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Il Conte di Montecristo continua a vendicarsi, su tutte le reti

Tre diversi network hanno trasmesso tre trasposizioni del romanzo di Dumas, nello stesso giorno.
di Pino Farinotti

giovedì 9 gennaio 2020 - Focus

L’editoriale nasce da un caso, curioso e benemerito. Nei giorni fra il Natale e l’Epifania le emittenti hanno usato e abusato di vecchi classici. Alcuni sono dei veri corsi e ricorsi e mantengono tradizione e vedibilità, come Via col Vento e 7 spose per 7 fratelli. Altri sono memorie lontane comunque gradite. È successo che nello stesso giorno, su tre diversi network, siano state programmate tre edizioni del “Conte di Montecristo”. In ordine di tempo: l’edizione del 1961, di Claude Autant-Lara con Louis Jourdan nel ruolo del “conte”; la miniserie televisiva del 1998, diretta da Josée Dayan con Gérard Depardieu; il Montecristo del 2002, per la regia di Kevin Reynolds, con Jim Caviezel.

Stili diversi, persino storie diverse secondo l’epoca e lo spazio a disposizione. Certo il cuore della vicenda viene e rispettato. Edmond Dantès, ingiustamente accusato di bonapartismo è tradito da due rivali in amore, Fernand e Danglars, e da un giudice corrotto, Villefort. Incarcerato nel castello d’If evade, trova un immenso tesoro, torna a Marsiglia e si vendica. Trama perfetta per i popoli e per il cinema. Alexandre Dumas padre la pubblicò in 18 parti nel 1846. Due anni prima, con la stessa modalità, sul giornale Le siècle, era stato dato alle stampe "I tre moschettieri". 

Perfetti
Quei due romanzi sono perfetti, sono i primi motori dell’avventura moderna. Contengono tutto e in uno stile molto alto: cappe e spade, vendette, sangue blu, ricchezza e povertà, amore romanti­co, politica. E certo non è un caso che il cinema, praticamente ogni decennio a cominciare dal principio, abbia rappresentato questi ti­toli. Per molto tempo Dumas è stato ritenuto uno scrittore “mi­nore”. Il suo romanzo era definito feuilleton, ma certo, è riduttivo. Alexandre non intendeva certo mettersi in competizione col sommo maestro Victor Hugo. Più della fase letteraria, più dello stile, gli interessava il racconto. In questa chiave fu un precursore. Guardava alla gente, non ai critici o ai colti, a suo modo faceva indagini di mercato. Sa­rebbe stato un grande pubblicitario. Ed è vero che si circondò di collaboratori ai quali dava input veloci, per apprestarsi una base su cui lavorare, per produrre di più e meglio. Era consumo, era mer­cato. E, sappiamo adesso che aveva ragione lui, ragione in pieno. 

Discusso
Dumas padre era uomo, e autore, molto discusso, anche per quei suoi metodi. Nel 2010 è uscito L’autre Dumas, dove, nei panni dello scrittore, che era mulatto, è ancora Dèpardieu, dunque, particolarmente affezionato al personaggio. Il film diret­to da Safy Nebbou ha suscitato una duplice polemica. Per comin­ciare si insiste su Dumas “il negro” interpretato dal bianco Dèpardieu, e poi si rivanga sul ruolo che ebbe Auguste Maquet, l’ombra, l’anima nera e, forse l’autore nascosto. Qualcuno ha ricordato il rapporto omologo fra Mozart e Salieri. Secondo l’ultima rivisitazio­ne, o revisione, sembra che questo Maquet non si limitasse a degli appunti, ma che si impegnasse in una sorta di soggetto lungo – lo dico in termini cinematografici perché il cinema qualcosa c’entra con Dumas – sul quale poi il maestro lavorava. Insomma il conte Edmond Dantès e d’Artagnan potrebbero esser stati inventati, se non raccontati, da questo antesignano ghost writer. 

Dunque si porrebbe un nodo non da poco. Se quei titoli mitologici non appartengono, del tutto, a Dumas padre, trattasi forse di notizia... devastante? Di un mondo che crolla? Io dico che ai lettori nei secoli, e agli sceneggiatori nei decenni, questo nodo... non interessa molto. 
 


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