare a Hollywood, che per tanti anni avrebbe dominato. Wilder possedeva una vocazione completa, espressa al massimo livello. Sapeva essere comico irresistibile, con cifre diverse, leggere o abrasive. Conosceva il dramma amaro e caustico, soprattutto sapeva mediare commedia e dramma in una miscela agrodolce che è solo sua.
Ho detto “assoluto”. Tre dei titoli che fanno parte della rassegna presentano quella qualità. Wilder si dimostrò inventore allarmante quando in Viale del tramonto (1950) fece parlare un morto (William Holden) che racconta in flash back la tragica storia del suo assassinio.

Soprattutto mette a nudo la sindrome di fabbrica dei sogni che era il cinema americano. Hollywood è stata raccontata in tutti i modi. Ma Wilder rimane il primo inventore. L’anno dopo ecco un altro grande titolo: L’asso nella manica. Un pugno alla mascella del sogno americano. Un uomo in una caverna potrebbe essere salvato, ma un giornalista (Kirk Douglas) gioca con la sua vita trascinando l’intervento decisivo pur di costruire un evento mediatico. Anche in questo tema, raccontato tante volte, Wilder è stato il primo motore. La casta dei media reagì cercando di boicottare il film. Ma… non servì.
E poi la Monroe. Marilyn deve moltissimo a Wilder. Se pensi a lei e ai “suoi” titoli,  la memoria di getto evoca A qualcuno piace caldo (1959) il film più divertente della storia del cinema. Marilyn non è mai stata così sexy. Come non ricordarla quando tenta di guarire l’impotenza, finta, di Tony Curtis. E poi Curtis e Lemmon in abiti femminili, coinvolti in gag che … solo Wilder. E quella battuta finale del povero Lennon-Josephine che si difende dalle avance del vecchio miliardario: “Nessuno è perfetto!”.

Con L’appartamento (1960) Wilder vinse i due Oscar più importanti: film e regia. Eppure trattasi di normalissima storia fra un impiegato a una addetta all’ascensore. Ma se a firmare è Wilder, “normale” è sorpassato. In ogni sequenza c’è qualcosa in più. Il tocco particolare, inalienabile, del grande artista.
Vale la citazione anche Frutto proibito, il primo film diretto da Wilder nel 1942.
Nel cast quella che allora era la regina di Hollywood, Ginger Rogers, che si traveste da bambina per affrontare situazioni grottesche.


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