L’attrice, morta a 104 anni, ha attraversato la storia del cinema diventandone leggenda.
di Pino Farinotti
Il 25 luglio, a 104 anni, è morta Olivia de Havilland. E ieri Mick Jagger ha compiuto settant’anni. C’è stata grande festa nella villa della tenuta Ornellaia di proprietà della famiglia della Ghererdesca. Ne ha parlato il mondo, i social sono impazziti. Il genetliaco ha vampirizzato la scomparsa. In questa epoca ci sta. De Havilland è un nome che alle ultime generazioni, per lo meno a quelle delle playstation o di twitter o dei reality, può dire poco o nulla, ma dice molto, moltissimo a chi si interessa di cinema.
Olivia era qualcosa di fisico e di metafisico, era l’ultimo testimone, promemoria di quella stagione, anzi, di quelle stagioni, che erano l’età dell’oro del cinema. Il più bello del mondo.
Ed è un segnale di arte e cultura generale, e di sentimento, quando ancora c’erano differenze, e non comandava questo relativismo che tutto omologa, il bello col brutto, il buono col cattivo. Era ancora il tempo dell’eroe, o dell’eroina, com’è stata Olivia nei suoi film, portatrice di indicazioni buone e di stile alto, e di esempi che il pubblico assumeva e ai quali magari si rifaceva. Era la cosiddetta identificazione, era l’emulazione. Erano i codici che valevano e prevalevano in quelle epoche: la donna andava rispettata, il partner non tradito, i figli tenuti d’occhio, la famiglia tutelata. Era il cinema dove stavi dalla parte della legge, non del criminale. E dove gli uomini sposavano le donne.
Queste prime righe sembrano davvero fuori tempo, nostalgia di un passatista. E infatti il modello rappresenta qualcosa di molto lontano. Tuttavia, pur nel quadro dei tempi, a volte si impone la qualità, che vale dovunque e comunque, e la qualità di quel cinema vale sempre, non è sorpassata. E Olivia tutto questo lo ha rappresentato e molto rimane ancora di visibile.
Nacque bene. Suo padre Walter Augustus de Havilland, era un avvocato inglese con studio a Tokyo, sua madre era Augusta Ruse, attrice, nome d’arte Lilian Fontaine. Il cognome che poi avrebbe assunto Joan, sorella di Olivia. 1916 significa qualcosa, vuol dire ancora Commonwealth vitale, quando la frase era questa: ”sopra un inglese c’è solo Dio”. Infanzia e adolescenza perfette. Preparazione artistica teatrale, e poi Hollywood. Sembra incredibile, ma Olivia era già protagonista, a diciannove anni, di grandi classici, come Capitan Blood (1936) e poi Robin Hood (1938), accanto a Errol Flynn.