Avvincente comedy-drama diretto da Sian Heder e interpretato dall'attrice canadese, Tallulah sarà su Netflix dal 29 luglio.
di Marzia Gandolfi
Opera corale prodotta da Netflix e presentata al Sundance, Tallulah arriverà il 29 luglio sul piccolo schermo. Diretto da Sian Heder (Orange Is the New Black) e interpretato da Ellen Page, Allison Janney e Tammy Blanchard, il film oscilla tra due estremi, un genitore effettivo (ma inabile) e un genitore impostore (ma efficace), per raccontare la complessità (e l'impossibilità) della maternità.
La trama, che sembra scritta dai Dardenne, ruota su una giovane donna disorientata che rapisce un bambino per dare un senso alla sua esistenza e allaccia e trasforma la vita di tre donne molto diverse tra loro.
Ellen Page si assume la responsabilità del 'rapimento', conferendo al personaggio del titolo la dose necessaria di sensibilità e autenticità emozionale. Volto di fanciulla che sfida l'eternità, l'attrice canadese sceglie ancora una volta di incarnare una femminilità incipiente, fluttuante, tragicomica e (in)curante.
Nel 2007 recita il ruolo di un adolescente in Juno (Guardalo su Netflix ), vince un Oscar e diventa una supereroina (X-Men) con quella maniera esuberante, intelligente e allo stesso tempo innocente di interpretare la scoperta in adolescenza della sessualità e della maternità. Inno a una fanciullezza che si costruisce ai margini, la sua Juno è la nerd per eccellenza, l'adolescente precoce chiusa in un corpo sul quale ha acquisito troppo vantaggio.
La pancia diventa allora il simbolo di una scissione, è l'ingombro fisico che la separa dalle coetanee, un'evidenza fisica e indiscutibile. Ma se da una parte la rotondità suggella la 'segregazione' del corpo, dall'altra incarna un potere, quello della vita, quello di donare la vita.
Potere magico e allineato al dono (sovrumano) della sua supereroina, una facoltà che distingue per quello che ingombra. In Juno (Guardalo su Netflix ), Ellen Page risveglia nello spettatore le ore perdute e gioiose dell'adolescenza invertendo il percorso di apprendimento del suo personaggio, che procede non verso l'età adulta ma in direzione del recupero di una spensieratezza sacrificata dall'impazienza.
Nove anni dopo i ruoli di Ellen Page hanno perso un po' della loro leggerezza ma non del loro essere fuori norma. Allergica al conformismo sociale, nella vita come sullo schermo, l'attrice appartiene a quella generazione di interpreti anglo-sassoni e militanti (con Jennifer Lawrence, Lena Dunham, Emma Watson) che si muovono tra il cinema indipendente e i blockbuster, tra la ragazza della porta accanto e la supereroina, riformando la femminilità hollywoodiana e rifuggendo qualsiasi forma di glamourizzazione.
Una delle rare star a rivendicare la propria omosessualità, la Page incarna nel 2015 e al fianco di Julianne Moore una lesbica (Freeheld - Amore, giustizia, uguaglianza) che si batte per i diritti della propria compagna e della loro relazione.
Il film, di cui è anche produttrice, è ispirato a una storia vera e dimostra, pur mancando di sottigliezza, la capacità del cinema americano di storicizzare un fatto di cronaca. Coerente nella vita come nella finzione, Ellen dichiara il suo orientamento sessuale nel 2014 per "cambiare le cose" e "fare la differenza". Con un discorso toccante, pronunciato a Las Vegas il giorno di San Valentino, diventa la portavoce della comunità gay e lesbica dell'America del Nord, intraprendendo una battaglia per affrancare le attrici dalle norme di bellezza e di rappresentazione imposte da Hollywood.
It girl indie e sempre credibile, Ellen Page ha il volto di un cherubino e la voce esile di un folletto ma come la sua mutante (Kitty Pryde) è capace di attraversare i muri nella fiction e di abbatterli nel mondo reale.
Fragile quando diserta la vita, dura quando minaccia di castrare un presunto pedofilo come in Hard Candy (Guardalo su Netflix ), il suo vero potere sembra quello di rimpicciolire e di ingrandire, di doppiare sullo schermo il suo corpo acerbo facendone presenza incarnata, radiosa e rivoluzionaria.
Qualche volta crisalide, qualche altra farfalla, in Tallulah rivela di nuovo la sua polimorfia, cercando la crescita nella maternità. Un metro e cinquantacinque per ventinove anni di sincerità disarmante, confessa ai giornali che su un'isola deserta approderebbe solamente coi I 400 colpi di Truffaut. Forse perché il fuoco dell'enfant sauvage brucia ancora in lei fino a farne una cugina americana di Antoine Doinel, una cugina ostinata e creativa che ai marosi della vita applica sempre una strategia obliqua. Se ieri diventava madre prima di diventare donna, oggi diventa donna diventando mamma. Con o senza pancia, il suo corpo attoriale è ancora una volta culla e riparo per un bambino. Un luogo rotondo dove è impossibile essere raggiunte dalla paura e dalla solitudine.