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La politica degli autori: Wes Anderson

Il cineasta che sa contemplare con straniamento cosmico le situazioni drammatiche.
di Mauro Gervasini

In foto Tony Revolori e Ralph Fiennes in una scena del film Grand Budapest Hotel di Wes Anderson.
Ralph Fiennes (Ralph Nathaniel Twisleton-Wykeham Fiennes) (61 anni) 22 dicembre 1962, Ipswich (Gran Bretagna) - Capricorno. Interpreta Il signor Gustave nel film di Wes Anderson Grand Budapest Hotel.

martedì 8 aprile 2014 - Approfondimenti

Wes Anderson, classe 1969, è un tipo buffo. Speriamo solo che sentendoselo dire non reagisca come Joe Pesci in Quei bravi ragazzi. Tuttavia è così tutto il suo cinema, uno scrigno di bizzarrie visive e narrative, con uno stile tra il grottesco e l'iperrealista. Pervaso da un fulminante senso dell'umorismo vicino a quello ebraico (ma lui è texano doc!!), per come sa contemplare con straniamento cosmico le situazioni drammatiche e la stessa tragedia della Storia. Inclinazione, quella di Anderson, già ben chiara in I Tenenbaum (2001), il film che lo ha rivelato alla platea internazionale, ma definitivamente manifesta nell'ultimo Grand Budapest Hotel, presentato alla Berlinale e nelle sale italiane dal 10 aprile. Lubitschiano fin dalla sinossi: in un immaginario paese dell'Europa dell'Est vite ed esperienze si intrecciano in un grande albergo sotto gli occhi del concierge, monsieur Gustave (Ralph Fiennes, straordinario). Proprio lui è al centro dell'intrigo, perché accusato di un delitto alla Agatha Christie. Ad aiutarlo un portiere straniero che si chiama Zero, un nome non casuale perché così era nominato il "personaggio" di Buster Keaton nelle versioni francesi dei suoi film.

Zero è l'esordiente Tony Revolori che potrebbe essere lo shlemiel della tradizione yiddish, oppure Jerry Lewis; ma è soprattutto il migrante che rappresenta tutti i "diversi" agli occhi di un mondo sostanzialmente razzista, affacciato sull'abisso. Il film è un chiaro omaggio alla commedia classica di stampo europeo. Del resto Anderson è buffo anche per la sua scelta di essere apolide, estraneo al circuito cinematografico americano per stile e racconti. Vive per lo più a Parigi senza sapere il francese, poi torna negli Stati Uniti e gli sembra di essere su Marte. Questo suo disorientamento è anche estetico. Fateci caso: nei suoi film c'è sempre qualcuno che parte, fugge, si nasconde o anche solo va via. Il primo è stato il gigantesco Gene Hackman, mister Tenenbaum. E senza di lui, l'intera famiglia di rari talenti vagamente "geek" è crollata sulle proprie fondamenta, tanto da costringerlo a tornare. Al viaggio (interiore e fisico) sono anche dedicati i due titoli più deboli del cineasta, Le avventure acquatiche di Steve Zissou (2004) e Il treno per il Darjeeling (2007). Il primo, incentrato sulla performance multicromatica dell'attore feticcio (insieme a Owen Wilson) Bill Murray, racconta di un esploratore marino ispirato a Jacques Cousteau che vuole vendicarsi di uno squalo-giaguaro. Nel suo essere totalmente sconclusionato (e con un Murray gigionissimo, fuori controllo) il film un po' ci è e un po' ci fa, ma conta numerosi estimatori. A prendere il treno per Darjeeling sono invece i tre fratelli Owen Wilson, Adrien Brody e Jason Schwartzman, che prima di partire per l'India neanche si parlavano. Vanno in cerca di se stessi e della loro mamma Anjelica Huston, la quale giustamente farebbe a meno di incontrarli. Un viaggio a vuoto soprattutto per lo spettatore, incapace di affezionarsi a chicchessia, in un contesto scenografico che cerca di essere più intelligente della sua versione turistico-esotica, e non sempre lo è.

Bellissimo invece Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore (2012) con il quale Anderson ha il cambio di passo verso una commedia più sofisticata, di ispirazione europea appunto (il film, lo ammette lui stesso, si ispira al britannico Melody di Waris Hussein del 1971, a dimostrazione della sua raffinata cinefilia), anche se noi abbiamo pensato a una versione pastello di L'eau froide di Olivier Assayas. Toni diversissimi, per carità. Ma simile fuga d'amore tra due adolescenti squinternati, che poi si scoprono molto più "liberi & belli" del mondo (di adulti e coetanei) che li circonda. Anderson racconta la loro storia con un senso di stupore fantastico finora inedito (tra l'altro la location è immaginaria come sarà poi la "Zubrowka" di Grand Budapest Hotel), confermando di essere uno dei pochi autori americani della sua generazione degni di perpetua attenzione.

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