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ONDA&FUORIONDA

I cinquant'anni di Bond sono... sessanta. Di Ian Fleming.
di Pino Farinotti

In foto Daniele Craig in una scena di Skyfall.
Daniel Craig (56 anni) 2 marzo 1968, Chester (Gran Bretagna) - Pesci. Interpreta James Bond nel film di Sam Mendes Skyfall.

domenica 28 ottobre 2012 - News

Rilevo, da qui, l'avvento di Skyfall, il 23° film della serie di James Bond, con questo Daniel Craig protagonista. Certo non posso non essere coinvolto in questa sorta di giubileo, i cinquant'anni appunto, dell'agente 007. Non posso che ringraziare... il mondo. Tuttavia mi permetto una puntualizzazione, qualcosa di strettamente personale, anche se non andrebbe dimenticato. In realtà Bond non ha cinquant'anni, ma sessanta, era infatti il 1952 quando, nella mia tenuta di Jamaica, scrissi il mio primo racconto con l'agente 007: Casinò Royale. Capisco che nella vostra cultura attuale lo scrittore sia un modello svalutato, ma io non intendo svalutarmi. Molti diranno: ecco, il solito snob, e confesso che la definizione è pertinente, anche se nella mia vita ho mostrato ironia e autocritica. Ed essere snob... non era colpa mia. Uno status che mi derivava da mio nonno Robert, banchiere scozzese, da mio padre Valentine, deputato conservatore e militare della gloriosa riserva inglese e da mia madre Anna Geraldine Rothermere, contessa. Altri "impietosi" elementi di classismo britannico furono Eton, il college che formava, e forma, la classe dirigente inglese, e poi l'accademia militare e tutto il resto. E naturalmente il mio carattere, che esplicito in questa didascalia "ho sempre fumato e bevuto e amato troppo. In effetti ho vissuto non troppo a lungo, ma troppo. Un giorno il granchio di ferro mi agguanterà e allora sarò morto per il troppo vivere. " E infatti sono morto a 56 anni, di eccessi.
Questa lunga premessa per dare sostanza e giustificazione all'affermazione che segue. Non mi piace molto quel Craig: uno che beve birra e che non sa portare lo smoking; che passa tante ore in palestra; che si approfitta della mia regina per il proprio marketing. E che ... assomiglia a Putin - dopo che Bond e io stesso, durante la guerra fredda, abbiamo combattuto i russi.
La gestazione di Bond non è stata semplice, per questo tendo a proteggere l'identità della mia creatura. 007 veniva da una summa di mie esperienze che sfociarono, appunto in quel 1952, in qualcosa che mai mi sarei aspettato. Ero stato funzionario dei servizi segreti, giornalista, ma la narrativa non era contemplata. Fu un tentativo, uno stimolo - quelli li contemplavo-. E all'inizio non ci furono grandi riscontri, finché uno bravo, bravo davvero, nato scrittore, Raymond Chandler, scrisse una recensione quasi entusiastica su un mio romanzo. Fatto inaspettato. Così come lo fu l'interesse di due produttori emergenti, Saltzman e Broccoli che acquisirono i diritti dei miei libri e produssero Dr. No, Licenza di uccidere, cronologicamente il mio sesto romanzo. Ero presente quando scelsero Connery, ed è risaputo che fu colpo di fulmine. Poco importava che fosse scozzese. Dr.No è l'unico film che sono riuscito a vedere, da vivo. Mi piaceva Connery, così come la sua prima girl, Ursula, che rimane un unicum. Quell'immagine di lei emergente dal mare e poi di loro due che camminano su quella spiaggia di Jamaica... E quanto amavo Giamaica, che ho messo in tanti romanzi. Hanno scritto che Bond, da me creato, ha ricreato Ian Fleming, che mi ero tanto immedesimato nel mio personaggio, da volerlo imitare. Può darsi. Ma dico anche che in James c'era molto di Ian. E comunque, se qualcuno, involontariamente ho imitato, quello è stato il primo grande modello, Sean. Negli anni, se fossi stato nella possibilità di scegliere, non so quanti ne avrei approvati. Vediamo: il secondo, quel Lazemby, dico che era... australiano, non è necessario aggiungere altro. Roger Moore elegante, pettinato, perfetto, e biondo. E' stato un buon compromesso, solo buono. Timothy Dalton mi piaceva, era molto vicino, per aspetto e stile, al Bond dei libri, forse era persino troppo raffinato, veniva dal teatro, aveva fatto Shakespeare. Soprattutto gli incassi non erano all'altezza delle aspettative. La regola, purtroppo è quella. Pierce Brosnan fa parte del cinema contemporaneo, del tutto cambiato, pensato per chi va al cinema, che sono, per lo più, i giovani: azione, effetti speciali eccetera. Non è il mio mondo e non è il mio Bond. E poi Brosnan è un irlandese naturalizzato americano. Per un puro londinese come me è un dettaglio "culturale"... non da poco. Infine Craig di cui ho già detto. Tutto questo però non mi impedisce di esultare per 007 e per i ... sessant'anni, e per ciò che ha rappresentato e portato, di evasione, esempio, felicità alle generazioni che lo hanno frequentato. Come promemoria finale, credo naturale e opportuno a questo punto, ripropongo l'inizio di tutto. Parlo di parola naturalmente, non di fotogramma. L'incipit di Casinò Royale.

"Alle tre del mattino, l'odore di un casinò -sentore di fumo e di traspirazione- diventa nauseante. Poi, la tensione provocata dal gioco d'azzardo -un misto di avidità, di paura e di logorio nervoso- si fa insopportabile; i sensi si risvegliano e si ribellano.
Improvvisamente James bond si accorse di essere stanco. Si accorgeva sempre quando il suo corpo e il suo cervello ne avevano abbastanza, e agiva di conseguenza.
Quell'istinto gli consentiva di non cedere al torpore e all'ottusità menale, che sono all'origine di tutti gli errori.
Si allontanò con discrezione dalla roulette dove aveva giocato e andò ad appoggiarsi per un momento alla ringhiera d'ottone che circondava il tavolo principale della salle privée."

Vostro Ian

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