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Film in streaming: è cosa buona o cattiva?

Pino Farinotti, dopo aver declinato per anni un suo parere, si interroga sulla questione “streaming”.
di Pino Farinotti

domenica 10 maggio 2020 - Focus

In questo momento di domiciliari e di chiusura della sale, uno dei termini che più ricorrono è “streaming”. La dialettica e le polemiche sulla sua funzione sono conosciute. É cosa buona o cattiva? In molti mi hanno chiesto un’opinione, magari per una tesi, e ho sempre declinato. Semplicemente perché non ero riuscito a farmi un’opinione.

Poi è arrivato il ritiro coatto che ci ha dato il tempo per una retrospettiva di memorie, rese lontane e nebulose dalla pratica del lavoro e della vita. Ho già scritto in questo senso e del recupero di quella magnifica stagione della formazione, quando  frequentavamo i grandi libri, il grande cinema e la grande arte. Tutta roba utile per la nostra personalità, un piedistallo sicuro che poi avremmo messo a profitto, nel lavoro e nella vita, appunto. 
 

E così questa revisione mi ha permesso di focalizzare alcune cose rimaste lì in sospeso, streaming compreso. E ho concluso che quell’artificio è “cosa buona”. Lo affermo nella mia chiave personale, naturalmente.
Pino Farinotti

E la mia memoria mi riporta a un episodio di qualche anno fa, una digressione utile per arrivare al mio... apprezzamento. Anno 2009, dovevo recensire Singolarità di una ragazza bionda, di Manoel De Oliveira. Lo programmavano nella sala Mexico di Milano. Una delle pochissime rimaste, di élite. Telefonai per informarmi degli orari. Arrivai alla 15.00 ed entrai in sala. C’ero solo io. Pensai, lusingato, che l’esercente avesse organizzato quella proiezione solo per me.

De Oliveira non è mai stato una delle mie passioni, lo considero portatore di “noia di qualità” e, con quel pregiudizio, mi preparavo alla visione del film. Però, lì da solo, senza vicini, senza rumori di Pepsi bevuta dalle cannucce o di mani che frugavano nei pop corn, riuscivo a fruire della proiezione in una situazione mia personale, favorevole. E la “Ragazza bionda” mi sembrò... sopportabile. Uscendo mi resi conto che in sala c’era un’altra persona. Dunque non c’era stato un riguardo verso di me, semplicemente quel titolo era poco attrattivo per il pubblico di non addetti. 

C’è un altro aspetto che intendo rilevare: il mezzo di visione, cioè il display del computer. Quei pochi pollici non mi ha hanno mai sedotto. Però una volta ero a casa di un cinefilo che con un semplice cavo di connessione, su uno schermo domestico di quattro metri quadrati, mi ha mostrato The Irishman (guarda la video recensione), di Scorsese, che Netflix aveva concesso al cinema solo in una toccata e fuga. Ecco, vedere un film in sistema (quasi) da sala, proiettato solo per te, dunque senza le “distrazioni” dette sopra, non mi ha fatto diventare un appassionato di Netflix, ma un possibile utente, sì. É una mediazione non così dolorosa in questa epoca di concetti produttivi e distributivi stravolti. 

A contrastare la mancanza di cinema tradizionale arriva un’iniziativa certo benemerita: MYmovies e Lucky Red, numeri uno assoluti nei loro campi, che hanno creato MioCinema.


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