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Storia 'poconormale' del cinema: quei magnifici anni Cinquanta

Una rilettura non convenzionale della storia del cinema secondo Farinotti.
di Pino Farinotti

Puntata 25
Alida Valli (Alida Maria Laura Altenburger baronessa von Marckenstein und Frauenberg) 31 maggio 1921, Pola (Croazia) - 22 Aprile 2006, Roma (Italia). Interpreta La contessa Livia Serpieri nel film di Luchino Visconti Senso.

giovedì 13 agosto 2009 - Focus

Puntata 25
Il filo d'oro...la pellicola d'oro, che percorre le stagioni dagli anni del dopoguerra alla fine degli anni sessanta, è davvero virtuoso. Il cinema italiano riesce dunque a prevalere in campo internazionale non solo grazie a un genere, il realismo, inventato e consolidato, ma anche grazie a un'evoluzione intelligente del genere stesso, la commedia, appunto. I film esemplari, che ho ricordato nelle puntate precedenti, creano una sorta di zoccolo duro, di punto di partenza, di ispirazione, che servono da volano generale. Ma gli anni cinquanta rappresentano, anche da noi, una sorta di intermezzo, come un comune denominatore che riguarda il cinema internazionale. È un decennio decisivo, davvero un momento d'oro del cinema. Questo segnale generale arriva anche a Cinecittà dove vengono prodotti alcuni film che escono dal "gergo", seppure alto, anzi nobile, del cinema autoctono. Cito Senso, di Visconti, del 1954, una produzione colossale, coloratissima, con alto budget, con toni di dramma e d'amore, con battaglie senza badare a spese, secondo i criteri del ricco cinema americano. All'epoca la didascalia di promozione del film era "il Via col vento italiano". Nello stesso anno Mario Camerini dirige Ulisse altro colosso, con Kirk Douglas e una Silvana Mangano davvero molto diversa da quella di Riso amaro e L'oro di Napoli. Una Mangano...hollywoodiana.
Dunque gli anni cinquanta come momento d'oro del cinema del mondo. Si può senz'altro affermare che possa valere anche...l'anagrafe. Il cinema è un cinquantenne pieno di energia e con la giusta esperienza. Tecnicamente è ormai corretto: la cinecamera può allontanarsi o avvicinarsi al soggetto senza che l'inquadratura traballi. È un esempio. E poi i trucchi, gli effetti: certo non si avvicinano minimamente ai risultati del cinema attuale, ma riescono, magari non sempre, a non essere grotteschi.
Labbra chiuse
E poi i contenuti. Le storie possono ancora permettersi un melo che non debordi, o debordi appena. Lui e lei possono ancora dirsi "ti amo" sembrando umani verosimili, e non divi le cui labbra si toccano chiuse, perché la censura voleva così.
È il decennio dell'evoluzione dei generi. Gli anni quaranta avevano codificato alcuni generi portandoli da cinema minore a cinema vero. Alludo al western e al musical. Ombre rosse, di Ford, è addirittura del '39, ed è già un grande film, non solo un grande western. Ma Sfida infernale, del '46, sempre di Ford, si è liberato di alcune ingenuità di stile e "traballa" di meno. E sempre tenendo John Ford come paradigma, Sentieri selvaggi, del '56, è un capolavoro "totale": fotografia; contenuto lontano dal convenzionale, specie quando affronta il nodo del razzismo; regia non più statica; inserti musicali perfetti, sotto e a fianco del racconto; e poi il colore, che valorizza lo scenario strepitoso della Monument Valley. Sentieri selvaggi è tuttora un film perfetto, nessun pezzo di vedibilità è stato lasciato per strada nei decenni. Con un avallo sacrosanto: in una classifica recente dei titoli di ogni tempo, risulta al terzo posto, assoluto.
Non c'è solo Ford a dare nobiltà al genere. La ditta Anthony Mann e James Stewart realizza una serie di western da cinque stelle, con contenuti evoluti, con un eroe dolente e umano, non più un invincibile che decide in proprio del destino della comunità. Titoli come: Là dove scende il fiume, Winchester '73, Terra lontana.
Il musical
L'evoluzione del genere musicale va di pari passo con quella del western. I musical degli anni trenta e quaranta erano straordinari in chiavi diverse. Gli anni trenta possono identificarsi in Fred Astaire che ballava e cantava secondo i massimi compositori di musica popolare americana: Gershwin, Porter, Kern e Berlin. A quei film in bianco e nero quelle musiche e quei balli bastavano. Non c'era bisogno di storia, e nessuno badava ai dialoghi. Lei litigava con lui e lui, cantando e ballando, la riconquistava. Nei Quaranta il progresso del musical fu soprattutto tecnico con in più il colore. Ma nel '51/52, uno dei più grandi, forse il più grande, uomo-spettacolo del cinema del mondo, Gene Kelly, è attore, cantante, ballerino, coreografo, co-regista di Un americano a Parigi e di Cantando sotto la pioggia. La musica e il ballo non valgono solo come pretesto, le sceneggiature sono serie e intelligenti, all'altezza delle migliori commedie di quegli anni. E Kelly inventa tutto e domina tutto. Cantando possiede una gioia e un'estetica mai superate ed è tuttora considerato non soltanto il più grande film musicale di ogni epoca, ma un'opera assoluta, al di là di tutti i contesti, a cominciare da quello temporale. Cantando sotto la pioggia, un film degli anni cinquanta.

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