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Storia 'poconormale' del cinema: i film, i modelli (2)

Una rilettura non convenzionale della storia del cinema.
di Pino Farinotti

Il pugile e l'eroe
Paul Newman (Paul Leonard Newman) 26 gennaio 1925, Shaker Heights (Ohio - USA) - 26 Settembre 2008, Westport (Connecticut - USA). Interpreta Rocco Barbarella; Rocky Graziano nel film di Robert Wise Lassù qualcuno mi ama.

venerdì 12 febbraio 2010 - Focus

Il pugile e l'eroe
Nel 1956 la Metro produsse Lassù qualcuno mi ama. La regia era di Robert Wise. Si raccontava la storia di Rocky Graziano, vero nome Rocco Barbella, pugile di origine italiana. Nel 1947, a Chicago, Rocky divenne campione del mondo dei pesi medi, battendo alla sesta ripresa Tony Zale. Il ruolo di protagonista venne affidato a un emergente che prometteva benissimo, figlio di quell'Actor's Studio che stava cambiando non solo la recitazione ma anche il cinema: Paul Newman. La storia di Graziano era una parabola perfetta, per il cinema e per la vita. Nato a Brooklyn, famiglia poverissima, cattive compagnie, furti e rapine, riformatorio, e soprattutto risse continue, dove emerge la sua capacità di tirar pugni. Rocky viene arruolato, diserta. Viene arrestato. Rimesso in libertà fa l'incontro giusto, ragazza per bene. Intanto è diventato un pugile, di vittoria in vittoria arriva alla conquista del titolo. Si è fatto famiglia e ha messo la testa a posto. Una storia americana. Un eroe americano. Newman fu magnifico, da promessa che era divenne divo. E Rocky divenne un codice, molto toccato negli anni a venire. Sappiamo. Il pugilato era perfetto per il cinema: l'emancipazione, il sacrificio, la violenza. Lassù qualcuno mi ama indicò una via che sarebbe stata molto percorsa, appunto.

Flynn
Ma Graziano non era stato il primo pugile, protagonista di un film. Nel 1942 ne Il sentiero della gloria, di Raoul Walsh, Errol Flynn aveva dato corpo e volto a Jim Corbett, campione del mondo dei pesi massimi. Corbett conquistò il titolo nel luglio del 1892 battendo John Sullivan, anziano e molto più pesante. La tecnica raffinata superava la forza pura. Flynn era perfetto per il ruolo, lui alto e snello ed elegante per definizione. I pugili di origine italiana sono una costante. C'è un altro Rocky, nome vero Rocco Marchigiano, nome d'arte Marciano. Marciano non era di New York ma del Massachusetts. Anche questa non può che essere una storia di povertà e di emancipazione. Rocco aveva una caratteristica, un'anomalia, era alto soltanto un metro e settantotto, con un'apertura di braccia di uno e settantadue. Nessun campione del mondo sarebbe mai stato così basso e dotato di un allungo minore. Ma aveva una potenza sovrumana. Una forte corrente di opinione, di specialisti naturalmente, lo considera il più grande pugile che sia mai esistito. Molti gli pongono al fianco Clay- Alì, ma Marciano ha un dato esatto a suo favore, numerico: 49 incontri 49 vittorie, di cui 53 per k.o. Fu campione fra il '52 e il '56. È l'unico campione del mondo che si sia ritirato imbattuto. Per fare Marciano, Hollywood scelse un attore che gli assomigliava, Toni Lo Bianco. Che nel 1980 interpretò il pugile in Marciano, diretto da Bernard L. Kowalski. Forse per la popolarità, e l'appeal, inadeguati, quel film non fa parte dei titoli da ricordare. La fiction non era all'altezza della realtà. Eppure la leggenda c'era, con un forte tratto drammatico che avrebbe dovuto "aiutare": Marciano morì a soli 46 anni, nel 1969, precipitando col suo aereo privato.

Bronx
Di New York, anzi del Bronx figuriamoci, era invece un altro "italiano" Jake LaMotta. Alla povertà, alla lotta quotidiana per la sopravvivenza, Jake univa un irresistibile valore cinematografico, la Mafia. E infatti Martin Scorsese, esperto sull'argomento, nel 1980 portò sullo schermo la storia di LaMotta, detto Toro scatenato, col film omonimo. Trattasi di uno dei capolavori assoluti del cinema, con Robert De Niro protagonista. LaMotta, conquistò il titolo a Detroit nel '49 e lo perse contro Sugar Ray Robinson, altra leggenda, due anni dopo. Da quel momento cominciò la sua decadenza, ingrassò trenta chili, chiese aiuto ai boss, vendette persino la sua cintura di campione. De Niro, esasperando tutto com'è dovere del cinema, prese a sua volta tutti quei chili e rappresentò la tragedia del pugile con tanta passione e dedizione che, quasi in automatico, vinse l'Oscar.

Cindarella
Un altro newyorkese povero, anzi poverissimo fu James Braddock, detto cindarella, cioè cenerentola. Il soprannome ci sta, sempre per via dell'emancipazione. Tanti miti anche per Braddock, a cominciare dalla povertà estrema vissuta nel momento di massima povertà dell'America, quello della grande depressione. Per Graziano, LaMotta e Marciano erano gli anni '40 e '50, per Braddock erano i '20. Nel 2005 Ron Howard ha raccontato la storia del pugile in Cindarella Man. Dopo aver letteralmente sofferto la fame, James cerca di salvare se stesso e la famiglia facendo qualche incontro. Si scopre dotato e si comincia. Diventerà campione del mondo nel '35, battendo Max Baer, cattivissimo, che aveva già ucciso due avversari sul ring e aveva tolto la corona al nostro Primo Carnera. Il canovaccio era sempre lo stesso, il mito di cenerentola al maschile, ma funzionava sempre. Bravo, come sempre, Russell Crowe nella parte Braddock.

Cassius
Il canovaccio cambiò quando entrò in scena Cassius Clay-Muhammad Alì. Leggenda delle leggende, per molti versi. Alì non è stato solo un pugile, ma un parte di cultura della seconda parte del '900. Campione olimpico, diciottenne, dei mediomassimi alle Olimpiadi di Roma del '60, e poi campione dei massimi più volte, fino al 1974 col famoso incontro di Kinshasa nello Zaire. In questo intervallo Muhammad era diventato un modello sempre presente nelle vicende non solo sportive, ma politiche, razziali e sociali americane. Nel film Alì, del 2002, Michael Mann racconta benissimo quella storia. Dall'incontro con Malcom X che, sembra, abbia indotto il ragazzo alla conversione all'Islam, al rifiuto di partire per il Vietnam che costò ad Alì molti anni di inibizione, fino all'incontro di Kinshasa contro Foreman, l'incontro del secolo, che assunse un enorme valore simbolico. Clay-Alì non poteva non essere il personaggio sportivo, più "filmanto". Si contano almeno quattro grandi documentari distribuiti nel mondo: Muhammad Ali a.k.a. Cassius Clay, Muhammad Ali Through the Eyes of the World, Quando eravamo re e Io sono il più grande. Infine, appunto, la fiction Alì, con un ispirato Will Smith nella parte.

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